Aida
Alla Scala di Milano una Aida in forma di concerto con un inedito di rilievo.
Disegnare con la propria arte una parte di mondo sconosciuta ma comunque credibile e coerente: questa la sfida che spesso affrontano musicisti e scrittori, Stoker con Dracula, Puccini con Turandot e Madama Butterfly, Bizet con Carmen, e Giuseppe Verdi con Aida, sua terz’ultima opera. Il Chedivè d’Egitto, Isma’il Pascià, chiede infatti nel 1870 a Verdi, mai recatosi nel suo paese, di scrivere un’opera per l’inaugurazione del nuovo teatro del Cairo, che a sua volta celebra l’apertura del canale di Suez. Una storia tutta italiana ruota attorno a questo teatro: costruito in legno in pochi mesi su progetto del livornese Pietro Avoscani e decorato nella grande sala da Cesare Biseo. Il pittore romano, continuerà poi la sua vocazione orientalista, grazie soprattutto all’incontro, nella capitale egiziana, con un altro specialista del genere: Stefano Ussi. Questi ed altri pittori costituiscono l’ossatura dell’orientalismo Italiano, costola minore del movimento francese ed inglese; fra gli artisti di questa corrente è interessante ricordare proprio il bussetano Alberto Pasini, compaesano di Verdi, che dopo essersi formato nello studio di Théodore Chassériau, diffonderà in ambito nazionale il gusto per queste terre lontane. È bello pensare quindi che se il cigno di Busseto non è mai stato in Egitto, può essersi ispirato alle tante opere pittoriche di moda in quel momento, in una sinestesia fra musica e pittura che forse ha prodotto quella che, in origine, doveva essere la sua ultima opera: Aida.
Questa edizione va in scena alla Scala di Milano in forma di concerto con una grande novità: l’inedito inizio del terzo atto, otto minuti di musica e coro “alla Palestrina” per dirla con le parole di Giuseppe Verdi che vengono eliminati dallo stesso compositore nel 1871 perché non perfettamente in linea con le atmosfere esotiche cercate. Le battute eliminate, e sostituite con l’incipit del terzo atto a tutti noto, confluiranno poi nella Messa da Requiem (Te decet hymnus). Una scelta, quella del Maestro Chailly che segue, come dichiarato in conferenza stampa, una voglia di conoscere e approfondire Verdi per capire dall’interno il processo di composizione e le scelte operate, in un iter di ricerca storica a cui il direttore d’orchestra milanese ci ha già abituato in ambito pucciniano.
Riccardo Chailly torna a dirigere l’opera “archeologica” di Verdi dopo l’apertura della stagione 2006/2007 , la sua lettura è totalmente concentrata nel creare un mondo di sonorità esotiche, per dare voce alla grande ricerca compiuta in questo senso dal compositore, la partitura è letta con infiniti colori, con una attenzione lenticolare ai dettagli, soprattutto nei volumi e negli sfumati, una esecuzione lucida e razionale, dal sapore novecentesco.
L’Orchestra del Teatro alla Scala, in piena simbiosi con il Maestro, mostra una forte coesione e crea un suono limpido e ben tornito, un plauso particolare va ai fiati e agli archi.
Il Coro del teatro alla Scala, sempre splendidamente diretto da Bruno Casoni, ha cantato, come sempre, con grande generosità e bravura, ottenendo meritati applausi, nonostante l’infelice posizione ai lati della scena e l’uso a delle mascherine per ricreare l’effetto di lontananza del canto fuori scena.
