Verdi e Wagner, più simili di quanto si creda
Ne sono consapevole, il titolo di questo pezzo potrebbe far storcere il naso a molti, ma ci sono valide ragioni per averlo scelto. Si sta infatti parlando dei due grandi “rivali” dell’opera lirica, due giganti della musica che sono stati in grado di lasciare un messaggio ben preciso ai posteri. Non si tratta di un semplice accostamento dettato dal fatto che sia Giuseppe Verdi che Richard Wagner siano nati nel 1813, ma il fatto di aver respirato atmosfere storiche e culturali simili la dice lunga sulla loro formazione e i loro lavori. Anzitutto, visto che spesso si tende un po’ troppo a contrapporre i due compositori, ma quali sentimenti provavano realmente l’uno nei confronti dell’altro?
Il primo punto di contatto sta proprio in quello che hanno incarnato, visto che Verdi e Wagner sono stati visti come una figura di riferimento per una determinata idea di nazione, libera e democratica, anche se in maniera differente. Tutte quelle persone che seguirono le loro spoglie mortali nel momento dell’ultimo addio sono una testimonianza fondamentale di questo riconoscimento del popolo per il ruolo svolto nel costruire una idea di stato. Ma non bisogna limitare tutto a una questione politica. Le grandi distanze tra i due cigni di Busseto e Bayreuth si sono allargate quando la critica ha cominciato a sminuire l’opera verdiana, non ritenendola paragonabile e accostabile a quella di Wagner: si è rimproverato al “mago” di essere stato troppo semplice, spontaneo e perfino provinciale e rustico, proprio quegli elementi che ne avevano decretato il successo per un secolo intero.
Eppure, se si scandagliano a fondo i pensieri e le riflessioni dei compositori in questione si scoprono affinità insospettabili: il tedesco è noto per aver completamente rivoluzionato il pensiero musicale con la cosiddetta “Opera Totale” (Gesamtkunstwerk in lingua teutonica), una sorta di amalgama perfetto delle arti della poesia, della musica e del dramma. L’opera lirica non è stata più considerata una lunga serie di pezzi chiusi, ma un fluire unico di note, una sinfonia continua e perfetta. Ma anche Verdi la pensava allo stesso modo e in tempi non sospetti, visto che si vogliono far pesare le influenze wagneriane in molti lavori maturi. In effetti, ben prima che la celebre Tretalogia fosse rappresentata per intero, il bussetano parlava in maniera piuttosto chiara della sua arte: Io non sono mica uno che scrive pezzi e arie, io compongo un dramma in musica! Si tratta di un’affermazione perentoria in risposta alle critiche della censura napoletana sul suo Ballo in maschera, visto che si richiedevano grosse modifiche, pensando erroneamente che la musica avrebbe contribuito al successo.
Insomma, il punto di vista è identico e se Simon Boccanegra, Otello, Don Carlos e Aida sono spesso stati considerate come opere influenzate dall’astro nascente di Wagner, in realtà si deve parlare della normale evoluzione musicale dei suoi drammi. La fortuna ha voluto che la critica rinsavisse su Verdi, riconoscendo il giusto pregio del suo lavoro, ma non deve essere stato facile vivere questa rivalità a distanza.
Entrambi hanno perseguito l’ideale di un teatro che fosse libero dai soliti schemi, senza duetti, terzetti, cori e finali, in pratica un solo pezzo. Una sintonia di cui si parla ancora troppo poco. I due non si incontrarono mai, ma abbiamo delle testimonianze scritte su come Verdi fosse rimasto esterrefatto dalla musica di Wagner, bollandolo come “matto” dopo aver ascoltato la sinfonia del Tannhauser, ma allo stesso tempo conservava le pubblicazioni dei suoi spartiti, segno che ha approfondito le sue novità. I destini dei due coetanei si sono incrociati a ripetizione e un segno evidente di questo stretto “rapporto” si ha proprio con i momenti finali della vita di entrambi. Quando Wagner muore, nel 1883, Verdi commentò in maniera inequivocabile: Triste, triste, triste! Wagner è morto! Quando ieri ho letto il dispaccio, sono rimasto atterrito! Non discutiamone! Una grande individualità scompare! Un uomo, che lascia un’impronta poderosissima nella storia dell’arte!
Lo stesso discorso si può fare per la morte di Verdi, nel 1901, con l’impresario della Scala di Milano, Giulio Gatti Casazza, che ricordò il triste momento: Un’emozione indicibile si impadronì di me. Era notte, mentre me ne andavo verso la Scala, dove si era conquistato i suoi allori, pensavo: “Possa tu riposare in pace, Maestro, grande e sincero! La tua opera vivrà per sempre! Per quanto brillanti e abbaglianti siano gli squilli di tromba di Bayreuth, non potranno mai soffocare la voce di Rigoletto, Violetta o Otello.