Gli altri Barbieri di Siviglia nella storia dell’opera
Gioachino Rossini e ancora prima Giovanni Paisiello. “Le barbier de Séville ou La précaution inutile”, fortunata commedia teatrale di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, ha ispirato a lungo l’opera lirica, ma il più delle volte si ricordano quasi esclusivamente i due compositori appena citati. Le versioni meno note sono diverse, l’ultima delle quali risale ad “appena” novant’anni fa. Ma andiamo per ordine. Sui barbieri del musicista tarantino (rappresentato per la prima volta a San Pietroburgo nel 1782) e di quello pesarese (1816) si sono versati fiumi d’inchiostro, in particolare per quel che riguarda gli inconvenienti e le critiche che fu costretto ad affrontare Rossini, boicottato dai seguaci di Paisiello.
A distanza di appena tre mesi dall’infelice prèmiere al Teatro Argentina, comunque, il titolo in questione tornò nuovamente d’attualità. Si trattava di un dramma giocoso in quattro atti messo in musica da Francesco Morlacchi su libretto di Giuseppe Petrosellini. I due presero spunto proprio da Beaumarchais per dar vita a quello che è passato alla storia come “Il nuovo barbiere di Siviglia”, rappresentato per la prima volta all’Hoftheater di Dresda: Morlacchi, perugino classe 1784, aveva già alle spalle numerose opere e in Germania diventò maestro di cappella e direttore dell’Opera Italiana grazie a un contratto molto vantaggioso. I personaggi del suo Barbiere sono quelli consueti, mentre la musica è stata definita da più parti elegante ed efficace.
Un cenno lo merita la sinfonia di questo lavoro, meno frizzante di quella rossiniana, anche perché ha uno stile prettamente settecentesco, ma dotata di una strumentazione accurata e di un linguaggio armonico in evoluzione. Non passò molto tempo prima dell’ennesima riproposizione. Il 13 ottobre del 1818, infatti, venne rappresentato alla Royal Opera House di Londra “The barber of Seville”, un chiaro arrangiamento e adattamento del dramma di Rossini in lingua inglese: la prèmiere fu allestita per conto della Henry Harris and John Philip Kemble Company, sfruttando la musica di Henry Rowley Bishop e il libretto di John Fawcett e David Terry. Che cosa si sa di questa serata di quasi due secoli fa?
Il compositore londinese puntò su tre atti: l’adattamento non fu totale, dato che il pubblico britannico ebbe l’occasione di ascoltare una ouverture e diversi pezzi nuovi di zecca, mentre il libretto fu una semplice traduzione del testo di Sterbini. Tra l’altro, questo dramma include il duetto Oh! Maiden fair, rispolverato dopo i tempi di Paisiello. Ci vorranno cinquant’anni esatti prima di ritrovare un altro barbiere sulle scene teatrali. Si sta parlando del melodramma buffo in due atti di Costantino Dall’Argine, il cui debutto è datato 11 novembre 1868.
Al Teatro Comunale di Bologna fu un insuccesso: il giovane musicista parmigiano non rischiò eccessivamente e non si privò del libretto di Sterbini. Non bastò la direzione d’orchestra di Angelo Mariani ad evitare il fiasco e nemmeno la presenza nel cast di un valido baritono come Senatore Sparapani nel ruolo di Figaro. Musicare nuovamente e dopo così tanto tempo un titolo tanto famoso rappresentò probabilmente un azzardo. Dall’Argine dedicò comunque la sua opera allo stesso Rossini con una lettera piena di ossequi, ottenendo una risposta divertita del pesarese; un confronto non poteva esistere, di conseguenza il melodramma finì ben presto dimenticato e surclassato.
Il flop non dissuase comunque i compositori successivi. Ad esempio, nel 1879 al Teatro Concordi di Padova venne rappresentato lo studio lirico in due atti di Achille Graffigna. Ancora una volta il rischio era altissimo e in effetti Graffigna si giustificò fin dall’inizio, chiedendo l’autorizzazione a Rossini, il quale lo liquidò con una risposta comprensiva (Faccia pure, a questo mondo c’è posto per tutti). Il compositore mantovano precisò che il suo lavoro non era altro che “uno studio musicale informato allo spirito, al carattere e al colorito dell’immortale lavoro rossiniano”, frase che comparve nel primo manifesto.
Come già accennato in precedenza, il Barbiere ispirò anche le note del XX secolo. Un teatro di provincia, il Verdi di Sestri Ponente, accolse il debutto dell’opera in due atti di Alberto Torazza, senza modifiche al libretto di Cesare Sterbini: era il 10 giugno del 1924, l’ultima data in cui la “creatura” di Beaumarchais è stata messa in musica. Un ultimo cenno, infine, va fatto per le altre versioni che dal ‘700 in poi si sono succedute: nel 1776 fu il turno di Friedrich Ludwig Benda, lo stesso anno in cui vi si cimentò Joseph Weigl, senza dimenticare Alexander Reinagle (1783) e Leopoldo Cassone (1922, stroncatura totale).