Plácido & Cecilia – Grand Théâtre, Monte-Carlo
Cecilia e Plácido un titolo semplice per un concerto incentrato su due grandi protagonisti della lirica mondiale. Succede a Monte-Carlo, al Grand Théâtre, uno spettacolo cercato e voluto dalla nuova direttrice dell’Opéra, Cecilia Bartoli dopo che Domingo, per motivi di salute ha rinunciato alla produzione di Traviata lo scorso marzo e dopo più di venticinque anni dal suo ultimo spettacolo in terra monegasca. La scena, allestita per la produzione del Barbiere di Siviglia, viene usata come uno schermo dove vengono proiettate immagini che evocano il mondo dell’opera via via interpretata. Un espediente semplice che trasforma però un concerto in qualcosa di più simile ad un vero spettacolo, grazie anche ad alcune simpatiche trovate: una su tutte l’ingresso della Bartoli in scena come fischiatore mascherato da Frankenstein sulle note di “Son lo spirito che nega” del Mefistofele di Boito interpretato da Ildar Abradzakov.
All’abbassarsi delle luci in sala compare sul palcoscenico, in elegante frac nero, uno dei grandi protagonisti della serata, Plàcido Domingo, accolto con entusiasmo dal pubblico. Durante il concerto abbiamo modo di ascoltare il “tenorissimo” (anche se da anni la sua seconda carriera lo vuole identificare come baritono) interpretare due grandi brani tratti dalla tradizione del melodramma nazionale: “Nemico della patria” da Andrea Chénier di Umberto Giordano e “Pietà, rispetto, onore” da Macbeth di Giuseppe Verdi. Domingo possiede un gesto e un magnetismo scenico che ancora oggi impressionano e che, da soli, testimoniano le ragioni di una carriera pluriennale costellata di successi e trionfi internazionali. Si potrebbe obiettare forse che la voce abbia perso di elasticità, che i fiati si siano accorciati o che non tutte le parole del testo vengano ricordate, ma rimane l’innata capacità di trovare la giusta chiave interpretativa e l’immediata aderenza stilistica alla scrittura di ogni singolo brano. Si colgono, così, l’umanità di Gerard e la frustrazione di Macbeth, uomini molto diversi tra loro ma entrambi vittime di un ineluttabile destino. Domingo si esibisce, inoltre, in una pagina tratta da La taberna del puerto, zarzuela di Pablo Sorozàbal. Nel dare vita ai versi dell’aria di Leandro “No puede ser” si riescono a percepire il calore e l’accorato trasporto del ritmo latino, la lucentezza e lo scintillio delle terre spagnole.
Altra grande ed indiscussa protagonista della serata è Cecilia Bartoli, diva di fama mondiale e particolarmente amata dal pubblico monegasco. Il mezzosoprano romano compie, attraverso l’esecuzione di pochi brani, un vero e proprio percorso nell’evoluzione stilistico-musicale operistica. Si parte con Mozart, l’aria “Parto, parto ma tu ben mio” dove la Bartoli, in abiti maschili, incarna alla perfezione il malinconico struggimento di Sesto attraverso una melodia leggiadra e sospesa nel vuoto in cui ogni messa di voce si carica di emozione. Nella parte conclusiva dell’aria, poi, la scrittura prevede alcuni passi di coloratura che vengono espugnati, con impressionante facilità, e, soprattutto, non un mero sfoggio di agilità, ma una molteplicità di colori e di sfumature espressive. Poco più tardi la diva torna sul palco, questa volta con un elegante abito da sera, per interpretare l’aria “Assisa a piè d’un salice” da Otello di Rossini. La linea di canto si dipana, morbida e luminosa, nella scrittura rossiniana dando vita a pennellate di suono che, ancora una volta, assumono profonda valenza espressiva in una atmosfera rarefatta e sospesa nel tempo. L’ultimo brano solista che ci offre l’artista è tratto da La forza del destino di Giuseppe Verdi e si tratta della preghiera “La vergine degli angeli”. In questa pagina la Bartoli, a confronto con una scrittura per lei inusuale, regala una interpretazione sublime, tutta giocata su effetti chiaroscurali ottenuti con impalpabili pianissimi.
