Vincenzo Capecelatro e l’ingiusta fama di iettatore
Quattro opere liriche, una messa a grande orchestra e molte romanze da camera per canto e pianoforte. È questo il repertorio che può vantare Vincenzo Capecelatro, compositore napoletano che però è conosciuto per lo più per la sua fama da iettatore. Si tratta di una fama meritata? Secondo il drammaturgo francese Henry de Montherlant, la sfortuna non è altro che il segno di una falsa interpretazione della vita. Cerchiamo ora di capire se lo stesso discorso vale anche per Capecelatro. Classe 1815, il musicista campano imparò le prime nozioni dalla madre, considerata da tutti un’ottima pianista, per poi passare alle lezioni di composizione di Nicola Antonio Zingarelli e Francesco Ruggi.
L’esordio operistico risale invece al 1837, anno in cui la sua “La soffitta degli artisti” fu rappresentata all’Accademia Filarmonica di Napoli: si tratta di una evidente anticipazione di quella che quasi sessant’anni dopo sarebbe stata “La bohème” di Puccini. Le altre tre opere sono “Mortedo” (Napoli, Teatro San Carlo, 1845), per la quale ebbe due interpreti eccellenti come Eugenia Tadolini e Gaetano Fraschini, “David Riccio” (Milano, Teatro alla Scala, 1850), un sonoro fiasco, e “Gastone di Chanley” (Firenze, Teatro della Pergola, 1854), su cui si hanno notizie frammentarie. I titoli in questione e i due album di romanze che riuscì a pubblicare sono però stati dimenticati e Capecelatro viene citato in rare occasioni.
Gli aneddoti collegati alla sfortuna si riferiscono quasi interamente a una occasione, la prima rappresentazione della “Luisa Miller” di Giuseppe Verdi al San Carlo di Napoli l’8 dicembre 1849. Verdi e Capecelatro erano ottimi amici e lo rimasero per tutta la vita, segno che il Cigno di Busseto non prestava fede a certe dicerie. Secondo la ricostruzione di Arthur Pougin nella sua “Vita aneddotica di Verdi”, gli amici del bussetano volevano evitare a tutti costi un nuovo fiasco dopo quello dell'”Alzira”, opera che nel 1845 non convinse affatto i napoletani (e neanche lo stesso Verdi a dire la verità).
Verdi raggiunse la città e alloggiò presso l’Hotel de Russie e i suoi sostenitori fecero di tutto per annullare qualsiasi incontro tra lui e Capecelatro, montando addirittura la guardia e sorvegliando ogni suo movimento. Capecelatro si recava spesso all’albergo dell’amico, ma veniva respinto senza troppi complimenti oppure rimproverato se osava insistere. Quando poi Verdi usciva, era letteralmente circondato da questi fanatici, sempre intenzionati a scongiurare il minimo contatto con il presunto iettatore. Il compositore sopportò questo trattamento e si convinse che fosse fatto tutto per il suo bene, vista l’ammirazione che ogni giorno gli dimostrava quella gente.
“Luisa Miller” non andò male, ma le reazioni non furono univoche e il terzo atto fu accolto addirittura con freddezza. Che colpa poteva averne Capecelatro? La sera dell’8 dicembre fu in grado di raggiungere Verdi e di abbracciarlo per complimentarsi con lui: entrambi si salvarono a stento dalla caduta di una pesante quinta proprio in quel momento, una coincidenza che alimentò ulteriormente le maldicenze. Ad aggiungere benzina sul fuoco ci ha pensato Folchetto, pseudonimo del giornalista e scrittore Jacopo Caponi, che aggiunse molte note al libro di Pougin. A suo dire, la triste fama di Capecelatro a Napoli lo seguì persino a Parigi.
Il critico musicale Pier Angelo Fiorentino era costantemente preoccupato di incontrarlo nella città francese, tanto da insospettire Capecelatro, anche perché si consideravano amici e si davano del tu. Il compositore napoletano venne a sapere che ogni mattina Fiorentino faceva colazione al Café Cardinal, locale in cui si incontravano moltissimi italiani. Capecelatro lo vide un giorno e cercò di sedersi vicino a lui, ma Fiorentino chiese in tutta fretta il conto e si allontanò con la scusa di impegni urgenti, una scena ripetuta altre volte in seguito. Quattro giorni dopo scambiarono anche delle battute.
Capecelatro si posizionò davanti al critico e quando quest’ultimo cominciò ad alzarsi lo prese per un braccio e gli chiese il motivo di quelle sparizioni improvvise ogni volta che si incontravano. Il musicista partenopeo lo considerò un vero e proprio insulto a cui bisognava rendere ragione. Fiorentino si spaventò parecchio all’idea di battersi con quello che era considerato uno iettatore patentato e scappò velocemente. Non ci sono prove di collegamenti tra queste credenze della gente e i fiaschi delle opere, ma è piuttosto triste che una persona tranquilla e innocua come Capecelatro venisse isolata in maniera tanto evidente, un comportamento che purtroppo non è difficile incontrare anche ai giorni nostri.