“Fernand Cortez” e la reazione del pubblico sottovalutata da Napoleone
Nel 1809, nelle orecchie di Gaspare Spontini riecheggiavano ancora gli applausi e gli apprezzamenti del pubblico parigino dell’Académie Impériale de Musique, il teatro che alcuni mesi prima aveva ospitato la prima rappresentazione della sua opera più famosa, “La Vestale“. Dopo questo trionfo, la strada per il musicista marchigiano era decisamente spianata, come testimoniato dalla richiesta ufficiale da parte di Napoleone Bonaparte, intenzionato a far rappresentare un nuovo e importante lavoro. L’Imperatore era stato letteralmente affascinato da Spontini, ritenuto il compositore perfetto per illustrare le gesta del suo Impero, al punto da offrire 10mila franchi come segno tangibile del gradimento.
Bonaparte intendeva condizionare l’opinione pubblica parigina e nazionale con un lavoro che potesse evidenziare valori e temi ben precisi. Nel 1808 aveva infatti dato il via alla campagna militare di Spagna, volta alla liberazione del paese iberico. L’opera lirica era proprio uno dei mezzi idonei a far capire ai francesi che questa campagna era giusta e necessaria, con la Francia in prima linea nell’esportazione della cultura e della civiltà. Il suggerimento di Napoleone a Spontini fu subito quello di comporre “Fernand Cortez ou La conquête de Mexique“, una storia perfetta per mettere sullo stesso piano la conquista spagnola cinquecentesca del Messico e l’occupazione della Spagna di quei primi anni dell’800.
Il clima favorevole in patria era fondamentale e strategico, dunque il progetto napoleonico fu imperniato sulle gesta di un eroe castigliano, Fernand Cortez appunto. La realizzazione fu molto rapida, nonostante un costo economico davvero esagerato, ben 180mila franchi (l’aggettivo più utilizzato in territorio francese per questa cifra fu “elevatissima”), gran parte dei quali destinati alla creazione dei costumi e alle bardature dei cavalli. Il libretto venne preparato da Victor-Joseph-Étienne de Jouy e Joseph-Alphonse d’Esmenard e a meno di due anni di distanza da “La Vestale” era ormai tutto pronto per una nuova prèmiere spontiniana.
Si decise di puntare nuovamente l’Académie Impériale de Musique (l’attuale Opéra de Paris) come sede per la rappresentazione e lo stesso Spontini si occupò della direzione dell’opera. In teatro erano presenti figure prestigiose, tra cui lo stesso Napoleone e i re di Sassonia e Westfalia, mentre del cast facevano parte cantanti esperti e apprezzati come il soprano Alexandrine-Caroline Branchu nel ruolo di Amazily (una delle principali interpreti della tragédie lyrique dal 1801 al 1826) e François Lays in quello di Télasco. In poche parole, gli ingredienti erano quelli giusti per una ricetta di gran successo.
La serata fu un successo, il pubblico e la critica non tardarono a lodare diversi aspetti della novità operistica e sembrava che il copione de “La Vestale” fosse pronto per essere replicato in tutto e per tutto. L’obiettivo principale però non venne raggiunto: Napoleone si sarebbe aspettato una reazione diversa dai parigini e ottenne invece l’esatto contrario. La sensazione immediata dopo la prèmiere non fu caratterizzata dalla soddisfazione completa, visto che il pubblico intervenuto alle varie recite aveva iniziato ad ammirare i soldati di Cortez e la loro fierezza, un sentimento nei confonti degli spagnoli che rendeva “simpatici” anche i loro discendenti, in guerra proprio contro l’occupante Bonaparte.
Spontini aveva esaltato la patria e celebrato l’Impero, ma non erano stati tenuti in debita considerazione gli aspetti psicologici e politici della storia messa in scena. Napoleone aveva pensato a una vicenda storica che potesse ricordare quella vissuta in prima persona, ma il soggetto spagnolo finì per ritorcersi contro l’Imperatore, il quale trascurò l’atteggiamento dei parigini e che pochi anni dopo si avventurò nella disastrosa campagna di Russia. L’unica soluzione contro le eccessive simpatie nutrite verso il popolo iberico fu quella di eliminare “Fernand Cortez” dal repertorio dell’Accademia parigina, una censura che non impedì comunque a questo lavoro di diffondersi in altre piazze europee, come era normale all’epoca.
Per la traduzione in italiano si attese fino al 1820, con il Teatro San Carlo di Napoli che ospitò il debutto nel nostro paese e in una nuova versione: la direzione venne affidata niente di meno che a Gioachino Rossini, direttore musicale del teatro partenopeo. Le alterne vicende dell’opera ne hanno segnato inesorabilmente il destino. L’accoglienza tributata a “Fernand Cortez” fu simile a quella de “La Vestale”, ma l’opera politica non riuscì mai a entrare nel repertorio come è invece successo per il capolavoro di Spontini. In fondo è un vero peccato che sia stata messa in disparte, anche perchè è stato proprio il “Cortez” ad aprire la strada al passaggio dall’opera barocca al grand opéra romantico.