Simon Boccanegra – Roma, Teatro dell’Opera
La magnifica esecuzione del concertato del primo atto si staglia come vertice e cifra emblematica del Simon Boccanegra che ha inaugurato la stagione del Teatro dell’Opera di Roma, momento assolutamente sublime per sintesi di tecnica ed emozione, grazie al formidabile accordo della bravura degli interpreti, del Coro e dell’Orchestra. A tenere saldamente insieme questa meraviglia, lungamente applaudita con commozione ed entusiasmo, è il gesto di Michele Mariotti, la cui direzione plasma un racconto di notevole compattezza, con tempi che mantengono costante la tensione drammaturgica e con accurate transizioni tra una parte e l’altra. Il Preludio e il Prologo vengono tracciati delicatamente, senza calcare gli elementi ad effetto e nell’intento di restituirci la trasparenza del suono; trasparenza che viene ancora più evidenziata in apertura del primo atto, da cui l’intera opera si snoda tra momenti di musica pura e sottolineature della parola scenica. Il flusso sonoro è sempre ricco e preciso, specialmente nei fiati e nelle trombe, e si muove in una notevole varietà dinamica, con accurati pianissimo e sospensioni narrative che conferiscono un particolare rilievo teatrale soprattutto all’atto conclusivo. Del resto, a distinguersi per la gestione dell’intensità è anche il Coro, ottimamente diretto da Ciro Visco, che in ogni situazione dà forma ad interventi amalgamati ed avvolgenti, in una felice alternanza di pienezza ed evanescenza.
A Luca Salsi il compito di incarnare il primo dei “Volti del potere,” a cui è appunto dedicato il nuovo cartellone. Il suo Boccanegra è uomo schietto e passionale, che impone con forza il conflitto tra gli affetti e la ragione di Stato, avvalendosi di un’interpretazione che diviene man mano più approfondita e raffinata. Nel Prologo è irruento ma di grande cantabilità; assai melodico anche nel duetto con Amelia, con accorata morbidezza e con un’attenta cura della dinamica, mentre riesce vigoroso e di severo controllo nella scena del consiglio, dove gesto e parola si fanno più scavati. Con una dizione chiara e incisiva pronuncia la maledizione e delinea vividamente il tormento del secondo atto. E’ di genuina drammaticità nel dialogo con Fiesco, alternando mezze voci a passaggi di sfogata pienezza, e realizza nel finale un delicato e struggente congedo.
Eccellente la prova di Eleonora Buratto, che nel pezzo d’insieme svetta con vocalizzi luminosi e levigati. La sua Amelia ci si presenta con estrema naturalità e freschezza, plasmando “Come in quest’ora bruna” con un canto legato e brillante in un tutt’uno con l’orchestra, davvero cullante come le onde del mare. E’ appassionata nel duetto con Gabriele, pur con un paio di acuti poco controllati, trasparente in quello con il padre, con la parte del riconoscimento resa con grande intensità; energica ed elegante nel quadro del consiglio. Nel secondo atto unisce poi pathos e virtuosismo, con gravi rotondi e limpidi acuti, per cesellare infine, con una salda tenuta delle note, sonorità sfumate e lucenti nelle scene conclusive.
Stefan Pop è un Gabriele Adorno dalla voce potente e smaltata, di grande saldezza e nitore in acuto, ma con certuni passaggi nei centri non altrettanto definiti e con una recitazione talvolta un po’ rigida. Eroico e sentimentale, rende l’aria “Sento avvampar nell’anima” con slancio e varietà di accento, intessendola in una linea ampia e modulata, per creare poi con Amelia un duetto terso e vibrante ed essere parimenti commovente nel terzetto che segue.
Ha uno stile incisivo lo Jacopo Fiesco di Michele Pertusi, rappresentato con forza nel suo oscillare tra odio e lealtà. Ne “Il lacerato spirito” esprime con duttilità la nobiltà ferita del personaggio ed è alquanto intenso nel dialogo finale con Simone, dove il fraseggio è articolato e scolpito, pur con taluni gravi moderatamente consistenti.
