Spettacoli 2022

Ernani

Secondo titolo di Giuseppe Verdi nell’ambito del Festival d’Autunno a lui dedicato, al Teatro del Maggio va in scena Ernani, con la direzione di James Conlon e la regia di Leo Muscato. Dopo Il trovatore e in attesa del Don Carlo programmato per dicembre, viene così proposta un’altra opera di ambientazione spagnola, che mancava dal capoluogo toscano addirittura dalla stagione 1965. In concomitanza di questa rappresentazione, il Teatro fiorentino ha organizzato un convegno internazionale sul tema “Verdi e la Spagna”. Tutti i contributi hanno inteso approfondire il complesso rapporto di questi tre capolavori con l’immaginario romantico intorno alla penisola iberica, in una riflessione declinata non soltanto in direzione della drammaturgia musicale ma anche delle arti figurative e della storia.

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Francesco Meli

La musica di Ernani, in realtà, di tipicamente spagnolo non ha molto, forse appena un bolero ed un fandango alquanto camuffati, ritmi di cui tra l’altro si stavano appropriando i compositori francesi; l’atmosfera dell’opera è però impregnata di quell’esotismo iberico che ha pervaso la cultura romantica, anche in questo caso, soprattutto in Francia. La vicenda del resto è tratta proprio da quel dramma che nella prima metà dell’Ottocento scatenò una vera e propria battaglia sul piano estetico, dividendo nettamente il pubblico parigino tra esaltati sostenitori ed acerrimi nemici: Hernani ou L’honneur castillan di Victor Hugo. L’onore appunto è il motore dell’azione drammatica anche dell’Ernani verdiano, elemento che si dimostra più forte della pietà e delle ragioni del cuore: è infatti il codice ferreo dei nobili castigliani, fantasticato dagli autori romantici nel tempo dell’onorabilità borghese, ad innescare una dopo l’altra tutte le logiche che conducono al baratro dell’infelicità.

Questa dinamica è ben evidenziata dall’allestimento di Leo Muscato, che sposta la vicenda dal XVI secolo del libretto all’Ottocento risorgimentale in cui l’opera venne composta; trasposizione resa principalmente dai costumi di Silvia Aymonino, che evocano, talvolta con toni caricati, un mondo di ufficiali e di cospiratori ma anche di fuorilegge e di dame in crinolina.
All’inizio una parete di legno scuro, compatta e senza aperture su cui si intravedono però le sagome di passaggi e di finestre; due uomini incappucciati con stivali e mantello ci fanno pensare a segreti ed antichi rituali e spingono il muro aprendolo verso l’interno, come pagine di un libro: si crea così lo spazio dell’azione, ridotto ma assai ben sfruttato. Quest’immagine ci dà plasticamente l’idea di un destino già chiuso e dettato da regole arcane, mentre l’orchestra suona il tema dell’onore. Alla fine dell’opera, dopo che in questo spazio si sono susseguite di volta in volta tutte le differenti situazioni, dal ritrovo dei banditi al banchetto delle nozze, ricomparirà il vecchio Silva in domino scuro, proprio come i due figuranti del principio. Le luci di Alessandro Verazzi contribuiscono in maniera determinante alla definizione della cornice, in un’alternanza di colori bruniti ora freddi ora caldi che instaurano significativi contrasti tra i momenti cupi e gli aspetti festosi. Particolarmente suggestivo il quadro della cripta di Aquisgrana, dove le scenografie modulari di Federica Parolini creano un clima intimo e sepolcrale che diviene solenne nella celebrazione della clemenza. Realizzato infine con efficacia, al quarto atto, lo sdoppiamento dei piani drammatici a ricalcare la differenziazione dei piani sonori.

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Francesco Meli e Viyalij Kowaljow

La direzione di James Conlon ricrea la tinta dell’opera perseguendo un’accurata definizione del suono dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, con una valida modulazione delle intensità, specialmente nei pianissimo, e con un’adeguata evidenza di ottoni e percussioni. Tracciati con nitidezza i temi del preludio iniziale, particolarmente intenso il secondo, e delicatissimo quello al primo recitativo di Elvira; sbalzate con rilievo le note gravi dell’introduzione al terzo atto e solidamente costruiti i concertati. Discreto e costante l’accompagnamento nelle cavatine e marcatamente differenziato rispetto all’esplosività strumentale delle cabalette e dei grandi pezzi d’insieme. Calibrato e sinergico il rapporto di Conlon ed orchestra con il Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretto da Lorenzo Fratini. Ogni intervento è di grande bellezza e svolge un ruolo fondamentale nel conferire ritmo alla parabola narrativa. E’ energico e solare il coro dei banditi, dolce e sognate quello delle ancelle, sempre puntuale nei tempi di mezzo delle arie ed alquanto vivace nel dialogo maschile-femminile al secondo atto; superbo poi per affiatamento e modulazioni d’intensità presso la tomba di Carlo Magno, per essere infine brillante, con venature d’orrore, nella scena conclusiva.

