Spettacoli

La forza del destino – Teatro alla Scala, Milano

Il Teatro alla Scala di Milano inaugura la stagione 2024/2025 con La forza del destino di Giuseppe Verdi.

Pensatori di ogni epoca si sono espressi sul fato, se per Giacomo Leopardi, ad esempio:”anche nell’ultimo istante della nostra vita abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino”, per il filosofo Theodor W. Adorno, invece, “Quel che temiamo più di ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente”.

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Luciano Ganci

Giuseppe Verdi esprime la sua concezione sulla sorte umana partendo da un testo di Ángel de Saavedra y Ramírez de Baquedano, noto come Duca di Rivas: un’opera nata per la prosa nel 1835, Don Alvaro o La forza del destino. Un testo, quest’ultimo, intriso di reminiscenze Byroniane, da cui Francesco Maria Piave trae un libretto che sarà musicato e messo in scena per la prima volta nel 1862 ma che conoscerà modifiche e ripensamenti fino al 1869. Una genesi indubbiamente travagliata per quella che è una delle opere più complesse e monumentali di Verdi, una delle poche in cui l’elemento comico e tragico riescono a coesistere.

La visione del musicista di un destino implacabile che incombe sulle vicende umane, è tradotta visivamente, in questa nuova produzione scaligera, dal regista Leo Muscato e dalla scenografa Federica Parolini. Una edizione decisamente imponente e dispendiosa, come si addice solitamente ad un titolo inaugurale. Qui il perno scenico è la grande piattaforma rotante, già vista in altre produzioni, che si lascia ammirare quasi come una giostra o un diorama in continua evoluzione. Ogni atto è ambientato in un’epoca differente dal Settecento alla contemporaneità, sempre in contesti di guerra. Impressiona decisamente il buon uso delle masse, che vengono fatte muovere con sapienza dal regista, sicuramente uno spettacolo che non annoia e che sa essere sempre variegato e non scontato. Non sono forse totalmente nel gusto di chi scrive le scene dei primi due atti con molti elementi volutamente artefatti, quasi da presepio, come alberi e rocce che rimandano ad un modo di fare teatro antico. Va però riconosciuto che questa continua rotazione della scena si sposa bene con i ritmi verdiani, con quel tornare ciclico, appunto, dei motivi dominanti dell’opera. Tutto lo spettacolo può essere letto come una sorta di grande grido pacifista, forse il team artistico vuole proprio indicare che la sorte avversa all’uomo è quella che lui stesso si crea con continui conflitti e guerre che cambiano d’epoca ma non di drammaticità e disumanità. Abbiamo apprezzato, infine, quel piccolo messaggio di speranza lasciato al pubblico: gli alberi che nel corso degli anni sono diventati solo tronchi secchi e bruciati dalla devastazione tornano sulle ultime note a colorarsi di nuove tenere foglie. In questo complesso macchinario scenico praticamente perfette sono risultate le luci di Alessandro Verazzi, sempre coerenti a quanto accadeva sul palco. Delicate e non prevaricanti le coreografie di Michela Lucenti. Ottimi anche gli abiti di scena pensati da Silvia Aymonino, una carrellata storicamente pertinente sui costumi militari e civili dal Settecento ad oggi.

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Ludovic Tézier e Vasilisa Berzhanskaya

Il versante musicale dello spettacolo vede primeggiare la lettura, ispirata e di grande suggestione teatrale, di Riccardo Chailly. Il direttore milanese coglie alla perfezione le numerose sfumature della partitura e, con cura meticolosa, ne cesella ogni pagina costruendo un sapiente equilibrio tra dramma e commedia, disperazione e fede. Scrupolosa è la scelta delle dinamiche, così come l’adozione di tempi e ritmi, drammaturgicamente sempre pertinenti. Ne sortisce un affresco sonoro grandioso e, al tempo stesso, squarciato da autentica emozione. Le numerose scene di massa vengono dipinte con ritmi briosi e brillanti che, improvvisamente, trascolorano nella malinconica e struggente disperazione della guerra. Magnifica è, poi, la caratterizzazione delle pagine più intime dove i singoli protagonisti risultano sbalzati con avvincente passionalità. Magistrale, infine, è la capacità con cui Chailly riesce a restituire allo spettatore quella toccante spiritualità, così presente in numerosi passaggi della partitura, su tutti la celebre “Vergine degli angeli” che chiude il secondo atto. Una prova maiuscola, coadiuvata dallo splendido apporto dell’orchestra scaligera, in forma a dir poco smagliante per lucentezza e nitidezza sonore. Grazie ad una evidente intesa con il podio, dalla buca si leva un magma sonoro compatto e variegato che abbraccia il palco con avvolgente tensione.

Di prim’ordine il cast, almeno per importanza dei nomi schierati in locandina.

