Rubriche 2021

Giuseppina Grassini, il contralto che fece innamorare Napoleone

Non c’è niente di meglio di un recitativo interpretato col metodo della Grassini e l’anima della Pasta. 

È Stendhal a esprimere questo giudizio lusinghiero sul contralto Giuseppina Grassini nel 1827. Lo scrittore francese era un melomane appassionato e competente e questa breve frase fa capire molto bene di che tipo di cantante si trattasse. Nata a Varese il 18 aprile del 1773, la Grassini è ricordata soprattutto per due motivi. Fra le sue allieve ci furono nomi illustri come quello di Giuditta Pasta e delle nipoti Giuditta e Giulia Grisi, inoltre fu anche una delle amanti di Napoleone Bonaparte. La sua vita ci racconta però molto altro.

La madre era una violinista dilettante e i primi rudimenti le furono insegnate proprio da lei. Il debutto è datato 1789, per la precisione a Parma in occasione de “La passerella nobile” di Pietro Alessandro Guglielmi. L’inizio della carriera fu caratterizzato da molti ruoli buffi, anche se lo scarso successo di queste esibizioni la convinse a cambiare profondamente il genere. Dalle commedie si passò quindi ai drammi e fu proprio questa decisione a illuminare la stella della cantante lombarda. La Grassini ricordò sempre il 1796 come il suo anno più importante, quello della consacrazione. Si tratta del periodo in cui creò i due ruoli più famosi del suo repertorio.

Nicola Zingarelli scrisse appositamente per lei “Giulietta e Romeo”, nello specifico il ruolo di Giulietta (la prèmiere ebbe luogo il 30 gennaio 1796 alla Scala di Milano), mentre ne “Gli Orazi e i Curiazi” di Domenico Cimarosa (il 26 dicembre dello stesso anno alla Fenice di Venezia). Determinante risultò anche la collaborazione con il sovranità Girolamo Crescentini, i cui insegnamenti rimasero nella mente della Grassini fino all’ultima recita della carriera. Non si può certo dimenticare la relazione con Napoleone, già ricordata in precedenza. Galeotta fu una rappresentazione alla Scala di Milano.

Il 4 giugno 1800 era in programma una replica de “La vergine del sole” di Gaetano Andreozzi per celebrare la recente vittoria di Marengo e il contralto varesino fece colpo su Bonaparte proprio mentre cantava. Il rapporto venne vissuto alla luce del sole a Parigi, anche se poi la cantante si invaghì del violinista Pierre Rode, senza il timore di ostentare questi sentimenti visto che era una donna dallo spirito più che libero. A Londra, invece, il suo cuore cominciò a battere per l’acerrimo nemico di Napoleone, il Duca di Wellington, a testimonianza di una situazione sentimentale turbolenta come poche altre. Dopo il ritiro dalle scene si dedicò all’insegnamento e alla formazione di altre cantanti che avrebbero conquistato importanti palcoscenici.

Le caratteristiche tecniche della voce sono state ricostruite e approfondite grazie alle testimonianze dell’epoca. Giuseppina Grassini morì nel 1850 a 77 anni, dunque non possono esistere reperti che ci consentano di ascoltare il suo canto. Stendhal la citò spesso nelle sue opere e negli articoli. Ad esempio nel 1817 fu decisamente esplicito nel citare il contralto. Ecco le sue parole: I suoi concittadini non possono che essere orgogliosi di lei. Sa cantare “Ombra adorata, aspetta” (da “Giulietta e Romeo”) e “Svenami” degli Orazi. Si piange ed è il cuore ad applaudire

Nel 1819, invece, lo scrittore transalpino è meno gentile nei suoi confronti. Quattro anni dopo la Grassini si sarebbe ritirata dalle scene (aveva 46 anni, un’età non indifferente all’epoca) e si può immaginare la stanchezza dell’ultima fase della carriera. Stendhal scrisse all’amico Adolphe De Mareste dimostrandosi ben informato su molti particolari privati del contralto, in particolare il fatto che avrebbe guadagnato 10mila franchi per cantare due mesi a Brescia e che il canto non era più quello di un tempo (La voce è logora). Il giudizio tipico che si è fatto sul suo conto ha a che fare con gli insegnamenti impartiti da Crescentini durante l’improvvisa e brillante ascesa.

Insieme ad altri cantanti, Giuseppina Grassini rimase sempre convinta del fatto che il Belcanto non poteva essere esasperato visto che non erano pochi gli interpreti che cercavano di raggiungere note assurde e acuti non richiesti, per non parlare delle colorature. L’obiettivo del contralto varesino e di altri colleghi era quello di far tornare questo canto alle bellezze della prima metà del XVIII secolo, una intuizione giusta e che portò al crescente successo delle opere di Gioachino Rossini e all’inconfondibile crescendo. A quasi due secoli e mezzo di distanza dalla nascita il mito di questo contralto merita ancora di essere ricordato come una delle voci più apprezzate dell’opera italiana.