Spettacoli

Tosca – Roma, Teatro dell’Opera

Il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma debuttava in prima assoluta la Tosca – dove l’articolo determinativo attesta, oltre alla straordinaria popolarità dell’opera, il suo essere radicata in un patrimonio culturale condiviso quale elemento costituivo e inscindibile, tanto da essere ritenuta familiare. Per festeggiare questo centoventicinquesimo compleanno, all’indomani della conclusione dell’anno pucciniano, il Teatro dell’Opera ripropone l’allestimento originario in tre distinti momenti della stagione e affidando ogni volta la partitura ad un direttore diverso così come ad un differente cast di interpreti. L’iniziativa, al di là dell’intento giustamente celebrativo e dell’appropriata collocazione all’interno di un programma dedicato ai “Volti del potere”, può essere l’occasione per disincrostare il capolavoro dalle stratificazioni della prassi esecutiva nonché dalle sovrapposizioni delle scelte registiche, inquadrandolo nella cornice della sua verità storica ed estetica e riscoprendone la ricchezza nella pluralità delle interpretazioni.

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Saioa Hernández e Gregory Kunde

Per la circostanza l’allestimento di Alessandro Talevi, con la preziosa ricostruzione delle scene e dei costumi dai bozzetti originali di Adolf Hohenstein, più volte riproposto e recensito su queste pagine il 30 ottobre 2022, si pone in dialogo con la mostra “Tosca 125 – Oltre la scena” allestita negli spazi del teatro e che consente di ripercorrere nel suo complesso la genesi dell’opera e in particolare della sua prima rappresentazione romana, seguita dallo stesso Giacomo Puccini con grande meticolosità e a cui è stata dedicata nel foyer una targa commemorativa (scoperta tra l’altro alla presenza del presidente Mattarella). Possiamo così vedere con quanta cura e a seguito di quali ripensamenti viene predisposto il corteo del Te Deum, che anche in questa edizione si svolge con grande rigore e continuità, sfruttando al meglio le dimensioni del palco. Sant’Andrea della Valle, la sala di Palazzo Fanese e la veduta della Città dagli spalti di Castel Sant’Angelo, realizzati da Carlo Savi, intendono ricreare uno spazio reale, il meno artefatto possibile, anche nella scelta dei minimi arredi: vero l’ambiente come la vicenda, in linea con il gusto della poetica verista. D’altro canto scopriamo quanto l’abito di Tosca, riprodotto da Anna Biagiotti, richiami quello di Sarah Bernhardt nell’omonima pièce di Victorienne Sardou, come se dissacrazione e tortura non bastassero ad immergere l’opera in atmosfere decadenti e a collocarla nel panorama culturale europeo.
Una grande attenzione vi è anche nella gestualità, perfino nell’ordinato sfilare dei cecchini e nella spinta giù per le scale data dalla protagonista agli sbirri. Da rilevare infine come le luci di Vinicio Cheli conferiscono freschezza e modernità ad una ricostruzione filologica. Colpisce in particolare il timido bagliore dell’alba ad illuminare gli spalti nel momento del suicidio.
L’allestimento celebra Roma, che è una delle anime del dramma, tanto la Roma delle sontuose quinte barocche quanto quella dei pastori e della devozione popolare. E al contempo la Città Eterna offre la possibilità di rappresentare il potere che, anche con le sue campane e la cupola di San Pietro, opprime e confligge con le aspirazioni del singolo.

La prima tappa di questa ricognizione nel mondo di Tosca è affidata alla bacchetta di Michele Mariotti e a quella di Francesco Ivan Ciampa che ha diretto la recita a cui abbiamo assistito, plasmando un racconto musicale fluido e continuo, con tempi brillanti e con note efficacemente tenute nelle transizioni per raccordare le parti. Una narrazione che inoltre si addensa e distende grazie agli effetti dinamici e che fa emergere opportunamente i colori orchestrali. L’accordo iniziale è potente e preciso e l’intero atto si snoda compatto e nel complesso sovrapporsi delle linee, con il vivace e luminoso contributo delle Voci bianche e con il Coro guidato da Ciro Visco che rende il Te Deum in una forma modulata e vibrante, tanto fascinosa quanto sinistra. Il secondo atto spicca poi per l’unità e per l’alternanza di forte e di piano, con suggestivi pianissimo, mentre la parte finale si svolge più discontinua ma con una drammatica cantabilità degli archi e con un suono definito e incisivo nella riproduzione delle campane e nelle battute conclusive.

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Saioa Hernández e Gevorg Hakobyan

Saioa Hernández interpreta la prima Floria Tosca del cartellone romano, creando una figura fresca ma di notevole spessore drammatico, forte e passionale ma capace al contempo di esprimere una grande dolcezza. L’emissione è morbida e voluminosa, con momenti in cui diviene matronale e altri in cui si fa più leggera; la linea è sempre elegante e la regolazione dell’intensità puntuale e sorvegliata. Rende con spontaneità e verosimiglianza la gelosia dell’amante, con acuti che all’inizio riescono tuttavia moderatamente sfogati, mentre vengono proiettati con maggiore forza e definizione negli atti che seguono. Descrive assai efficacemente l’acuirsi del dolore fino al punto di rottura e apre una radura di intenso lirismo con “Vissi d’arte”, interpretata con levigatezza e nitore. Le ultime scene vengono infine sbalzate con trascinante energia.

Gregory Kunde nel ruolo di Mario Cavaradossi esibisce un fraseggio scolpito con varietà di accento e di intensità. Al suo ingresso ci appare tuttavia poco saldo e con qualche opacità in “Recondita armonia”, che viene comunque a lungo applaudita. Ritrova lucentezza nel dialogo con Tosca, dove è anche di grande ampiezza melodica, mentre ha uno stile più grintoso negli scambi con l’Angelotti. Ha una dizione chiara e scandita con Scarpia in apertura del secondo atto, con tratti severi oltre che orgogliosi, e sorprende per potenza e luminosità nell’esultanza di “Vittoria” – passaggio da porsi tra i vertici di questa rappresentazione. Non altrettanto splendente in “E lucevan le stelle”, ma comunque assai strutturato e coinvolgente, ritrova lo smalto nel duetto finale con Tosca.

Scarpia è Gevorg Hakobyan, dalla voce rotonda e di grande omogeneità, talora con punte lucenti e qualche imprecisione nell’intonazione. Esordisce con un canto un po’ fisso, che diviene però subito più articolato al principio del Te Deum, con un declamato saldo e marcato. E’ di grande vigore nella romanza all’inizio del secondo atto, dove realizza ottime variazioni dinamiche. Raffigura validamente l’incalzare sadico nei confronti di Tosca, tra lascivia e crudeltà, in una compostezza settecentesca che potenzia i tratti inquietanti del personaggio.

Ha uno stile drammatico e appassionato l’Angelotti di Luciano Leoni, di buon corpo vocale, all’inizio piuttosto uniforme ma poi più duttile e variato nel dialogo con Cavaradossi.
Sbalzato con vivacità il Sagrestano di Domenico Colaianni, che ne rappresenta il bigottismo e la paura con un canto espressivo e accentato, pur con un moderato volume nei gravi.
Altrettanto ben caratterizzato lo Spoletta di Saverio Fiore, che delinea uno sbirro pavido e in soggezione, con una chiara vocalità e una linea modulata.
E’ un soldato spiccio e brutale lo Sciarrone di Marco Severin, dall’emissione definita, ed è scuro e compatto il Carceriere di Andrea Jin Chen.
Dolcissimo e delicato, con un canto pieno e preciso, il Pastorello di Irene Codau.

Il pubblico che affolla la sala non manca di applaudire a scena aperta e con grande entusiasmo la Hernández e Kunde, a cui riserva alla fine fragorosi consensi. Molto apprezzati anche Hakobyan e il maestro Ciampa.

TOSCA

Musica Giacomo Puccini

Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou

Direttore Francesco Ivan Ciampa

Regia Alessandro Talevi

Maestro del Coro Ciro Visco

Scene Adolf Hohenstein
Ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein
Ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli

PERSONAGGI INTERPRETI
Floria Tosca Saioa Hernández
Mario Cavaradossi Gregory Kunde
Barone Scarpia Gevorg Hakobyan
Cesare Angelotti Luciano Leoni
Sagrestano Domenico Colaianni
Spoletta Saverio Fiore
Sciarrone Marco Severin
Un carceriere Andrea Jin Chen
Un pastorello Irene Codau

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma

Foto: Fabrizio Sansoni – Teatro dell’Opera di Roma