Tutto nel mondo è burla: 5 curiosità sul Falstaff di Verdi
La serata scaligera del 9 febbraio 1893 è stata descritta nei minimi dettagli e non poteva essere altrimenti: in quel lontano giovedì di fine ‘800, infatti, fu rappresentata per la prima volta l’ultima opera di Giuseppe Verdi, “Falstaff”. La consapevolezza che il Cigno di Busseto non avrebbe più composto attirò a Milano una platea eccezionale, composta da personalità come Giosuè Carducci, Pietro Mascagni, Giacomo Puccini, la principessa Letizia Bonaparte e i critici più famosi a livello internazionale. Fu un grande trionfo per il musicista emiliano, vicino agli 80 anni, un’età che aveva ormai ammorbidito il suo carattere spesso ruvido e spigoloso.
Gli applausi e le acclamazioni caratterizzarono lo svolgimento e la conclusione della commedia lirica su libretto di Arrigo Boito, tratta da due lavori di William Shakespeare, “Le allegre comari di Windsor” ed “Enrico IV”. I milanesi furono addirittura protagonisti di episodi di isteria collettiva, tanto è vero che Verdi incontrò alcune difficoltà nel raggiungere l’hotel in cui alloggiava, per non parlare delle ovazioni, delle chiamate al balcone e degli omaggi che proseguirono fino a notte inoltrata, nonostante il grande freddo. Per saperne di più e capire meglio il contesto, si possono approfondire cinque fatti curiosi che riguardano proprio quest’opera.
1 )TAGLI IMPREVISTI – Dopo aver assistito alle rappresentazioni di “Falstaff” in altre città, tra cui Parigi, Verdi tornò a Sant’Agata, salvo scoprire che il baritono francese Victor Maurel, il primo Falstaff della storia, aveva iniziato a eseguire la partitura con diversi tagli. Il compositore bussetano andò su tutte le furie, invitando Ricordi a intimare a Edouard Carvalho, direttore dell’Opéra-Comique, di rispettare gli impegni. Nonostante le lunghe lettere inviate, Verdi non riuscì a evitare questi cambiamenti: Maurel continuò a risparmiare la sua voce, ma l’opera attirò l’attenzione degli spettatori parigini anche in una versione tanto ridotta.
2) ACCUSE E OSTILITÀ – “Falstaff” non ha suscitato soltanto ammirazioni ed elogi: le accuse non tardarono ad arrivare, nonostante alcune di esse siano state fuori luogo. Se infatti per “Otello” si può anche capire l’abbaglio di una presunta influenza wagneriana, il nome del compositore tedesco è stato invece fatto a sproposito per l’ultima fatica verdiana, visto che sarebbe più opportuno parlare di una riconciliazione dello stesso Verdi con l’intera musica romantica tedesca. Tra l’altro, ne “Il paese del melodramma” del critico Bruno Barilli (pubblicato nel 1929) si dà la precedenza al Verdi degli “anni di galera” e del Trovatore piuttosto che a quello del “Falstaff”, in cui sarebbe invece presente una cupa ombra di tristezza.
3) OLTRE FALSTAFF – Giuseppe Verdi non compose altre opere dopo “Falstaff”, ma quest’ultima poteva anche non passare alla storia come la sua composizione finale. Arrigo Boito gli propose infatti un altro libretto tratto da una tragedia di Shakespeare, “Antonio e Cleopatra”, un progetto che il musicista bussetano respinse con fermezza, dichiarando ben presto la sua antipatia nei confronti dei personaggi, come anche suggerito dalla moglie Giuseppina Strepponi. Non mancò nemmeno il tentativo di concludere il grande rimpianto della sua vita, il “Re Lear”: Verdi accarezzò questo sogno fin dal 1843, subito dopo il successo del “Nabucco”, ma l’impossibilità di trovare il giusto librettista e i troppi intrecci della tragedia resero impossibile ricavarne un melodramma.
4) NERVI TESI – La corrispondenza con Luigi Piontelli, impresario della Scala, non lasciò intendere nulla di buono. Verdi ricavò una pessima impressione, le lettere dello stesso Piontelli gli fecero pensare a una persona scortese, priva di educazione e grossolana: ipotizzò addirittura di non far rappresentare “Falstaff” a Milano, almeno fino a quando ci sarebbe stato un impresario del genere. Il paziente lavoro di riconciliazione di Giulio Ricordi e l’ottima impressione ottenuta da Verdi una volta approfondita la qualità della compagnia di canto e dell’orchestra contribuirono a far dimenticare tutto.
5) ULTIMA MA PRIMA – “Falstaff” termina con una fuga corale di grande pregio, Tutto nel mondo è burla. Verdi affida a questa riflessione la sua conclusione professionale, anche se, a dire il vero, le note della fuga finale furono tra le prime ad essere scritte dal compositore. La conferma si trova in una lettera del 1889 di Verdi al librettista Arrigo Boito:
Voi lavorate spero? Il più strano si è che lavoro anch’io!… Mi diverto a fare delle fughe!… Sì signore: una fuga… ed una fuga buffa… Perchè buffa? Direte voi? Non so come, nè perchè ma una fuga buffa!