Napoleone Moriani, il tenore della bella morte
Chi lo vide nel Rolla, opera che morì sulle sue labbra, avrà dovuto proclamarlo attore sovrano non meno che cantante impareggiabile. Gli Spagnuoli lo chiamavano il tenore della bella morte.
È con queste parole che lo scrittore Francesco Regli descrive Napoleone Moriani nel suo celebre “Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici… che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860”. Moriani, passato alla storia proprio come il “tenore della bella morte”, nacque a Firenze il 10 marzo del 1808, poco più di duecento anni fa, dunque l’occasione è quella giusta per essere sfruttata e rispolverare la storia di questo cantante molto apprezzato almeno fino alla prima metà dell’800.
Dopo aver studiato Legge all’Università di Pisa, Moriani cominciò a studiare canto grazie all’interessamento del maestro Carlo Ruga e nonostante qualche dubbio avanzato dal padre sul futuro di quella carriera. L’esordio assoluto che fece conoscere per la prima volta la sua voce avvenne nel 1832, più precisamente in occasione di un evento organizzato alla Scala di Milano per il Pio Istituto Teatrale. Il 1833 fu però l’anno della svolta da questo punto di vista. In effetti, Moriani fu scritturato dal Teatro dei Condomini di Pavia per “Gli arabi nelle Gallie” di Giovanni Pacini: il successo e l’entusiasmo furono talmente grandi che l’impresario si convinse sempre più a riconfermarlo per l’anno successivo.
Da quel momento in poi i teatri più importanti d’Italia se lo contesero. Già a partire dalla stagione successiva, il giovane tenore si esibì al Carlo Felice di Genova e al Nuovo Teatro Ducale di Parma, per poi debuttare nel 1835 al San Carlo di Napoli (nell’opera “Emma di Antiochia” di Saverio Mercadante). Dopo essersi fatto conoscere a Bologna e a Venezia, la stagione 1838-1839 fu quella del prestigioso debutto alla Scala di Milano. È proprio in questo periodo che i destini di Moriani e di Giuseppe Verdi si incrociano, anche se fugacemente. Verdi non ha ancora rappresentato la sua prima opera, ma sembra tutto pronto per “Oberto, conte di San Bonifacio”.
L’impresario della Scala Bartolomeo Merelli puntò su un cast di rilievo per quello che era un compositore esordiente e pressoché sconosciuto: il soprano Giuseppina Strepponi, futura moglie di Verdi, fu conquistata immediatamente dall’opera e per una serie di coincidenze erano presenti contemporaneamente a Milano anche il baritono Giorgio Ronconi e Moriani, come previsto da contratto. Fu proprio una indisposizione del tenore fiorentino (i primi sintomi dei problemi che affliggeranno in seguito la laringe) a far slittare tutto, ma grazie alle ricerche di Frank Walker si è scoperto un aspetto privato di Moriani.
In effetti, nonostante fosse sposato e avesse una famiglia, come testimoniato dalla corrispondenza di quel periodo, intraprese una relazione segreta con la Strepponi da cui nacquero due figli illegittimi, entrambi morti giovanissimi, una storia durata quattro anni di cui si parlò molto nel mondo teatrale. Tornando a parlare della sua carriera artistica, a partire dal 1840 cominciò a cantare anche all’estero. Il pallore cadaverico del suo viso si può ben notare in un ritratto conservato presso il museo della Scala, un colorito accentuato come non mai dal trucco e dalle luci dei teatri e reso verosimile dall’incredibile capacità di rendere “autentica” la morte dei personaggi.
Un critico del giornale La Fama ne parlò così nel 1844:
L’ammazzarsi della vita è espresso da un canto che ha le tinte, il raccapriccio della morte; è un narciso che infranto piegasi, e nel cui seno piange lamentevole l’eco che fugge.
All’estero fu costretto a sopportare qualche critica, tanto che il pubblico parigino si dimostrò piuttosto freddo di fronte al suo canto appassionato: andò meglio a Vienna, dove riuscì a dare il meglio di sé nel repertorio di Bellini e Donizetti e fu nominato addirittura Cantante di Camera dall’Imperatore d’Austria. I ruoli che maggiormente caratterizzarono il suo repertorio furono senza dubbio l’Edgardo della “Lucia di Lammermoor” e il Gennaro della “Lucrezia Borgia”.
Le cronache dell’epoca sottolinearono inoltre gli alti compensi che percepiva per ogni recita e le speculazioni di cui fu protagonista e che rischiarono di farlo finire sul lastrico. Il declino inevitabile cominciò nel 1846, all’età di appena 38 anni: il critico Paolo Scudo riferì come le capacità attoriali non potevano essere discusse, ma la voce stava diventando sempre più vecchia e stanca. Nel 1851 cantò nel suo ultimo ruolo, al San Carlo di Napoli. Si trattava dell’Enrico della “Maria di Rudenz” e le difficoltà furono enormi. Moriani morì a Firenze pochi giorni prima di compiere 70 anni, nel 1878, dopo aver trascorso l’ultimo periodo della sua vita in una tenuta acquistata presso Greve in Chianti.