Rossini e il finale del “Mosè” che accompagna le processioni religiose
‘Mi manca la voce’ è uno dei capolavori che resisteranno a tutto, anche al tempo, grande distruttore di mode musicali: il suo linguaggio viene dall’anima e non cambierà mai.
Le parole di Honorè de Balzac, il celebre scrittore francese autore de “La commedia umana”, testimoniano bene l’impressione che il “Mosè” di Gioachino Rossini ha esercitato e continua a esercitare sul pubblico. In questo caso si parla di uno dei brani più celebri dell’opera, nella parte finale del terzo atto della versione definitiva. Proprio in questo finale si possono ascoltare delle note che vengono suonate dalle bande di ogni parte d’Italia per accompagnare processioni e feste religiose. Solitamente questa musica viene definita erroneamente “marcia del Mosè”, ma in realtà è un semplice finale a cinque voci. Approfondire la storia del lavoro rossiniano aiuta a capire meglio la genesi di un motivetto che per molte persone è diventato popolare e associato a un momento di festa.
“Mosè in Egitto” venne rappresentata per la prima volta come azione tragico-sacra in tre atti il 5 marzo 1818 al Teatro San Carlo di Napoli. Non fu un debutto memorabile, anzi il pubblico sghignazzò più volte a causa di una serie di incidenti scenici. Dopo anni di oblio Rossini propose una nuova versione dell’opera per il pubblico francese, “Moïse et Pharaon, ou Le Passage de la mer Rouge”. La prèmiere ebbe luogo all’Opéra di Parigi il 26 marzo del 1827 e il libretto di Andrea Leone Tottola venne semplicemente tradotto e adattato da Étienne de Jouy. A sua volta questa nuova versione doveva essere presentata in Italia e questa volta il libretto venne curato da Luigi Balocchi. Rispetto al “Mosè” di nove anni prima erano stati introdotti ballabili e un atto in più. Il nuovo terzo atto fu proprio quello in cui Rossini perfezionò il finale che viene eseguito puntualmente dalle bande.
In realtà i cambiamenti non conquistarono il pubblico italiano: dopo alcune rappresentazioni (in particolare a Perugia), la nuova versione del “Mosè” tornò a Napoli e gli spettatori partenopei confessarono di preferire il melodramma originale. Nonostante lo scarso gradimento il titolo entrò presto nei repertori, diventando in breve tempo l’opera tragica di Rossini più famosa e amata insieme al “Guglielmo Tell”. Per il nuovo terzo atto il compositore pesarese si affidò al cosiddetto “falso canone”, con le voci che si aggiungono poco per volta. Visto l’argomento biblico, tra l’altro, questo “Mosè” influenzò diverse opere degli anni successivi, a partire dal “Nabucodonosor” di un ancora non famoso Giuseppe Verdi.
Il finale del terzo atto è noto in tante città italiane grazie alle bande che regolarmente rispolverano lo spartito. Un esempio emblematico è quello di Campobasso e del Corpus Domini. Ogni anno il capoluogo molisano vive con grande passione la processione dei “Misteri” che sfila per le strade con uno spettacolo a dir poco suggestivo. Da tre secoli i campobassani dimostrano la loro devozione e l’amore per le tradizioni e l’intera giornata ha una colonna sonora che è entrata nel cuore di tutti. La musica della processione è quella di Rossini e del suo “Mosè” revisionato per il pubblico francese. Il ritmo della marcia è allegro e festoso, con le varie bande che sono posizionate strategicamente tra i 13 Misteri, in modo che tutti possano ascoltare le note.
Questa processione è un vero e proprio rituale, al punto che i “massari”, coloro che portano i Misteri in spalla, procedono a tempo di marcia e alternano fermate e ripartenza al suono rossiniano. L’opera del musicista marchigiano non viene riprodotta soltanto a Campobasso comunque. Gli esempi sono davvero numerosi, in particolare in Puglia, in Campania e in Abruzzo. Ma perché proprio questo brano? Non è possibile risalire al momento esatto in cui si è deciso di trasformare il finale del “Mosè” in un pezzo bandistico, ma l’argomento sacro ha di certo aiutato nella scelta. Il terzo atto è un momento fondamentale per il melodramma e si conclude con il Faraone che viene incalzato dai sacerdoti e che decreta la deportazione degli Ebrei nel deserto.
Mosè invita quindi il suo popolo a non farsi prendere dal panico con l’esortazione Raddoppiate di zelo e d’amore, È il Signor che vi chiama, il Signore: Non temete, vi guida Mosè. Sono queste le parole tradotte dal librettista Balocchi che Rossini ha messo in musica in quella che oggi viene considerata una marcia allegra. In realtà le note del compositore accompagnano un momento drammatico dell’opera, ma il concertato e il crescendo tipico rossiniano non possono lasciare indifferenti. Come avrebbe reagito lo stesso Rossini se avesse saputo di questo interesse “popolare” nei confronti della sua musica e dell’accostamento con gli aspetti religiosi? Nell’800 il giudizio sulla sua musica non profana era decisamente perentorio.
Ecco cosa si poteva leggere in alcuni saggi critici francesi:
Noi crediamo dunque che il compositore religioso sarà grandemente contestato a Rossini appunto perché egli ha fatto una musica religiosa differente da quella di Mozart, di Cherubini, e da quella di tutti coloro che l’hanno preceduto.
Esistono vari tipi di Rossini: quello comico, quello corale, ma anche quello cortigiano e quello religioso. Le sfaccettature sono tantissime. La produzione sacra è dominata da due capolavori come lo Stabat Mater e la Petite Messe Solennelle, testamenti spirituali in cui non si possono mettere in dubbio le buone intenzioni religiose, quindi l’abbinamento “Mosè”-processioni non è affatto azzardato.