“La forza del destino”: non un semplice esperimento di lusso
Dopo le trionfali rappresentazioni del Ballo in maschera, a Roma nel debutto del 1859 e anche in altri teatri nei mesi successivi, per Giuseppe Verdi si aprì, pare quasi incredibile, un periodo senza musica. Si trattò di una breve parentesi, durata fino al 1861, durante la quale il cigno di Busseto fu completamente assorbito dagli impegni politici e da altre attività. L’impegno parlamentare fu intrapreso da Verdi controvoglia, per rispettare una promessa fatta a Cavour. In questi due anni, inoltre, per un progetto che andava sfumando, quello del sospirato e agognato Re Lear, un altro cominciava a prendere forma. In effetti, Verdi era solito fare la spola tra la sua villa di Sant’Agata e Torino, città sede del primo Parlamento italiano. Fu in occasione di uno dei tanti ritorni che ad accoglierlo ci fu anche una lettera scritta dal tenore Enrico Tamberlick.
È proprio questa missiva che sancisce il primo mattone di quella che sarà poi La forza del destino. Tamberlick era all’epoca molto impegnato in Russia, a Pietroburgo e non usò molti giri di parole per proporre al compositore la scrittura di uno spartito per la successiva stagione. A Verdi veniva data ampia libertà nello scegliere l’argomento e il poeta: per vincere le sue resistenze in fatto di lontananza geografica e del clima, Tamberlick sfatò molti luoghi comuni sul freddo russo, sottolineando come gli appartamenti fossero abbondantemente riscaldati, così come le carrozze. L’idea vera e propria di “trasferire” Verdi in Russia, però, era venuta a Mauro Corticelli, agente teatrale molto amico di Giuseppe e sua moglie Giuseppina. Tamberlick era stato fin troppo aperto nella sua lettera e fu con grande imbarazzo che la prima scelta del soggetto, il Ruy Blas di Victor Hugo, venne rifiutata.
La scelta poi ricadde su un dramma dello spagnolo Angel de Saavedra di Rivas, Don Alvaro o La fuerza del sino. La forza del destino era in procinto di nascere. Verdi si affidò al suo librettista di maggior fiducia, Francesco Maria Piave (autore anche dei libretti, tra gli altri, de La traviata e del Rigoletto) e una prima sceneggiatura venne messa nero su bianco. Il compositore emiliano aveva forse un leggero timore della pericolosità della trama, memore di quanto avvenuto con il libretto strampalato e ingarbugliato del Trovatore. Bisogna soprattutto sottolineare, in questa fase preparatoria, la cura verdiana nel trattare ogni particolare. Non si conosceva ancora la composizione del cast che egli si rivolse al baritono Achille De Bassini per offrirgli una parte:
Io ho una parte per te, se la vorrai accettare, buffa, graziosissima, ed è quella di Fra Melitone. Ti starà a pennello e io l’ho quasi identificata alla tua persona.
Tutto era pronto per il viaggio in Russia e sul finire del 1861 Verdi si trovava proprio a Pietroburgo. Purtroppo, l’indisposizione del soprano e la gestione non proprio impeccabile del Teatro Imperiale convinsero Verdi a rescindere il contratto, anche se poi alla fine si arrivò a una proroga fino all’anno successivo. La sera del 10 novembre 1862, esattamente centocinquanta anni fa, La forza del destino andò in scena per la prima volta, sotto la direzione del maestro Eduardo Baveri, Caroline Barbot nel ruolo di Leonora, Enrico Tamberlick in quello di Don Alvaro e lo stesso De Bassini come Fra Melitone. L’esito fu buono, tanto è vero che la stampa parlò addirittura del lavoro più completo e ispirato di Verdi, grazie alla ricchezza delle melodie e dell’orchestrazione. Qualche giovane dal loggione osò fischiare alcune parti dell’opera, si trattava del cosiddetto “partito Tudesque”.
La revisione fu concretizzata sette anni dopo, nel 1869, con il libretto rivisto da Antonio Ghislanzoni e la rappresentazione alla Scala di Milano, la versione che oggi viene messa in scena. Che giudizio si può dare de La forza del destino a centocinquantadue anni di distanza? Gli episodi sono certamente numerosi e questo non rende molto semplice la lettura e la comprensione, ma i quattro atti di Verdi, intrisi di uccisioni accidentali, vendette, guerre e espiazioni delle colpe in convento sono anche ricchi di invenzione melodica. Inoltre, l’armonia è uniforme, fin dalla splendida sinfonia (piena di squarci lirici e drammatici). Il centro tonale di Mi è dominante ed è da esso che derivano quasi tutti i pezzi e le tonalità. Qualche studioso ha parlato della Forza come un esperimento di lusso, destinato a un pubblico molto particolare, ma questo “esperimento” ha potuto contare su una partitura più che moderna, senza la quale forse non sarebbe nata neanche l’Aida.