La sinfonia della “Giovanna D’Arco” e la strana ispirazione avvenuta tra i dirupi
Nessuna Giovanna ha mai avuto musica più filosofica e più bella. Emanuele Muzio si avventurava volentieri in lodi sperticate nei confronti del suo maestro Giuseppe Verdi, persino nel commentare opere del Cigno di Busseto che oggi vengono considerate “minori”. Per l’appunto, “Giovanna D’Arco” non è un titolo che si scorge spesso nei cartelloni teatrali, anche se qualche pregio lo ha e se non altro è stata fondamentale nel percorso artistico verdiano. A parte le lettere inviate da Muzio, ci sono poche testimonianze che fanno capire come sia nato questo dramma lirico rappresentato per la prima volta a Milano nel 1845.
Eppure gli aneddoti non mancano, tra cui uno molto affascinante che ha a che fare con la sinfonia dell’opera. Sembra infatti che l’ispirazione per questo pezzo sia arrivata grazie a una tempesta improvvisa che sorprese Verdi sull’Appennino Umbro-Marchigiano. La particolare ricostruzione si deve a un articolo apparso nel 1844 sul periodico “La Fama”. Le biografie verdiane sono ricche di episodi del genere, molti dei quali non verificati, ma quello relativo alla sinfonia della Giovanna merita di essere approfondito. Verso la fine di quell’anno, il compositore partì da Roma per tornare a Milano dopo le prime rappresentazioni de “I due Foscari”.
Le condizioni atmosferiche stravolsero fin da subito il viaggio, tanto che fu impossibile proseguire a causa di una frana presso le Gole del Furlo, nel territorio che oggi è parte della provincia di Pesaro-Urbino. Valicare l’Appennino fu un’impresa titanica e in quei complicati momenti in cui tuoni e fulmini dominarono il paesaggio, Verdi avrebbe composto la sinfonia della “Giovanna D’Arco”. C’è da dire che i titoli giornalistici a effetto erano tipici quando si parlava di personaggi tanto famosi nell’800 e le smentite sono state immediate nella maggior parte dei casi. Questa tempesta “ispiratrice”, al contrario, è stata citata più volte proprio nei resoconti che Muzio inviava di frequente al suocero di Verdi, Antonio Barezzi.
Il dettaglio più gustoso è quello che l’unico allievo del musicista emiliano riporta in una delle tante missive. Nel parlare della sinfonia, il futuro direttore d’orchestra parla chiaramente di una ispirazione avvenuta “in mezzo ai dirupi”, con l’aggiunta determinante di tre parole che aggiungono altri particolari a questa vicenda: “come ben sa”. Questo vuol dire che non era la prima volta che allievo e suocero di Verdi facevano riferimento all’aneddoto, ancora prima che “La Fama” uscisse con il suo articolo. Tra l’altro, il compositore sapeva perfettamente quali e quante sillabe Muzio scriveva nelle lettere e quindi il racconto della tempesta e delle note venute in mente all’improvviso non può che essere arrivato da lui.
C’è poi da sottolineare un altro aspetto, per nulla secondario. Di questa sinfonia non si parlò più nelle missive dopo i primi scambi epistolari, anche perché Muzio era abituato a fare dei resoconti sul singolo pezzo composto da Verdi. Questo vuol dire che l’introduzione orchestrale è stata la prima messa nero su bianco sullo spartito, per poi dare spazio in rapida successione a tutti gli altri pezzi. Al momento del suo ritorno a Milano, il compositore poteva già aver terminato la musica oppure averne completato una buona parte. Il sottoscritto conosce molto bene il luogo che avrebbe ispirato l’autore della “Giovanna D’Arco”.
L’Appennino Umbro-Marchigiano è un luogo da me frequentato e ben conosciuto per motivi familiari e ogni volta che si presenta l’occasione di tornarci, non può che venire in mente questo aneddoto così avvincente. I dirupi e le tempeste ci sono ancora oggi e ascoltare ogni volta questa sinfonia è un modo unico per apprezzare ancora di più un lavoro troppo spesso sottovalutato. L’epoca di composizione è quella dei celebri “anni di galera”, da molti bistrattati ma comunque necessari per la realizzazione dei futuri capolavori del bussetano.