Sbalzato con cura e vigore anche il Paolo Albiani di Gevorg Hakobyan, dall’emissione omogenea e dalla dizione scandita. Ben modulato nella scena iniziale e assai drammatico nella maledizione, rende con tragica verità la fine della sua storia, tra orgoglio e coscienza del fallimento.
Energico e di buon volume, anche se con poco accento, il Pietro di Luciano Leoni. Ha una proiezione chiara e diretta il Capitano di Michael Alfonsi e squillante l’intervendo dell’Ancella di Angela Nicoli.
Al pari della musica, l’allestimento di Richard Jones procede in maniera compatta e unitaria, con alcuni aspetti posticci, talora scarsamente efficaci o per nulla accattivanti, eppure sempre in una cornice linguistica di grande coerenza. Nelle scenografie di Antony McDonald l’ultimo quadro è lil medesimo dell’inizio, con la rappresentazione di una città oscura, dove un mare ancora più buio sta sullo sfondo e le cui architetture ricordano la pittura metafisica di De Chirico. E’ in questo contesto che subito emerge il conflitto tra plebei, vestiti da working class, e i patrizi in giacca e cravatta e dove inoltre compare la piccola Maria che farà da filo rosso dell’intera vicenda. Gli archi riecheggiano le volte delle congiure nel libretto, le suore il convento di Pisa, così come l’arrivo del dottore fa pensare alla morte di Violetta e le cappe cinquecentesche durante il consiglio evocano il Don Carlo, altra accigliata riflessione sulle maschere dell’autorità e sul dramma del potere che deflagra in ogni tempo. Una complessa trama quindi di rimandi, con il catafalco della prima Maria, che diviene quello da cui scampa Amelia per essere infine il sepolcro del protagonista Il secondo quadro, con il faro e gli scogli, è quello più suggestivo e che meglio si integra con la musica. Le scene nel palazzo del Doge sembrano imitare un gioco artificioso e infantile, quasi da casa delle bambole, con una sottesa idea di finzione e inautenticità che indebolisce però la solenne drammaticità degli eventi. Tutti i movimenti sono assai ben organizzati nelle coreografie di Sarah Kate Fahie, mentre le luci di Adam Silverman e i costumi, ancora di McDonald e non particolarmente gradevoli, sono comunque funzionali al discorso. Inoltre, i pannelli che in più occasioni calano a dividere la ribalta dal fondale risultano efficaci nel mostrare visivamente il contrasto tra ambito pubblico e privato, tra le dinamiche dell’anima e quelle della società. E del resto affascinante riesce la scena su cui cala il sipario, con il suo giustapporre ieraticamente il dolore del lutto e la retorica del potere.
Applausi a scena aperta fin dal Prologo, un’ovazione sul concertato e alla fine interminabili consensi. Accolto con entusiasmo l’intero spettacolo, con il suo team creativo e tutti gli interpreti, davvero senza alcuna esclusione. Un vero trionfo poi per Salsi e la Buratto, Mariotti e il Coro. E per l’Opera di Roma uno splendido inizio.
SIMON BOCCANEGRA
Musica di Giuseppe Verdi
Melodramma in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Direttore Michele Mariotti
Regia Richard Jones
Maestro del Coro Ciro Visco
Scene e costumi Antony McDonald
Luci Adam Silverman
Coreografia per i movimenti mimici Sarah Kate Fahie
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
PERSONAGGI INTERPRETI
Simon Boccanegra Luca Salsi
Maria Boccanegra (Amelia) Eleonora Buratto
Jacopo Fiesco Michele Pertusi
Gabriele Adorno Stefan Pop
Paolo Albiani Gevorg Hakobyan
Pietro Luciano Leoni
Ancella di Amelia Angela Nicoli
Capitano dei balestrieri Michael Alfonsi
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Foto: Fabrizio Sansoni- Opera di Roma