I due grandi protagonisti della serata ci regalano anche un duetto, una delle pagine più iconiche del melodramma: “Là ci darem la mano” dal mozartiano Don Giovanni. Se nella voce di Domingo cogliamo l’innata seduzione di una voce calda ed ambrata, in quella della Bartoli avvertiamo dapprima lo smarrimento di una Zerlina reticente nell’accettare la corte del galantuomo, e, subito dopo, la malizia derivante dal pensiero di un possibile miglioramento di status sociale.
Nel corso della serata c’è spazio anche per un altro duetto, tratto da Les Pêcheurs de perles di Georges Bizet, “Au fond du temple saint”, affrontato con disinvoltura da Plàcido Domingo e dal tenore Edgardo Rocha, i cui impasti timbrici si amalgamano con melodiosa unitarietà.
Accanto a Plàcido e Cecilia, la serata si arricchisce, poi, dalla presenza di altri grandi artisti, di fatto già impegnati nella produzione de “Il barbiere di Siviglia”, in scena al Teatro del Casinò.
Il tenore Edgardo Rocha che, con una vocalità dai centri avvolgenti e pastosi, riesce a far rivivere, grazie al pregevole uso delle mezze voci, lo slancio appassionato di Gèrald nell’aria “Prendre le dessin d’un bijou… Fantaisie aux divins mensonges” da Lakmè di Léo Delibes.
Il basso Ildar Abdrazakov giganteggia nella esecuzione dell’aria di Mefistofele “Son lo spirito che nega”, dall’opera omonima di Arrigo Boito. Il basso possiede un mezzo dal suggestivo colore notturno, ampio e voluminoso che si espande compatto con impressionante facilità sino ad un registro acuto tonante e penetrante.
Il baritono Nicola Alaimo dà vita alla grande scena “Son pur queste mie membra … Dio di Giuda” dal verdiano Nabucco. Alaimo interpreta il sovrano babilonese con un fraseggio sfumato e, ad un contempo, solenne che si unisce ad una linea vocale ben tornita e morbida nell’emissione. Ottima la cura dell’accento.
Alessandro Corbelli porta sulla scena, con Don Magnifico de La Cenerentola di Gioachino Rossini, uno dei suoi cavalli di battaglia. Durante l’aria “Miei rampolli femminili” si coglie tutta la classe e l’esperienza dell’interprete di rango: il controllo della coloratura e del sillabato, la gestione del fiato nelle frasi melodiche, la spiccata musicalità e l’innata aderenza stilistica.
Il soprano Rebeca Olvera, poi, si cimenta con l’aria di Norina da Don Pasquale di Gaetano Donizetti, “Quel guardo il cavaliere”, con la giusta freschezza vocale, cui si unisce una buona facilità nella salita verso il registro acuto.
Il Maestro Gianluca Capuano, sul podio della sempre precisa ed uniforme Orchestre Philarmonique de Monte-Carlo, dà prova di grande eclettismo stilistico affrontando con cura ogni brano e supportando ottimamente ciascuno degli artisti via via impegnati sul palco.
Di rilievo, inoltre, l’esecuzione dei due brani per sola orchestra, il “pizzicato” dal balletto Sylvia di Léo Delibes e il preludio da Carmen di Georges Bizet; una prova che convince per la leggerezza e la brillantezza del ritmo, la politezza e la freschezza del suono.
In ottima forma anche il Choeur de l’Opera de Monte-Carlo, cui spettano, oltre gli accompagnamenti delle arie di Nabucco e Forza del destino, due brani solistici e, nella fattispecie, il celeberrimo “Và pensiero” dal già citato Nabucco e “Che interminabile andirivieni” da Don Pasquale di Gaetano Donizetti.
Resta da riferire, da ultimo, dei brani che vedono impegnati sul palco tutti gli artisti in locandina.
Il primo, che precede l’intervallo, è il concertato che chiude il primo atto de Il barbiere di Siviglia “Mi par d’esser con la testa”: una esecuzione scoppiettante e frizzante.
Il programma del concerto si conclude con l’immancabile brindisi da La traviata di Giuseppe Verdi, un giusto festeggiamento finale.
Gli artisti regalano al pubblico un bis, una goliardica quanto divertita esecuzione della canzone napoletana “’O sole mio” manda letteralmente in visibilio il pubblico che, dopo aver manifestato più volte il proprio entusiasmo nel corso della serata, riserva ora una standing ovation a tutti gli artisti intervenuti.
Si conclude così quella che di fatto è stata una festa per la musica e una gioia per le orecchie e per il cuore!