Riguardo alle interpretazioni dei cantanti, i due momenti più intensi sono stati rappresentati dalla meditazione sul sepolcro e dal terzetto conclusivo. Soprattutto in quest’ultimo, tenore, soprano e basso, portano il dramma verso il punto di massima tensione e ci offrono la loro migliore espressività. A partire da Francesco Meli nel ruolo di Ernani, lirico e drammatico, con una linea articolata e carica di pathos. Per tutta l’opera Meli ha esibito una voce piena e rotonda, pur con qualche disomogeneità nel registro acuto ed un fraseggio in alcune parti piuttosto uniforme. Interpreta con fermezza e vigore “Come rugiada al cespite”, facendo risaltare il carattere del tenore eroico e luminoso. Se è poco coinvolgente nei duetti d’amore, esprime però con estrema incisività tutto il senso di arcano mistero che è nella scena del giuramento.

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Francesco Meli e Maria José Siri

Altrettanto valida nel terzetto la prova di Maria Josè Siri nel ruolo di Elvira, energica e commovente, con un canto ampio e modulato. Meno coinvolgente nella cavatina iniziale “Ernani!… Ernani, involami” e nella cabaletta le salite all’acuto appaiono poco aggraziate ed i vocalizzi non troppo definiti. E’ irruenta negli scambi con Carlo mentre i duetti con Ernani mancano di afflato amoroso. Il personaggio ritorna più convincente e appassionato al terzo atto e, come già detto, nel finale.

Vitalij Kowaljow delinea un Silva che oscilla tra magnanimità cavalleresca e furente gelosia ed incarna efficacemente la potenza distruttiva della rigidità e dell’amore. La voce è profonda e voluminosa e allo stesso tempo agile ed estesa; il canto è nitido e fermo soprattutto nei cantabili, anche se poco legato in alcuni passaggi.

La meditazione nella cripta costituisce l’altro vertice dell’espressività dei solisti grazie all’interpretazione di Roberto Frontali come Carlo. Il recitativo che precede “Oh de’ verd’anni miei” è scolpito ed austero e il baritono in tutta la scena plasma la figura di un principe pensoso che è l’unico della vicenda ad affrontare una sorta di trasformazione psicologica. Il Carlo di Frontali risulta comunque più persuasivo come uomo del potere piuttosto che come innamorato e mostra, specialmente nella prima parte, alcune difficoltà a raggiungere la tessitura alta del ruolo.

Di rilevo le prestazioni dei comprimari. Il Don Riccardo di Joseph Dahdah è uno scudiero dal fraseggio scandito e lo Jago di Davide Piva è consistente ed espressivo, tanto nel canto quanto nella recitazione. La Giovanna di Xenia Tziouvaras è melodica e compatta e ben esprime la soggezione al cospetto del re.

Pochi gli applausi a scena aperta e piuttosto tiepidi; molto calorosi invece alla fine, soprattutto per il Coro, Conlon e Meli, con qualche contestazione in sordina per la Siri.

ERNANI

Dramma lirico in quattro parti di Francesco Maria Piave

dal dramma Hernani ou L’honneur castillan di Victor Hugo 
Musica di Giuseppe Verdi

Maestro concertatore e direttore James Conlon
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi 

Ernani, il bandito Francesco Meli
Don Carlo, re di Spagna Roberto Frontali
Don Ruy Gomez de Silva, grande di Spagna Vitalij Kowaljow
Elvira, sua nipote e fidanzata María José Siri
Giovanna, di lei nutrice Xenia Tziouvaras
Don Riccardo, scudiero del re Joseph Dahdah
Jago, scudiero di Don Ruy Davide Piva

Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino 
Maestro del Coro Lorenzo Fratini

Aiuto regista Alessandra De Angelis
Assistente scenografa Eleonora De Leo
Assistente costumista Agnese Rabatti

Foto: Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino