A hand of Bridge – Il castello di Barbablù
La Stagione 2019/2020 del Teatro La Fenice propone un inusuale dittico formato dall’opera più breve mai composta, A hand of Bridge di Samuel Barber e Il castello del principe Barbablù di Béla Bartók.
L’opera fu commissionata a Samuel Barber da Gian Carlo Menotti per il Festival dei Due Mondi, nell’ambito della rassegna Fogli d’album, in cui venivano commissionati lavori della durata non superiore ai quindici minuti. Rappresentata nel 1959 a Spoleto e nel 1960 negli Stati Uniti, su libretto dello stesso Menotti, risulta essere l’opera più breve mai composta e narra di due coppie che si incontrano ogni giovedì per giocare a Bridge, nel corso della quale ognuno dei protagonisti canta un’arietta in cui essi esprimono la propria frustrazione, i desideri insoddisfatti e le proprie solitudini. Tra un’arietta e l’altra viene intonato un tema, chiamato “delle carte”, che funge da raccordo ai singoli monologhi, incentrato su sonorità jazz, mentre nel finale tutti i temi si sovrappongono fra di loro in uno stile contrappuntistico di rara bellezza. Per i nomi e le situazioni narrate Menotti si ispirò a riferimenti biografici di familiari e amici, fra cui il suo compagno di vita, Thomas Schippers e la sorella Sara.
Il senso di vuoto e di insoddisfazione della vita di queste due infelici coppie è rappresentato, nell’allestimento curato da Fabio Ceresa, dalle mille sfumature del grigio, mentre i loro sogni assumono tonalità di rosa, a simboleggiare che i sogni sono l’unica ragione per cui una vita va vissuta; le sfumature sembrano fare a pugni con le tonalità rosa, dal cappellino di Sally, al vestito della madre di Geraldine (il cui color rosa si intravede da sotto un cappotto dello stesso colore smorto dei protagonisti) passando per l’amante di Bill fino allo stuolo di schiavi che David desidera possedere. Ogni loro desiderio, però, ogni sogno, si smaterializza nel momento in cui uno dei giocatori riporta chi sogna alla realtà, dichiarando il proprio gioco (David , alla fine della sua arietta, esclama che nonostante lui sogni di possedere quello che cerca, alla fine si troverà costretto, ogni giovedì, a recarsi controvoglia a giocare la tanto detestata mano di Bridge).
Operina deliziosa, ottimamente resa da uno scatenato quartetto di protagonisti in cui ognuno si ritaglia, scenicamente e vocalmente, il proprio momento di gloria.
Irresistibile la Sally di Manuela Custer nel suo continuo, logorroico desiderio di possedere il cappellino; la malinconia, velata di amarezza perduta di Geraldine, che rimpiange il mancato rapporto affettivo con la madre, oramai persa nel suo mondo malato, ottimamente espressa da Aušrine Stundyte; l’invidioso, cattivo e sadico David, che sogna di essere l’uomo più ricco del mondo e sottomettere a piacere le persone, in un malato rapporto padrone/schiavo, trova in Gidon Saks un ottimo interprete; il passionale e sensuale Bill, geloso della sua amante che teme possa tradirlo, ha l’eleganza e il perfetto stile di Christopher Lemmings.
Molto bene l’orchestra, condotta da Diego Matheuz, dalle sonorità jazz della partita ai momenti lirici espressi durante le arie, riuscendo a differenziare e a trovare un’identità musicale in ognuna delle quattro arie. Negli insieme, forse, il peso orchestrale era troppo denso, coprendo in alcuni punti le voci in palcoscenico.
Il castello di Barbablù, capolavoro assoluto del XX secolo, vede in scena un’enorme testa raffigurante il principe, testa che si apre per mostrare l’ambiente delle sette stanze in cui sono custoditi i ricordi della sua vita, mentre Judith chiede di poterle aprire tutte, quasi una visione a ritroso della sua vita. Secondo l’idea del regista, la storia di Barbablù è il fascio scomposto di un prisma, si parte dal nero del principe al bianco di Judith, nelle stanze dominano i colori di transizione, il rosso della sala delle torture, l’arancione dell’armeria, entrambe di connotazione negativa; il giallo, il verde, il blu della sala del tesoro, il giardino e il regno hanno connotazioni positive (beni materiali, famiglia e autorealizzazione); il viola, colore del lutto, dell’ineluttabile, è il colore del lago di lagrime; l’ultima porta, la sala delle mogli ove ognuna siede su un trono con accanto un doppio di Barbablù, di un bianco accecante, perché, come scrive il regista “nel momento in cui si muore si è messi di fronte alla luce e alla bellazza di quella che è stata l’esperienza umana”. Judith è l’ultima moglie, è la morte, e quando finalmente Barbablù riuscirà a baciarla, dopo molti tentativi, si accascerà ai suoi piedi, esanime, lei eretta sul trono insieme alle altre mogli, che, di conseguenza, ragffigurano giovinezza, età adulta e vecchiaia.
Spettacolo complesso ma di grande fascino, guidato con mano sicura da Diego Matheuz, ottimamente assecondato dall’orchestra veramente in stato di grazia.
Splendide le scene di Massimo Checchetto, come i costumi ideati da Giuseppe Palella; non meno importanti, anzi fondamentali, le luci di Fabio Barettin e i movimenti coreografici di Mattia Agatiello.
Ottimi gli interpreti, Gidon Saks e Aušrine Stundyte, scenicamente strepitosi e musicalmente ineccepibili. Il Prologo, tradotto e recitato in italiano, ha visto in Karl-Heinz Macek un interprete vigoroso, mai sopra le righe, in una lettura essenziale, priva di retorica.
Grandissimo successo a fine spettacolo da parte di un pubblico molto attento e coinvolto.
TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
Stagione Lirica 2019 – 2020
A HAND OF BRIDGE
opera in un atto op. 35 per quattro voci soliste e orchestra da camera di Gian Carlo Menotti
musica di Samuel Barber
Edizioni G. Schirmer, New York – rappresentante per l’Italia: Casa Ricordi, Milano
David, a florid businessman Gidon Saks
Geraldine, his middle-aged wife Ausrine Stundyte
Bill, a lawyer Christopher Lemmings
Sally, his wife Manuela Custer
IL CASTELLO DEL PRINCIPE BARBABLÙ
(A kékszakállú herceg vára)
opera in un atto op. 11 sz 48 di Béla Balázs da “Barbe-Bleue” di Charles Perrault e dal dramma “Ariane et Barbe-Bleue” di Maurice Maeterlinck
musica di Béla Bartok
Universal Edition, Vienna – rappresentante per l’Italia: Casa Ricordi, Milano
Judit Ausrine Stundyte
Il principe Barbablù Gidon Saks
Il bardo Karl-Heinz Macek
Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia
Direttore: Diego Matheuz
Regia: Fabio Ceresa
Scene: Massimo Checchetto
Costumi: Giuseppe Palella
Luci: Fabio Barettin
Movimenti coreografici: Mattia Agatiello
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, Teatro La Fenice, 25 gennaio 2020
FOTO DI MICHELE CROSERA