Grande era l’attesa, come sempre, per la presenza, nel ruolo di Leonora, di Anna Netrebko. Il soprano esibisce, anche in questa occasione, una vocalità voluminosa che abbaglia per la densità e la pastosità di un timbro vellutato. Un mezzo rigoglioso che può vantare, come poche altre artiste oggi, un registro acuto luminosissimo e, sopratutto, un magistrale dominio delle dinamiche che consente di modulare il suono esibendo pianissimi di ammaliante bellezza. Una prova vocale, tuttavia, che deve fare anche i conti con una intonazione talvolta perfettibile, come nella prima aria, e con una certa tendenza ad ingrossare il suono, specie nella zona grave. É d’uopo riferire, di contro, di alcuni momenti davvero emozionanti, come la grande scena di secondo atto, prima con l’aria “Madre pietosa, Vergine” e quindi con il successivo duetto con Padre Guardiano, a cui Anna Netrebko riesce a conferire una caratterizzazione vocale a tratti indimenticabile. Sotto il profilo interpretativo, poi, l’artista è sempre presente a se stessa, prediligendo una visione del personaggio piuttosto energica e volitiva, una donna fiera e determinata a combattere, in un eterno limbo tra l’estasi e il tormento.

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Ludovic Tézier

Don Alvaro è qui interpretato da Luciano Ganci, giunto a sostituire il previsto collega Brian Jagde. Il tenore possiede una vocalità preziosa per la solarità dell’impasto timbrico e per la ricchezza di armonici. Un buon controllo complessivo della linea consente, inoltre, di venire a capo di una scrittura tra le più insidiose nel repertorio tenorile verdiano. Vi è, poi, il fraseggio musicale, affrontato con indubbia musicalità, permeato di una variopinta tavolozza di colori e sempre rispettoso dell’intenzione dell’autore. Nel complesso, quella del tenore è una prova di livello, di certo non inficiata dall’annuncio, ad inizio recita, di una sua lieve indisposizione.

Di rilievo il Don Carlo di Ludovic Tézier, nel quale si apprezzano, in particolare, la schiettezza e la solarità di un timbro duttile e ben tornito. L’esecutore è sorvegliato e attento, grazie alla compattezza e alla facilità dell’emissione. Incisivo ed efficace l’interprete, sfumato nel fraseggio e coinvolto nella caratterizzazione scenica. Per dovere di cronaca si segnala come l’aria di terzo atto, “Urna fatale”, sia stato tra i momenti più emozionanti, e giustamente applauditi, della serata.

Complessivamente riuscito il Padre Guardiano di Alexander Vinogradov, dalla vocalità ampia e ben timbrata. Il caratteristico velluto di un timbro serotino, conferisce la giusta solennità al personaggio.

Semplicemente perfetto il Fra Melitone di Marco Filippo Romano, preclaro esempio di cosa significhi fare teatro nella sua più alta accezione. Il baritono canta meravigliosamente, porgendo la frase con musicalità e morbidezza a tutte le altezze. Il fraseggiatore, poi, è impareggiabile per modernità, raffinatezza ed espressività. Bravo!

Vasilisa Berzhanskaya conferisce a Preziosilla la peculiarità di una vocalità ben sfogata in acuto e che mostra una certa familiarità con le fiorettature della scrittura. Meno sonoro il registro medio grave, pur ben appoggiato. Disinvolta ed efficace l’interprete.

Passando ai ruoli di contorno, una menzione speciale merita il magnifico Mastro Trabuco di Carlo Bosi, fraseggiatore d’alta scuola e interprete di singolare incisività.
Ben centrato il Marchese di Calatrava di Fabrizio Beggi; sonoro e penetrante l’alcade di Huanhong Li.
Completano la locandina Marcela Rahal, una Curra dal timbro lussureggiante e Xhieldo Hyseni, un chirurgo caratterizzato con la giusta perizia vocale.

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Ludovic Tézier e Vasilisa Berzhanskaya

Oltre ogni possibile lode, infine, la prova del coro scaligero, ottimamente guidato da Alberto Malazzi. Impressionante, infatti, sono la ricchezza di colori e la pertinenza delle intenzioni con cui ogni pagina viene impreziosita e resa con autentica verità teatrale.
Successo incandescente al termine, con ripetute ovazioni per gli interpreti principali al loro apparire alla ribalta.

LA FORZA DEL DESTINO
Melodramma in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Il marchese di Calatrava Fabrizio Beggi
Donna Leonora Anna Netrebko
Don Alvaro Luciano Ganci
Preziosilla Vasilisa Berzhanskaya
Padre guardiano Alexander Vinogradov
Fra Melitone Marco Filippo Romano
Curra Marcela Rahal
Un alcade Huanhong Li**
Mastro Trabuco Carlo Bosi
Un chirurgo Xhieldo Hyseni*
*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
**Ex allievo dell’Accademia Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografia Michela Lucenti

Foto: Brescia Amisano Teatro alla Scala