Un ballo in maschera – Teatro Carlo Felice, Genova
Al Carlo Felice di Genova prosegue la stagione operistica con Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi.
“ […] agli asili centrali della città di Genova la somma di lire ventimila. La somma di lire diecimila rispettivamente allo Stabilimento dei rachitici, allo Stabilimento dei sordo muti e all’Istituto dei ciechi di Genova”, così si legge nel testamento di Verdi che ebbe con la antica città marinara un rapporto speciale, tanto da voler lasciare parte dei suoi beni ad enti pubblici locali. Una città dove spesso il compositore risiedeva e che, a differenza di Milano, gli permetteva di: “tenermi un po’ lontano dal mondo musicale e da tutta quella gente che, appartenendo a quel mondo, si crede in dovere di farvi un po’ troppo da padrone e non lasciare in pace coloro che, a dritto o a torto, sono di quel mondo gli individui più in vista. A Genova mi sento un po’ più padrone in casa mia di quanto non potrei esserlo a Milano”. Alla data del 1858, anno della prima di Un ballo in maschera, quasi tutte le opere del maestro erano state proposte nel teatro cittadino, un legame forte e continuativo che oggi non viene meno. Ben due quest’anno i titoli verdiani previsti in cartellone: oltre al Ballo fra marzo ed aprile vedremo anche I due Foscari.
Per Un ballo in maschera, in scena in questi giorni, l’allestimento scelto è quello coprodotto con la Fondazione Teatri di Piacenza, il Teatro Alighieri di Ravenna e il Teatro Comunale di Ferrara. Uno spettacolo, quello firmato dal regista Leo Nucci e con le scene di Carlo Centolavigna, assolutamente classico e quanto più possibile filologicamente aderente al libretto. Visivamente, non tutto risulta ugualmente convincente ma sicuramente spiccano la bella e ricca scena nell’antro di Ulrica e in parte la scena del ballo. Proiezioni ed elementi scenici sono adeguatamente consonanti e bisogna ammettere che trovarsi di fronte ad un’opera allestita in modo tradizionale a volte è un piacevole ritorno al passato. Splendidi e coloratissimi i costumi di Artemio Cabassi rifiniti, come sempre, con cura sartoriale. Belle anche le luci di Claudio Schmid, evocative e ispirate.
L’esecuzione musicale vede brillare la stella di Francesco Meli, giunto a questo appuntamento in ottima forma vocale e scenica.
Riccardo è tra i ruoli più frequentati (e più amati) dal tenore genovese; innegabili, dunque, la totale aderenza stilistica alle esigenze della partitura e la perfetta immedesimazione nel personaggio che risulta scandagliato in ogni frase e in ogni accento. La vocalità di Meli, ammantata di freschezza e luminosità, si espande con facilità in sala, mantenendosi sonora e compatta a tutte le altezze. Ciò che colpisce, nella prova del tenore, è l’uso dei colori e delle mezzevoci, vere e proprie pennellate sonore che sanno rendere al meglio le diverse sfaccettature del personaggio, tratteggiato in un perfetto equilibrio tra regalità e umanità. In tal senso la ballata di primo atto “Dì tu se fedele” e l’aria di terzo “Ma se m’è forza perderti”, risultano esemplari per duttilità della linea e varietà d’accento che, unitamente ad un notevole controllo del fiato, ascrivono queste pagine tra i momenti più riusciti della serata.
Al suo fianco, Carmen Giannattasio dona ad Amelia il fascino di una presenza scenica elegante e raffinata. La vocalità del soprano, dal seducente colore scuro, appare corposa e ben tornita specialmente nei centri, vibranti e sicuri, e nella prima regione acuta, compatta e ben proiettata. Se nell’aria di secondo atto si riscontra, purtroppo, una salita perigliosa al do acutissimo, nel brano solistico dell’atto successivo “Morrò ma prima in grazia”, l’artista offre una esecuzione ben riuscita per morbidezza e sensibilità. L’opulenza timbrica del soprano ben si addice, inoltre, alla passionalità di questo personaggio.
