Spettacoli 2020

Iphigénie en Tauride

L’opera di Zurigo propone Iphigénie en Tauride diChristoph Willibald Gluck con la presenza di spicco di Cecilia Bartoli. 

Se per Sigmund Freud “una rivalità non è necessariamente un’ostilità”, così non doveva essere e non fu per Christoph Willibald Gluck, il musicista autore di Iphigénie en Tauride, che, proprio con quest’opera, riuscì a prevalere sul suo esistenziale nemico Niccolò Piccinni. La tragedia fu commissionata nel 1778 dal direttore dell’Opéra di Parigi Anne-Pierre-Jacques de Vismes a Piccinni che comunque rappresenterà la sua versione solo nel 1781. Dopo sentite rimostranze, Gluck riuscì ad avere la meglio ed avere la commissione e la possibilità di andare in scena prima del rivale. Nicolas-François Guillard, poeta e librettista dell’opera si ispirò ovviamente alla tragedia greca di Euripide e scrisse qui il suo primo testo da musicare. Nell’opera euripidea il tema principale è la casualità dell’esistenza, che vede gli uomini come semplici pedine di avvenimenti e catene di fatti superiori alla loro volontà ma indipendenti anche dalla volontà degli Dei che nella tragedia di Euripide risultano quasi superati e smitizzati. Forse solo il libero arbitrio e la capacità dell’individuo di cogliere l’occasione istantanea possono portare ad una forma di salvezza. Ben si comprende che una simile concentrazione di tematiche esistenziali rendono questa opera di Euripide di imperitura attualità.

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Cecilia Bartoli

Da queste tematiche dell’esistenza parte il regista Andreas Homoki che sceglie di ambientare l’intera opera in una grande scatola nera, apparentemente omogenea e contornata solo da una grande cornice di luce. Questa struttura è a tratti colpita da squarci luminosi (luci a cura di Franck Evin) e, si spezza materialmente  in oscure voragini, in un continuo gioco fra integrità ed elementi di perturbazione, unità e dispersione. La scena di Michael Levine risulta di estrema eleganza e traduce perfettamente il senso più profondo del dramma, pecca forse di una certa monotonia e ripetitività nel corso dei quattro atti. Bella l’idea di trasformare l’apparizione finale della Dea Diana nello spettro di Clitemnestra, sottolineando che l’uomo non è in balia degli dei ma solo della propria mente. Da sottolineare la volontà del regista di non dare all’opera il previsto lieto fine: Ifigenia resterà per sempre in Tauride. Attuale ed onesta la scelta di sottolineare con un bacio omosessuale il rapporto fra Oreste e Pilade come già previsto nella storia originale. La scelta del nero con pochissimi elementi bianchi si ritrova nei costumi di foggia ottocentesca a cura di Michael Levine.

Cecilia Bartoli incarna una magnifica Iphigénie e si conferma una artista completa: scenicamente disinvolta, si muove sul palco con eleganza ed incedere maestoso e, attraverso soprattutto una mimica facciale e uno sguardo sempre espressivo da vera tragedienne, avvince totalmente il pubblico creando una vera e propria suspence emotiva per tutta la durata dello spettacolo. Vocalmente mostra doti da artista di altissimo livello: lo strumento presenta un’ineccepibile omogeneità tra i registri, morbidezza nei pianissimi, naturalezza nel registro grave, ottima intonazione, tecnica eccellente ed un’impressionante ricchezza di armonici. Il sapiente impiego della linea musicale, poi, al servizio del fraseggio e dello stile dell’autore, rappresenta l’elemento distintivo di una prova davvero encomiabile.

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Cecilia Bartoli

Al fianco della “diva” troviamo un altrettanto eccellente Stéphane Degout che interpreta un Oreste tormentato e disperato. Vocalmente mostra uno strumento caratterizzato da bel timbro, potenza vocale e ottima proiezione del suono. Degne di nota la presenza scenica e la naturale interazione con gli altri personaggi, Iphigénie in primis.

Molto apprezzato Frédéric Antoun nel ruolo di Pylade: il tenore canadese tratteggia, grazie anche ad un’ottima partecipazione sul palco, un personaggio credibile nel suo profondo ed intimo legame con il cugino Oreste. Il registro acuto risulta sicuro e squillante, il fraseggio accorato grazie anche ad un timbro dal suadente colore.

Jean-François Lapointe tratteggia un Thoas vigoroso e sonoro, adeguatamente crudele e desideroso di vittime sacrificali.

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Stéphane Degout e Frédéric Antoun

Completano la locandina Birgitte Christensen, Diane dal bel timbro ambrato, Katia Ledoux, efficace Femme Grecque, Noelia Finocchiaro e Immanuel Otelli, nei ruoli mimati rispettivamente di Die junge Iphigénie e Die junge Oreste.

Gianluca Capuano, attualmente tra i piu’ apprezzati direttori del repertorio barocco, riconosciamo il merito di offrire una lettura intensa e in grado di mantenere alta la tensione emotiva della partitura per tutta la durata dello spettacolo (che viene eseguito senza pause). Il Direttore milanese mostra un gesto sicuro, attento alle sfumature, sempre elegante ed rispettoso del giusto equilibrio tra buca e palcoscenico. L’Orchestra La Scintilla ha il merito di rispondere perfettamente alle intenzioni del maestro, offre una prestazione degna di nota per compattezza, pulizia del suono e per versatilità risultando brillante nelle scene più concitate e struggente in quelle maggiormente drammatiche.Di grande efficacia gli interventi del Coro dell’Opera di Zurigo, preparato da Janko Kastelic, dove spicca in particolare la componente femminile. Successo vivissimo al termine con i toni del trionfo per ThoasDegoutCapuano e, ça van sans dir, per la diva Cecilia Bartoli.

Opernhaus Zürich – Stagione 2019/20
IPHIGÉNIE EN TAURIDE
Tragédie-Opéra in quattro atti su libretto di Nicolas-François Guillard
Musica di Christoph Willibald Gluck

Iphigénie Cecilia Bartoli
Oreste Stéphane Degout
Pylade Frédéric Antoun
Thoas Jean-François Lapointe
Diane Birgitte Christensen
Femme Grecque Katia Ledoux

Orchestra La Scintilla
Chor der Oper Zürich
Statistenverein am Opernhaus Zürich
Direttore Gianluca Capuano
Maestro del coro Janko Kastelic
Regia Andreas Homoki
Scene e costumi Michael Levine
Luci Franck Evin
Drammaturgia Beate Breidenbach

FOTO DI MONIKA RITTERHAUS