Alexander Lonquich con L’Orchestra da Camera di Mantova – Maratona Beethoven
Ci vuole un certo sforzo atletico per affrontare una maratona.
Se poi questa maratona è fatta dei cinque concerti per pianoforte di Beethoven, tutti di filato, al solista è richiesta non solo abilità tecnica e interpretativa ma anche una dose di resistenza fisica e mentale, doti che a quanto pare fanno parte delle virtù di Alexander Lonquich, che con questa prova di fiato l’ha fatta in barba al COVID.
Neanche a dirlo Lonquich esegue tutti e cinque i concerti a memoria, le partiture gli calzano come un guanto e gli occhiali non servono per la lettura quando si suona by heart.
Riguardo la sua direzione, tra gli assiomi della comunicazione si legge “la relazione influenza il contenuto del messaggio” l’importante infatti per un direttore è creare una relazione con l’orchestra per poter essere sicuro che la sua visione della partitura riesca ad arrivare a tutti i musicisti e Lonquich, come Artist in Residence del Festival Trame Sonore di OCM e delle numerosissime collaborazioni con l’orchestra, è praticamente a casa.
Forte di questo legame e dell’immediatezza comunicativa che ne deriva non ha bisogno, nella veste di solista e direttore, di grandi gesti plateali.
Semplici gesti fluidi compongono la sua direzione, less is more, che senza scomporsi lo fanno alternare in questa duplice veste al pianoforte, una naturalezza che sembra quella di chi posato il telefono dopo una chiamata riprende a digitare sulla tastiera il testo di una mail; una consapevolezza di ogni passaggio, di ogni nota, precisa e interiorizzata.
L’Orchestra da Camera di Mantova ha dimostrato in spregio ai leggii singoli di avere una sintonia rara, respirando insieme.
Nessuna incertezza sugli attacchi del tutti o dei singoli soli, una macchina perfettamente tarata e in sinergia con il solista direttore.
Orchestralmente vi sono stati dei momenti di rara magia musicale come nel secondo movimento del quarto concerto quando a soli archi, grande lirismo e pathos.
Questa maratona ha permesso all’ascoltatore coraggioso di entrare dentro alla partitura di Beethoven, di conoscerlo meglio e di apprezzare come il suo stile cambiasse e mutasse in 20 anni di composizione.
Affascinante il sovrapporsi in note lunghe con messa di voce dei fiati con lo strumento solista, quasi a sorprendere l’ascoltatore che, mentre segue gli agili movimenti del solista al pianoforte, viene rapito dai suoni che a poco a poco fanno la loro comparsa spingendolo a sporgersi con le orecchie verso l’interno dell’orchestra.
Nel movimento lento del quinto concerto compare la sordina e i suoni ovattati anticipano quasi il commiato di questa corsa beethoveniana, che ha riempito un pomeriggio e una sera di musica.
Beethoven in questa partitura strizza l’occhiolino a Schubert con il gioco dei timbri del legni, in questo caso fagotto e clarinetto intrecciando e sovrapponendoli in una sorta di unisono cucito insieme dal suono filato del flauto.
Lo sforzo fisico si è un po’ fatto sentire sull’ultimo concerto nelle ultime battute prima del traguardo, lo scrosciante applauso che a più riprese ha richiamato Lonquich sul palcoscenico, portandolo ad un bis del primo concerto, con una cadenza improvvisata e alternativa che ha lasciato stupiti anche i musicisti di OCM.