La traviata
‘’A Venezia faccio la Dame aux camelias che avrà per titolo, forse, Traviata. Un soggetto dell’epoca. Un altro forse non l’avrebbe fatto per i costumi, per i tempi e per altri goffi scrupoli (…). Io lo faccio con tutto il piacere (…). Tutti gridavano quando io proposi un gobbo da mettere in scena. Ebbene io ero felice di scrivere il Rigoletto’’. Con questa lettera volitiva di Giuseppe Verdi a Cesare De Sanctis dell’1 Gennaio 1853 bene in mente e con il ricordo della tumultuosa prima rappresentazione dell’opera proprio nel Teatro Veneziano il 6 marzo 1853 abbiamo assistito all’esecuzione in forma semiscenica della celeberrima terza opera della cosiddetta ‘’Trilogia popolare’’ (con Rigoletto e Trovatore).
La più intima e sofferta delle tre opere, con protagonista una prostituta o demi-mondaine come vogliamo chiamarla. Personaggio complesso quello di Violetta, che ha spinto Verdi ad una caratterizzazione sonora fra le più variegate e – di conseguenza interpretivamente ardue – della storia del melodramma.
Il sipario si apre con un colpo allo stomaco – visti i tempi pandemici – con la visualizzazione di un letto d’ospedale su cui giace la protagonista attaccata ad un respiratore ed attorniata da sanitari con mascherina (situazione che purtroppo vediamo spesso nella realtà) sulle note strazianti dei primi accordi del preludio.
Tutta la regia di Cristophe Gayral è incentrata sull’incomunicabilità ed il distanziamento fisico e morale che colpisce gli slanci del ‘’giovanile ardore’’ di Alfredo o la sublime passione di Violetta, emarginata fisicamente e moralmente.
Il direttore Stefano Ranzani sottolinea con pennellate delicate e pianissimi ricercati la peculiarità intimista e profonda della partitura verdiana, ben assecondato e seguito dall’Orchestra del Teatro La Fenice. Le sezioni delle percussioni e degli ottoni risultano sempre un po’ troppo presenti e cerano di coprire le altre sezioni, soprattutto gli archi, che presentano una grande maestria nell’affrontare la lettura delicata e sofferta del direttore.
Nel ruolo della protagonista il soprano Claudia Pavone. Voce omogenea in ogni registro, di soprano lirico leggero, sembra un po’ soffrire l’importanza del ruolo, arrivando alla fine della famosa aria che chiude il primo atto ‘’È strano’’ ad una emissione forzata e subito troncata del mi bemolle di tradizione nel gelo della sala. Si riscatta subito dopo con un secondo atto buono, donando un ‘’Dite alla giovane‘’ tutto a fior di labbra in un pianissimo magico ed un ‘’Amami Alfredo’’ in cui esprime tutto in un crescendo emotivo e tecnico molto ben congegnato. Per poi ottenere un’ovazione a scena aperta per un ‘’Addio del passato’’ veramente da manuale, in cui tra chiaroscuri donati da un fraseggio personalissimo e ben eseguito, dona a chi ascolta brividi autentici e commossi.
Il suo innamorato Alfredo è interpretato con voce molto ben emessa ed impeto interpretativo generoso dal tenore genovese Matteo Lippi. La voce è tecnicamente salda e fa pensare a futuri ruoli più robusti, gradirei maggiore scavo e studio del personaggio e migliore interpretazione scenica.
Antagonista e deus ex machina di tutta la vicenda è il baritono pisano Alessandro Luongo già raffinato Duca di Nottingham nel precedente Roberto Devereux e qui alle prese con il ruolo di Giorgio Germont. L’interprete è ben presente e centrato, la voce risulta un po’ leggera per il ruolo verdiano, ma lodevole è lo scavo del personaggio ed il fraseggio ben svolto che lo porta ad assecondare nel pianissimo il soprano nei passi del duetto e nella sua romanza ‘’Di Provenza’’ lo rende molto interessante nel trovare sonorità nuove e pregnanti.
Inascoltabili il mezzosoprano Elisabetta Martorana (Flora) ed il soprano Sabrina Vianello (Annina) con voci poco salde e malferme, a volte tremolanti e spoggiate. Decisamente meglio, musicali e sicuri gli interpreti maschili: un presente ed incisivo Enrico Iviglia (Gastone), un ottimo e musicale Armando Gabba (Douphol di lusso) come eccellente e sonoro è il Grenvil di Mattia Denti e molto simpatico in scena il Marchese di Matteo Ferrara.
Musicali e presenti nei momenti a loro richiesti Safa Korkmaz (Giuseppe) Giampaolo Baldin (Un domestico di Flora) e Nicola Nalesso (Un commissionario).
Il Coro del Teatro La Fenice, pur in punizione dietro un tulle che lo nasconde agli spettatori, ben risponde con omogeneità e forza vocale nei momenti di riferimento come l’inizio del secondo quadro (Zingarelle e Matador) del secondo atto o la fine del primo (Si ridesta in ciel l’aurora) ed accompagnando e sostenendo i solisti con un pedale delicatissimo e ben condotto (bravo il Maestro del Coro Claudio Marino Moretti ) nei concertati.
Importanti le luci che scolpiscono la scena ed i volti dei personaggi a cura del light designer Fabio Barettin.
Patetici e di cattivo gusto i tre mimi corpulenti che interpretano sia le zingarelle, con movimenti anche volgari ed allusivi, che i matadores. Potevamo farne benissimo senza.
Teatro La Fenice di Venezia
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry Claudia Pavone
Alfredo Germont Matteo Lippi
Giorgio Germont Alessandro Luongo
Flora Bervoix Elisabetta Martorana
Annina Sabrina Vianello
Gastone Enrico Iviglia
Il barone Douphol Armando Gabba
Il dottor Grenvil Mattia Denti
Il marchese d’Obigny Matteo Ferrara
Giuseppe Safa Korkmaz
Un domestico di Flora Giampaolo Baldin
Un commissionario Nicola Nalesso
Direttore Stefano Ranzani
Regia Christophe Gayral
Light designer Fabio Barettin
Danzatrice e movimenti coreografici Erika Rombaldoni
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Foto di Michele Crosera