Completa il terzetto dei protagonisti Roberto de Candia che torna ora ad interpretare Renato a quasi sei anni dal debutto. De Candia affronta il ruolo con la dedizione e la perizia tecnica che gli derivano dalla frequentazione del repertorio belcantista (rossiniano in primis) e questo gli consente di superare, pur con una vocalità differente rispetto a quelle che oggi si cimentano in questo repertorio, ogni possibile difficoltà del ruolo mantenendo la linea naturale e priva di forzature. La limpidezza del colore vocale e la musicalità del mezzo conferiscono al personaggio la compostezza e l’eleganza che ben si addicono al rango sociale di Renato. Pregevole l’esecuzione dell’aria di terzo atto, nella quale si apprezza, soprattutto, la morbidezza nel porgere la frase.
Anna Maria Sarra dona al personaggio di Oscar una linea vocale musicale e dal colore chiaro e squillante. Il mezzo, pur non particolarmente voluminoso, consente di superare le insidie della parte senza mai risultare petulante. Da notare la politezza del settore acuto e la sicurezza esibita nel canto di agilità. Godibile, inoltre, la presenza scenica, naturale e disinvolta.
Delude Maria Ermolaeva nel ruolo di Ulrica, promossa da secondo a primo cast per sostituzione della collega inizialmente prevista in locandina. Al colore della voce, troppo chiaro, si unisce, purtroppo, una certa disomogeneità tra i registri. La presenza scenica è abbastanza convincente, ma non basta per riscattare una prova al di sotto delle aspettative.
Puntuali ed incisivi, vocalmente quanto interpretativamente, i due congiurati, John Paul Huckle (Samuel) e Romano Dal Zovo (Tom).
Partecipe e ben riuscito il Silvano di Marco Camastra.
Completano la locandina, nell’alveo della sostanziale correttezza, Giuliano Petouchoff e Claudio Isoardi nei rispettivi ruoli di un giudice e un servo d’Amelia.
Dal podio, il Maestro Donato Renzetti offre una lettura ispirata del capolavoro verdiano. Il racconto musicale si dipana con sonorità brillanti e palpitanti attraverso un fluire continuo di dinamiche sonore sfumate e variegate. Particolarmente apprezzabile la scelta dei tempi, larghi soprattutto nel secondo atto, in grado di rappresentare al meglio quel perfetto connubio di commedia e dramma che costituisce il cuore stesso di questo grande dramma musicale.
Rilevante il lavoro svolto sulla compagine dell’Orchestra del Carlo Felice che, seguendo il gesto di Renzetti, restituisce il suono con precisione e mette ben a fuoco i colori che concorrono a definire il dettato verdiano.
Notevoli e ben riusciti, per incisività ed intensità, gli interventi del Coro del Carlo Felice, istruito con professionalità dal Maestro Claudio Marino Moretti.
La serata è coronata da un vibrante successo tributato da parte di un pubblico invero numeroso (come non si vedeva da tempo nel teatro genovese) che riserva un’accoglienza trionfale a Meli, al Maestro Renzetti e al mito di Leo Nucci.
Si replica sino al 5 febbraio 2023, non perdetevi questo coinvolgente spettacolo!
UN BALLO IN MASCHERA
Melodramma in tre atti
Libretto di Antonio Somma da Gustave III ou Le bal masqué di Eugène Scribe
Musica di Giuseppe Verdi
Riccardo Francesco Meli
Renato Roberto de Candia
Amelia Carmen Giannattasio
Ulrica Maria Ermolaeva
Oscar Anna Maria Sarra
Silvano Marco Camastra
Samuel John Paul Huckle
Tom Romano Dal Zovo
Un giudice Giuliano Petouchoff
Un servo di Amelia Claudio Isoardi
Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice Genova
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Claudio Morino Moretti
Regia Leo Nucci
ripresa da Salvo Piro
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Claudio Schmid
FOTO: TEATRO CARLO FELICE