Interviste 2021

Intervista a Vincenzo Milletarì

Incontriamo il Maestro Milletarì impegnato in questi giorni in Rigoletto all’Opera di Stato di Praga.

Maestro Milletarì, la sua formazione inizia dalla Puglia,terra della sua giovinezza, prosegue al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano e poi alla Royal Danish Academy of Music di Copenaghen: quali sono le principali similitudini e differenze, sotto il profilo culturale e sociale,che ha potuto riscontrare tra il Bel Paese e l’Europa del Nord?

Nel mondo dell’istruzione di alto livello i punti in comune sono spesso molti, in Italia come all’estero, specialmente nel campo artistico c’è una forte apertura al panorama internazionale e, almeno nel mio caso, ho avuto sempre la fortuna di studiare con personaggi di altissimo profilo. La vera differenza che ho trovato è che nelle istituzioni straniere di alto livello c’è anche la cura della trasformazione dello studente in futuro musicista professionista, in futura componente di una rete composta da teatri, orchestre e istituzioni. Oltre ad educarmi, in Danimarca, mi è stata data la prima possibilità di iniziare con dei piccoli progetti, di poter approfondire il repertorio che volevo, di poter viaggiare, spesato da loro, per poter fare concorsi e conoscere artisti che sono stati fondamentali per la mia crescita. Un conservatorio che produce con 280 studenti circa 500 concerti l’anno, dà a tutti la possibilità di mettersi in luce, e spesso in sala c’erano agenti. Il mio primo agente l’ho trovato così.

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Vincenzo Milletarì


Nel suo curriculum spicca senza dubbio l’esperienza di perfezionamento del repertorio operistico con il Maestro Riccardo Muti: cosa significa, per un giovane direttore accostarsi ad uno dei più grandi direttori del panorama attuale? Quali insegnamenti ha trattoda questa esperienza?

Il Maestro Muti è sempre stato per me una figura di riferimento, fin da quando mi sono approcciato alla direzione. Se guardo indietro ai due anni in cui ho frequentato il Maestro, riconosco che mi sarebbe piaciuto avere a disposizione qualche anno in più. Allora ero cosciente della grandezza di ciò a cui stavo assistendo ma forse non ero abbastanza maturo per comprendere completamente il messaggio. Ancora oggi, mi ricordo di un dettaglio di una prova, o di una frase e finalmente riesco a darmi una risposta completa che ogni tanto sei anni fa non riuscivo a darmi. Credo che per ancora molti anni rifletterò intensamente su tutta la costruzione drammaturgica che parte dal testo, sullo studio maniacale del libretto, ma specialmente sulla costruzione di un ritmo musicale narrativo che sia incalzante ma che lasci spazio alle voci. Per questi insegnamenti, ero, sono e resterò devoto al Maestro Muti.

La sua carriera prende avvio da alcuni dei più importanti teatri del Nord Europa (ricordiamo ad esempio l’Opera di Stato di Praga, la Royal Danish Opera e la Royal Swedish Opera): cosa significa il melodramma per il popolo nordico? Quali sono le reazioni del pubblico davanti alle melodie dei capolavori immortali dei nostri compositori?

In realtà, sembra strano dirlo, il Nord Europa e specialmente la Scandinavia hanno un rapporto molto stretto con il melodramma italiano. Sia a Copenhagen che a Stoccolma, grandi direttori italiani sono passati e hanno lasciato il segno, ogni tanto trovo arcate di Bartoletti, di Patanè ma anche di Sanzogno o più recentemente di Gelmetti. Nonostante in quei paesi ci sia una forte vicinanza al repertorio di Weber, Wagner e Strauss, la conoscenza del repertorio italiano, specialmente verdiano e pucciniano, è forte. Inoltre, hanno voglia di confrontarsi con rispetto ma senza alcuni dei dogmi e tabù che noi italiani abbiamo e questo rende piacevole fare l’opera italiana all’estero.

In questi giorni è impegnato nelle prove della produzione di Rigoletto che andrà in scena all’Opera di Stato di Praga; ci parli di questa produzione: come è possibile oggi allestire uno spettacolo nel rispetto delle misure di contenimento anti-Covid?

