Messa da Requiem (Festival Verdi 2021)
La XXI edizione del Festival Verdi di Parma prosegue con la sempre toccante Messa da Requiem di Giuseppe Verdi.
Una messa per un illustre defunto, Alessandro Manzoni, scritta nel 1873 da un uomo sostanzialmente laico, sostenuto forse più che dalla fede, che Verdi incontrerà solo in tarda età, dal senso della condivisione umana dei valori di giustizia e libertà.
Valori Risorgimentali che rispondono solo in parte alle grandi domande esistenziali che ogni uomo si pone e che la musica ripropone ed enfatizza: come ci si pone di fronte alla morte? Come sarà il giorno del Giudizio Universale? Esiste una speranza di salvezza per l’anima?
Una musica dolorosa che ci fa sempre riflettere e risulta ancora più densa di significati oggi, dopo la grande crisi mondiale pandemica e le sue innumerevoli vittime.
In questo contesto si inserisce perfettamente la lettura del Maestro Daniele Gatti che ha offerto una prova, per certi versi, indimenticabile.
I primi accordi si percepiscono appena nella loro impalpabilità, ma ben presto ecco l’ingresso del coro maschile con accenti solenni ed imperiosi. Le voci dei solisti entrano quindi l’una nell’altra e tratteggiano così le prime pennellate di un quadro sonoro livido ed intessuto di consapevole amarezza. Questa atmosfera, caratterizzata da ritmo serrato e morbidezza sonora, viene spezzata dall’attacco violento del “Dies irae”: la furia si è scatenata e l’uomo rimane schiacciato ed impotente di fronte a questo clima apocalittico; impressionante, nel gesto del Maestro Gatti è la compattezza ottenuta dalle diverse sezioni orchestrali. E dopo lo squillo delle trombe, preciso e spaventoso nella sua solennità, come un fulmine tremendo, la violenza cede il passo alla calma e alla riflessione. Le sezioni seguenti del Dies irae svelano una serie di innumerevoli sfumature sonore e ritmiche che nel loro perfetto gioco di labirinti ed arabeschi delineano un vero e proprio viaggio delle anime umane nel loro destino ultraterreno: un grido disperato, ma composto, una lucida presa di coscienza di una via incerta, lastricata di dolore e disperazione. Nella lettura del Direttore il genere umano cerca di combattere per la sua salvezza e con grande dignità anela al perdono finale in una lettura del “Libera me domine” di impressionante intensità emotiva. Gatti ricerca dunque in continuazione un suono orchestrale leggero, non prevaricante, delicato, in taluni punti quasi carezzevole, quasi a voler sottolineare, in questo scenario apolitico, che ognuno deve trovare la forza per prendere coscienza della propria fragilità, ma anche combattere e non arrendersi, nemmeno di fronte alla furia divina, alla speranza di liberarsi del peso della vita terrena. Una lettura di grande attualità, nella quale l’ascoltatore si identifica facilmente, diventando egli stesso parte di questo disegno sonoro di assoluta perfezione creato da Verdi. Di grande rilievo la prestazione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, che con grande perizia e precisione asseconda il Maestro nel disegnare questa atmosfera cupa e malinconicamente meditabonda; tutte le sezioni sembrano risaltare con eguale intensità sin nel più flebile accordo e, al tempo stesso, mantenere un perfetto equilibrio nei momenti di maggiore concitazione.
Grandioso è poi, come sempre, il Coro del Teatro Regio di Parma che, sotto la guida del magnifico Maestro Martino Faggiani, sigla nuovamente una prestazione memorabile. Le voci dei singoli artisti corrono e si percepiscono perfettamente ad una ad una pur nell’ ambito di un grande disegno canoro complessivo; si colgono inoltre così tanti colori e tante emozioni che si rimane quasi impietriti dinanzi a tanta sfolgorante precisione e perfezione. Tanti i momenti indimenticabili nel corso della serata dal delicatissimo e mesto “Requiem” iniziale, al maestoso quanto tremendo “Dies irae” al “Sanctus”, ove le voci sembrano rincorrersi in un ritmo assai brillante, sino al “Libera me” finale, apoteosi grandiosa nel momento estremo di questa presa di consapevolezza da parte dell uomo di quello che sarà il suo destino dopo Giudizio.
Di buon livello, con alcune punte di eccellenza, il quartetto delle voci soliste.
Maria Agresta mette al servizio della scrittura verdiana il bel timbro, schiettamente lirico, caratterizzato da un luminoso colore madreperlaceo. Durante l’esecuzione brillano i numerosi filati e gli impalpabili pianissimi, ben appoggiati e sostenuti da una messa di voce ottimamente controllata. L’interprete è notevole: dopo il sommesso attacco del “Kyrie”, intriso di amaro pentimento, segue l’invocazione ricca di amore del “Quid sum miser”. E se i versi “salva me” suonano come una preghiera accorata, il “Libera me” sprigiona il grido disperato di un’anima che cerca di appellarsi all’ultima possibilità di ottenere la salvezza tanto agognata.
Il mezzosoprano lettone Elina Garanča sfoggia ampio volume, timbro opulento e screziato. La linea vocale suona immacolata e morbidissima, sicura e svettante nella salita all’acuto, ben appoggiata e naturale nel registro grave, mai forzato. Interprete raffinatissima, accenta con eleganza ed innata grandiosità.
Antonio Poli sfoggia timbro solare e brunito, buona capacità di sfumare e di affrontare la scrittura verdiana con la giusta morbidezza. L’interprete, specialmente in “Ingemisco” è partecipe ed accorato. Particolarmente suggestivo l’attacco di “Hostias” emesso con fil di voce adeguatamente sostenuto.
Completa il quartetto il basso John Reylea, di cui si apprezza il colore scuro di un mezzo che diviene seducente specie nel registro grave che suona torrenziale. Ieratico e tonante il fraseggio.
Trionfo di pubblico al termine dell’esecuzione per una serata da ricordare.
Messa da Requiem
Per coro, voci soliste e orchestra
Musica Giuseppe Verdi
Edizione critica a cura di David Rosen
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano
Direttore
DANIELE GATTI
Soprano MARIA AGRESTA
Mezzosoprano ELINA GARANCA
Tenore ANTONIO POLI
Basso JOHN RELYEA
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro
MARTINO FAGGIANI
FOTO ROBERTO RICCI, TEATRO REGIO DI PARMA