Roberto Devereux
Al Teatro La Fenice di Venezia va in scena l’opera forse meno conosciuta e più focosa della trilogia donizettiana delle Regine, Roberto Devereux, dove si fa palpabile lo scontro tra uomini e donne, potere e sentimento, dove giganteggia la figura e la formidabile statura morale della regina Elisabetta I.
L’opera fu composta da Gaetano Donizetti nel 1837, anno luttuoso per il compositore che risiedeva a Napoli, flagellata dal colera e che aveva avuto la commissione proprio dal teatro veneziano di inaugurare il 26 dicembre dello stesso anno la stagione con un’opera nuova. Nel luglio dello stesso anno, per il musicista, sfumò la previsione di dirigere il Conservatorio dove insegnava, il lavoro per il teatro San Carlo subiva ritardi ed inconvenienti, ma soprattutto l’amata moglie, Virginia Vaselli, morì poche settimane dopo aver partorito un bambino, vissuto solo poche ore. Quelle disperate condizioni emotive rieccheggiano lungo tutta la composizione del genio bergamasco e donano un’atmosfera di dolore e forte rassgnazione. Al centro dell’opera, la relazione amorosa della regina Elisabetta I con il suo favorito, il conte di Essex, con tema ampiamente frequentato nel teatro di parola. Salvatore Cammarano, il librettista, scrisse un dramma a tinte forti e violente, che fa sbalzare una violenza emotiva caratterizzata da un ritmo scenico rapido ed incalzante, che rivela la vera chiave del dramma: lo scorrere implacabile del tempo impietoso, trascinando tutti i protagonisti della vicenda verso un tragico epilogo. Donizetti fa suo questo ritmo travolgente ed inesorabile con grande concitazione drammatica.
L’opera era rappresentata in forma semiscenica. Sul nudo palco un’ambientazione essenziale e scarna, percosso da elementi scenici essenziali, come volte architettoniche capovolte, un trono, sedie nobiliari in stile, su fondo e quinte nere. La regia di Alfonso Antoniozzi è risultata pertinente ed è riuscita a rendere, con pochi asciutti movimenti degli interpreti e del coro, la cifra del momento storico, la violenza trattenuta e la sofisticata crudeltà propria dell’epoca elisabettiana ed il nascondere sentimenti che tuttavia esplodono, in questo ben coadiuvato dalle luci taglienti e crude del light designer Fabio Barettin.
Il suono, nel teatro non pieno, sembra ingigantito ed arriva dritto a chi ascolta, fin troppo in alcuni casi. Uno per tutti, anche grazie alla fulminea e vigorosa direzione di Riccardo Frizza, il salto sulla sedia con relativa esclamazione di un bambino del pubblico, al primissimo bruciante e veemente accordo forte della sinfonia. Il direttore bresciano dona ed imprime nelle compagini veneziane un fuoco, una forza quasi schiacciante, a tratti troppo forte, arrivando a coprire la voce del soprano protagonista nelle zone centrali, ma molto pertinente all’opera in questione. Fa suo l’intento del compositore, improntando il tutto su di un ritmo ed un fraseggio incalzante e stentoreo. L’Orchestra del Teatro La Fenice recepisce con maestria, con buona lettura musicale l’impostazione del direttore, donando momenti di grande suggestione a chi ascolta. Una menzione speciale alla sezione delle percussioni molto presente ed incisiva, anche se a volte troppo in sonorità rispetto al resto dell’orchestra, giungendo in alcuni punti, a sovrastare gli archi.
Il Coro del Teatro La Fenice, guidato da Claudio Marino Moretti, in numero ridotto e in abito da concerto, con mascherine al polso quando cantano, ben risponde alla situazione non usuale (e non comoda del distanziamento), donando un momento molto pregnante nel coro “Le ore trascorrono” che apre il secondo atto. L’organico ridotto non infligge mancanze alla sonorità, alla musicalità e alla bellezza delle voci, percepita in ogni sezione.
Su tutti gli interpreti giganteggia Enea Scala nel title-role di Roberto. Già Idreno nella Semiramide veneziana due anni fa, il tenore ragusano dona grande luminosità, potenza e fluente vocalità al personaggio. Svettante negli acuti, uniforme e musicale in ogni accento scolpito e vivo, voce raggiante e sicura, fa intuire un’ intelligente ricerca di fraseggio, sensibile e personale concezione del personaggio scenico e musicale. La sua aria della prigione e conseguente cabaletta sono una lezione di canto e si conferma tenore di riferimento per i ruoli donizettiani e rossiniani; lo testimonia il trionfo decretatogli dal pubblico alla fine della scena (quell’acuto tenuto lungo sul coro è un esempio!) e ai saluti finali.
Elisabetta, qui, dovrebbe giganteggiare e far tremare con un solo accento. Roberto stesso la definisce con la frase “Nel tremendo sguardo” durante il duetto con Nottingham, ma nella figura e nell’impostazione scenica del personaggio di Roberta Mantegna manca questo, manca la regina e la sua formidabile forza. La bella e morbida voce, ben sgranata nelle agilità e ben definita nel registro medio-alto, risulta però leggera e non adatta al ruolo, sebbene giunga integra alla fine della recita. Talvolta si avverte una nota acida negli acuti estremi un po’ tirati e nell’ardua caballetta finale, prova di forza di ogni primadonna donizettiana, si avverte una latente stanchezza. Il soprano sembra soffrire della violenza a tratti belluina del personaggio (uno su tutti quel “Va” alla fine del secondo atto, che scolpisce e definisce il personaggio) e dona al pubblico solo la donna innamorata. In breve manca totalmente il carisma del personaggio.
Il mezzosoprano russo Lilly Jørstad è una Sara di lusso. Voce molto bella, pastosa e svettante negli acuti, addirittura lussureggiante, figura elegante in un raffinato vestito blu elettrico, rende il personaggio molto incisivo, per niente arrendevole e perdente.
Il suo consorte in scena, Nottingham, è il baritono Alessandro Luongo. Voce brunita, intensa e musicale, interprete sempre presente e molto aderente allo stile del compositore donizettiano, elegante in scena pur donando forza virile ed incisiva al suo personaggio.
Corretti, musicali ed importanti nei loro ruoli Enrico Iviglia (Lord Cecil) Luca Dall’Amico (Gualtiero) Emanuele Pedrini (un Paggio) e Carlo Agostini (un familiare) .
Uno spettacolo riuscito, insomma, con un pubblico vivo e presente, anche se non numeroso, che fa sperare in un futuro migliore per il teatro veneziano.
Il teatro ha platea e palchi poco affollati, anche per disposizioni anticovid, ma il pubblico che c’è sembra essere triplicato per entusiasmo e supplisce con calore e vivo interesse al vuoto visivo.
Teatro La Fenice di Venezia
Stagione Lirica 2019/2010
ROBERTO DEVEREUX
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta Roberta Mantegna
Sara Lilly Jørstad
Roberto Devereux Enea Scala
Il duca di Nottingham Alessandro Luongo
Lord Cecil Enrico Iviglia
Sir Gualtiero Raleigh Luca Dall’Amico
Un paggio Emanuele Pedrini
Un familiare di Nottingham Carlo Agostini
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Direttore Riccardo Frizza
Regia Alfonso Antoniozzi
Luci Fabio Barettin
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, Teatro La Fenice, 19 settembre 2020
Foto di © Michele Crosera