In realtà è semplicissimo, ogni lunedì, tutto il teatro fa il tampone e poi procediamo tranquillamente come in qualsiasi posto di lavoro con i dovuti distanziamenti. I cantanti vivono praticamente in bolle composte da casa e teatro e riescono a cantare e a recitare in maniera normale, noi dell’orchestra che abbiamo meno difficoltà a mantenere le distanze e con le dovute protezioni, riusciamo a provare in serenità e sicurezza. Non abbiamo avuto un contagiato dall’ inizio delle prove. Mi auguro che continui così.

Come viene gestita nei paesi del Nord Europa la macchina teatrale alla luce  dell’attuale situazione di emergenza dovuta all’epidemia? Quale futuro ci attende secondo lei? Lo streaming da ora in poi continuerà ad affiancarsi allo spettacolo dal vivo?

Sono personalmente fiducioso che prima o poi si ritorni in teatro e non so quanto lo streaming rimarrà una componente fondamentale una volta che tutti avranno la possibilità di assistere in sicurezza ad un’opera. Quello che può essere adesso l’unico modo per mettere in comunicazione il teatro con il suo pubblico ha un unico difetto, che è lo stesso che c’è tra il mangiare una pizza in pizzeria o a casa col delivery: manca tutta l’esperienza attorno.

Verdi compose Rigoletto all’età di quarant’anni circa, c’è una lettura che un giovane Direttore come lei può preferire?

Sarà forse il momento in cui viviamo, ma sono molto interessato a tutti i colori cupi che questa partitura possiede. E’ una delle tante opere notturne verdiane, si respira un’aria pesante, a stento si riescono a capire i contorni di un mondo avvolto nella nebbia e tutta l’opera è attraversata da questo Do, privo di tutte le modulazioni armoniche, che non è altro che un canto di morte, con cui preludia l’intera storia.

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Vincenzo Milletarì


L’estate scorsa ha potuto dirigere un altro capolavoro della trilogia popolare verdiana, “Il Trovatore”: ci racconti questa esperienza e più in generale qual’ è lo spirito che lei ha colto di questa partitura.

In realtà si lega a doppio filo con Rigoletto, ho modificato alcune cose in Rigoletto dopo aver diretto Trovatore, proprio perché mai mi sarei aspettato che un’opera riuscisse a darmi un senso di claustrofobia come questa. Una notte eterna dove tutto accade fuori, distante, in cui i personaggi raccontano il mondo circostante e i propri sentimenti, forse più a loro stessi che agli altri,  schiacciati da una casualità che non riescono a sovrastare. Potrebbe essere un film di Bergman. E tutto questo rende il concertato alla fine del secondo atto una boccata di ossigeno come quelle dopo una grande nuotata.

Cosa significa dirigere Verdi in Italia e nel nord Europa?


Essere fortunati, tanto fortunati.

Nei giorni in cui va in scena Rigoletto ricorre l’anniversario in memoria della morte di Giuseppe Verdi, 27 gennaio1901: dallo studio dei lavori che ha diretto, chi è per lei questo compositore?

È l’amico che mi aiuta nei momenti difficili, il papà che mi consiglia nelle scelte importanti, il fratello con cui condividere tutto.

Quali titoli le piacerebbe affrontare e perché?

Macbeth è il mio sogno ricorrente, poi ci sono Simone e Don Carlo, e poi riprendere Ballo in Maschera, se si parla di Verdi. Vorrei dirigere Lulu e Der Freischütz,  Tannhäuser, Walküre e Lohengrin, e se riuscirò a trovare il tempo per imparare il russo e il cèco, Onegin e Rusalka.

Le piacerebbe essere un cantante? E nel caso in che ruolo?

In realtà sarei un tenore, un Pinkerton o un Don José scadenti. Ogni tanto ci penso e sorrido, ma non credo riuscirei mai a farlo come professione, ho molto rispetto dei cantanti, fanno una vita complicata, sempre dipendenti dalla loro voce. Impazzirei se dovessi rinunciare ad una recita.

Come concilia la vita di un trentenne con la sua impegnativa professione?

Bene, Covid a parte, non credo che ci sia professione più giusta – per un trentenne – della direzione d’orchestra! Si viaggia tanto, si visitano sempre posti diversi e si conosce tanta gente, è il motivo principale per cui adesso non sono un pilota d’aerei è che in questa vita c’è anche la musica. Quando sono a casa, se non studio, sono o in piscina o davanti a un libro di lingue, o in compagnia del mio cane. Tano, un vero amico.

FOTO di Hana Smejkalová e Roberto Ricca.