Nel cast la prestazione più eclatante è sicuramente quella di Anita Rachvelishvili che torna alla Scala dopo cinque anni di assenza. Il mezzosoprano georgiano mostra uno strumento vocale prezioso, vellutato e dal seducente colore chiaroscurale, omogeneo tra i registri, saldo in acuto con ottimo squillo, naturale e ben timbrato in basso e capace di impressionante proiezione. Pur essendo una recita in forma di concerto, l’artista sa essere imperiosa e regale sul proscenio, accenta ogni parola con una tale appropriatezza stilistica che sembra quasi scolpire il testo verdiano, mostrandosi ora figlia dei faraoni, ora tigre ferita nell’orgoglio. Una prestazione d’altri tempi insomma, salutata, al termine della magnifica aria di quarto atto e, in special modo al termine della recita, con una grande e meritata ovazione proveniente non dal solo pubblico, ma anche da orchestrali e coristi.
Nel ruolo del titolo Saioa Hernández, già nota al pubblico scaligero dopo essere stata Odabella nell’Attila inaugurale della stagione 2018/2019. Anche in questa occasione il pubblico ha apprezzato il soprano spagnolo per il suo registro acuto saldo e penetrante e per lo slancio arroventato, mostrato soprattutto quando deve emergere un carattere più coriaceo e combattivo, come nel duetto con Amneris di secondo atto. Pur nell’ambito di una prestazione di buon livello, manca forse in parte quell’abbandono sensuale, specialmente nel terzo e quarto atto, che rende le principessa etiope meno volitiva e più donna innamorata.
Francesco Meli affronta il personaggio di Radames con grande intelligenza e sempre attento al rispetto dell’accento verdiano; sapiente è l’uso delle mezze voci (sebbene talvolta il tenore genovese ricorra anche a falsetti) che gli consentono suggestive sfumature. La difficile aria di primo atto “Se quel guerrier io fossi”, ad esempio, è ben riuscita grazie al contrasto tra l’incipit solenne ed eroico e le sfumature ottenute attraverso un bel gioco di chiaroscuri nel proseguo. La sua interpretazione tende pertanto a sbalzare sopratutto un guerriero ambizioso e coraggioso, ma anche innamorato e malinconico. Durante la recita, specialmente a partire del terzo atto, si avverte qualche segnale di stanchezza, dovuta forse ad una forma fisica non ottimale, che non gli impedisce comunque di concludere la serata con un’esecuzione toccante del poeticissimo duetto finale con Aida.
Debutta sulle tavole del Piermarini il baritono Amartuvshin Enkhbat nei panni di Amonasro; il suo timbro luminoso e solare, l’omogeneità tra i registri e la facilità negli acuti, oltre ad una dizione assolutamente perfetta, gli valgono ampi consensi da parte del pubblico. Il fraseggio composto ed elegante gli consentono di sbalzare un personaggio nobile che sembra rifuggire dal cliché di certa parte della tradizione che vuole Amonasro come un re barbaro.
Ramfis è qui impersonato, con risultati ampiamente soddisfacenti, dal basso Jongmin Park che fa sfoggio di uno strumento espressivo e ben controllato, oltre che un’adeguata capacità di controllo del fraseggio.
Roberto Tagliavini, pur nella breve parte del Re, cesella un cameo di rilievo grazie al bel colore caldo ed avvolgente della voce, una spiccata musicalità e un fraseggio regale.
Magistrale Chiara Isotton nel ruolo di una secerdotessa, ottima intonazione e morbida sull’intera gamma.
Completa la locandina il bravo Francesco Pittari nel ruolo di un messaggero.
Al termine dello spettacolo un pubblico soddisfatto plaude festante alla compagnia e alle masse del Teatro Alla Scala riservando consensi maggiormente calorosi ad Enkhbat e, come già anticipato, un autentico trionfo personale per Anita Rachvelishvili.
Teatro alla Scala
Stagione autunno 2020
AIDA
Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re Roberto Tagliavini
Amneris Anita Rachvelishvili
Aida Saioa Hernández
Radamès Francesco Meli
Ramfis Jongmin Park
Amonasro Amartuvshin Enkhbat
Sacerdotessa Chiara Isotton
Messaggero Francesco Pittari
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Bruno Casoni
Esecuzione in forma di concerto
Milano, 9 ottobre 2020
FOTO BRESCIA/AMISANO – Teatro alla Scala