Le insospettabili assonanze tra Bellini e Wagner
Due compositori, due nazionalità differenti e soprattutto due ideali artistici che sembrerebbero non coincidere mai: si sta parlando di Vincenzo Bellini e Richard Wagner, le cui figure vengono solitamente distanziate soprattutto per motivi anagrafici. In effetti, quando Bellini morì (nel 1835), Wagner aveva appena ventidue anni e soltanto due drammi musicali alle spalle (uno dei quali, “Le nozze”, incompiuto). In realtà, esistono delle relazioni insospettabili, come ci si accorse anche sul finire dell’800. Ma cosa lega esattamente il cigno di Catania e l’autore della Tetralogia? Per capirlo, bisogna fare un salto indietro fino al 1881, giusto poco tempo prima che Wagner morisse.
Risale infatti a quell’anno Il linguaggio dei suoni belliniani e wagneristi, un saggio di Filippo Clementi, compositore bolognese che non aveva avuto molta fortuna con i suoi due melodrammi rappresentati al Teatro Comunale della città felsinea. Il lavoro in questione venne apprezzato da più parti, in quanto svelò quanto fosse breve la distanza musicale tra Italia e Germania. Sarebbe stato sufficiente rileggere gli scritti giovanili di Wagner per scovare la passione del musicista di Lipsia per il collega più anziano. Questi pamphlet vennero pubblicati a partire dal 1834, ma quelli che interessano realmente in questo caso sono due.
Il primo si intitola Die deutsche oper (L’opera tedesca), in cui si sottolinea come i compositori tedeschi avrebbero dovuto guardare al nostro paese per cercare i migliori modelli operistici. L’altro scritto è ancora più eloquente, a partire dal titolo, Bellini (pubblicato nel 1837): il compositore siciliano è scomparso da soli due anni e Wagner dimostrò di aver ampliato ulteriormente le proprie vedute, esaltando l’importanza della melodia vocale nella musica belliniana, l’unica in grado di esprimere realmente l’espressività del belcanto. Wagner era letteralmente affascinato da quello che lui definiva “linguaggio”, per non parlare della grande attenzione suscitata dalla “semplice, nobile e meravigliosa cantilena”.
In quel periodo il musicista teutonico ricopriva il ruolo di direttore d’orchestra presso il Teatro dell’Opera di Riga, nell’attuale Lettonia. L’opera principale di Bellini, “Norma”, non aveva avuto grande fortuna all’estero: in particolare, il debutto a Londra nel 1831 era stato addirittura catastrofico, con il pubblico britannico non molto impressionato. Furono però proprio questi due atti su libretto di Felice Romani a rafforzare in Wagner le proprie convinzioni artistiche, al punto da definire l’opera “una cura per le arditezze intellettuali dei compositori tedeschi”. Non ci si deve stupire, dunque, se la stessa “Norma” fu inserita immediatamente nel cartellone del teatro righese nel 1837. La sua insistenza aveva avuto la meglio sui dubbi e le perplessità.
Inoltre, una volta arrivato a Parigi (nel settembre del 1839 per la precisione) compose addirittura un’aria da inserire nel primo atto dell’opera belliniana. L’ispirazione era venuta dalle parole di uno sconosciuto rifugiato politico italiano: Noma il predisse fu pensata appositamente per un basso e il coro maschile, nello specifico per la voce di Luigi Lablache. Le cose andarono però diversamente, visto che lo stesso Lablache rifiutò l’offerta che gli veniva fatta da Wagner e l’aria in questione venne pubblicata e cantata per la prima volta soltanto nel 1914. Tutte queste considerazioni inquadrano meglio la terza composizione wagneriana in ordine temporale.
Dopo l’incompiuta “Le nozze” (1832) e l’acerba “Le fate” (1834), nel 1836 fu il turno di “Das liebesverbot oder Die novize von Palermo” (letteralmente “Il divieto d’amare o La novizia di Palermo”). La sfrenata passione per Bellini aveva spinto Wagner ad ambientare questi due atti sul proprio libretto (ricavato dalla commedia di William Shakespeare “Misura per misura”) in Sicilia, come si intuisce facilmente dal titolo. Il compositore tedesco non ebbe però la possibilità di far valere le proprie intuizioni. La prèmiere fu allestita presso il Teatro Nazionale di Magdeburgo con una platea quasi vuota e altri incredibili colpi di sfortuna.
Ad esempio, il personaggio principale aveva dimenticato completamente la sua parte e fu costretto a improvvisare, rendendo il tutto alquanto bizzarro. Il fiasco fu inevitabile e nel corso della seconda rappresentazione non si riuscì nemmeno ad alzare il sipario sulla prima scena, visto che dietro le quinte era scoppiata una furiosa rissa tra un cantante e il marito del soprano. Fino alla morte di Wagner non venne mai più ripresentata e soltanto nel 1983 rivide finalmente la luce. Si tratta di un’opera giovanile in cui non mancano i limiti e gli aspetti poco chiari, ma anche della testimonianza inequivocabile di quali siano stati i modelli preferiti del musicista tedesco.