“Guglielmo Ratcliff”, Mascagni a un passo dal capolavoro
Povero Guglielmo che dorme e invecchia. Lo finirò, ne sono certo. Guglielmo è tutto per me, io l’ho fatto, io l’eseguisco, io l’applaudo, io son felice.
È una vera e propria dichiarazione d’amore quella che Pietro Mascagni dedica alla sua opera più tormentata e allo stesso tempo più voluta, “Guglielmo Ratcliff”. La prima rappresentazione assoluta fu quella del 16 febbraio 1895 alla Scala di Milano, ma i quattro atti ricavati dal dramma tedesco di Heinrich Heine hanno faticato a entrare nel repertorio. Per quale motivo? Si è parlato spesso del ruolo del tenore, tra i più difficili mai scritti, ma l’analisi della musica deve essere più profonda.
La ballata tragica di Heine non fu certo semplice da tradurre e le parole di Andrea Maffei, morto dieci anni prima, non riuscirono a rendere meno diseguale il lavoro. Mascagni lavorò a lungo a questa composizione, nonostante i continui riferimenti alla prepotente ispirazione e alla creatività immediata. In poche parole, la musica passò più volte dal pianoforte al cassetto della scrivania, con un’altalena di eccitazione e ripensamento davvero incredibile. Il compositore livornese non fu comunque l’unico a interessarsi al lavoro teatrale tedesco, visto che anche il russo Cezar’ Antonovic Kjui e Cornelius Dopper si avvicinarono con interesse al Ratcliff, definito dal celebre critico Filippo Filippi un “bellissimo soggetto d’opera”.
Molto probabilmente il musicista toscano non era consapevole di quanto fosse impegnativa la gestione di un libretto tanto lungo, ma l’amore per l’argomento fu superiore a qualsiasi titubanza. Non è un caso che i suoi ricordi di quel periodo furono sempre piuttosto “pomposi”:
I versi mi parevano tutti belli e li declamavo di notte passeggiando su e giù per la camera.
L’immedesimazione fu dunque totale, nonostante qualche sospiro che si può intuire nelle lettere scritte all’epoca della composizione (“Ah, il mio Ratcliff!“). Complessivamente si deve parlare di un’opera composta da una serie di episodi, ben scandita nei quattro atti, ma con quattro fisionomie ben distinte.
Gli spunti interessanti non sono mancati fin dall’inizio, allora come si spiega questa assenza prolungata dal repertorio? La scrittura vocale di “Guglielmo Ratcliff” è davvero complessa e soltanto pochi tenori sono stati e sono ancora in grado di tenere testa al ruolo principale dell’opera. Il monologo Non altro che delirio è diventato un cavallo di battaglia di Josè Cura, ma si tratta della classica eccezione che conferma la regola. Si potrebbe parlare di un vero e proprio trionfo del romanticismo, con una dose incredibile di emozioni e narrazioni, il Ratcliff però non può essere ridotto a una serie di “numeri” e non è nemmeno inquadrabile in un filone specifico.
Gianandrea Gavazzeni parlò di una sorta di punto di contatto tra il verismo e il romanticismo, ma non è sbagliato nemmeno scorgere delle influenze verdiane. Mascagni parò senza mezzi termini di “polmoni da mettere alla prova”, forse il vero grande limite di quello che poteva essere un capolavoro. La difficoltà vocale, comunque, non ha a che fare con la tessitura, ma più che altro con il canto prolungato: non è un caso che il compositore toscano abbia rilevato delle analogie con l’Otello di Giuseppe Verdi, rappresentato per la prima volta otto anni prima.
Il tenore è senza dubbio l’assoluto protagonista di quest’opera mascagnana di ambientazione scozzese, ma il mezzosoprano (Margherita, la nutrice di Maria), capace di mettersi in luce con un racconto sillabico e struggente e una cantilena nel primo atto, oltre al baritono (il Conte Douglas), messo alla prova con diciannove mi. La presenza quasi superflua del coro e gli interventi cupi dell’orchestra potrebbero essere altre due caratteristiche che hanno reso difficile l’identificazione di questo lavoro e la sua definitiva affermazione.
La presenza contemporanea del Mascagni che si sta formando dal punto di vista musicale e del Mascagni già “stagionato” non è simbiotica e forse per questo motivo si deve parlare di un capolavoro mancato. “Guglielmo Ratcliff” è stato comunque reso immortale da uno dei più celebri film di Martin Scorsese, “Toro scatenato”, vincitore di due Premi Oscar: lo struggente e dolce intermezzo dell’opera (“Il sogno”), infatti, accompagna Robert De Niro nel momento in cui si appresta a salire sul ring per disputare l’incontro del campionato mondiale dei pesi medi, ma non si tratta delle uniche note mascagnane che contraddistinguono questa pellicola. Il regista newyorkese scelse infatti anche un altro intermezzo del compositore livornese, quello di “Cavalleria Rusticana”, e la “barcarola” tratta da “Silvano”.