Rigoletto – Catania, Teatro Massimo Bellini
Rigoletto, indiscusso capolavoro verdiano, torna sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini di Catania con un cast di eccellenza che vede alla regia una celebrità di portata planetaria come Leo Nucci e sul podio il direttore di fama internazionale Jordi Bernàcer. In primo piano la pluripremiata Orchestra del Teatro Massimo Bellini e il Coro, sempre abilmente istruito dal maestro Luigi Petrozziello. Le scene sono di Carlo Centolavigna, i costumi di Artemio Cabassi, le coreografie di Giuseppe Bonanno, le luci di Bruno Ciulli. Il nuovo allestimento di Rigoletto può contare su un cast vocale di altissimo livello.
Penultimo titolo della stagione di Opere e Balletti 2024 del Teatro etneo, il celeberrimo melodramma del Bussetano va in scena riprendendo in parte la magnifica produzione realizzata dall’ente lirico catanese per il Teatro Antico di Taormina nell’estate del 2021, che vide proprio il grande baritono Leo Nucci nei panni del protagonista e alla cura della regia, mentre in buca a dirigere l’Orchestra c’era Plàcido Domingo, altro mito della lirica. L’allestimento si ripropone oggi ampiamente rinnovato, sia per adattarlo alle diverse caratteristiche e alle più contenute dimensioni del palcoscenico del Bellini, sia per rispondere ad ulteriori sviluppi della visione registica.
Il melodramma in tre atti musicato da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma storico di Victor Hugo Le Roi s’amuse, debuttò al Teatro La Fenice di Venezia l’11 marzo 1851 dopo le tormentate vicende dovute all’opposizione della censura austroungarica, che riteneva deplorevole la smoderatezza di costumi attribuiti ad un sovrano, considerando il soggetto molto scabroso e la cattiveria, la crudeltà insite nel tema della maledizione. Verdi, che in una lettera al librettista definiva la pièce di Hugo «il più gran soggetto e forse il più gran dramma de’ tempi moderni. Tribolet è creazione degna di Shakespeare!», cambiò nomi ai personaggi e ambientazione pur di superare gli ostacoli della censura, mantenendo comunque una sostanziale fedeltà allo spirito della fonte letteraria del libretto. La partitura apre la cosiddetta “Trilogia popolare” che si completerà poi nel 1853 con altri due gioielli del teatro musicale romantico, Il trovatore e La traviata.
Dopo «gli anni di galera», come li definì lo stesso Verdi, anni di febbrile lavoro in cui porta in scena la grande letteratura europea di Hugo, Schiller, Byron e Shakespeare, Rigoletto rappresenta un cambiamento radicale nella traiettoria creativa del compositore di Busseto, che si innamora del personaggio del giullare deforme, irridente e beffardo, perfetta sembianza del baritono verdiano, di cui Leo Nucci è stata esemplare incarnazione, con le sue 560 recite nei maggiori teatri di tutto il mondo, nell’arco di una lunga e luminosa carriera.
La regia di Nucci è un appassionato, accurato atto d’amore e fedeltà nei confronti della partitura e della sua densa complessità. La mise en scène asseconda scrupolosamente le indicazioni verdiane che sono già tutte dentro alla partitura, agli accordi e alle scelte musicali che si fanno anima e motore dell’azione scenica, drammaturgia viva di corpi e voci. Con la potenza espressiva frutto di studio incessante, di uno straordinario talento e di una grandissima padronanza del palcoscenico, Leo Nucci ci restituisce tutta l’enormità del capolavoro verdiano, delineando sapientemente la fisionomia di un personaggio universale che racconta tutto l’inestinguibile mistero dell’uomo. Sin dal Preludio in Do minore Rigoletto ci appare come un personaggio molto sfaccettato, un uomo triste che indossa la maschera del buffone e con la sua ironia derisoria e graffiante vive al servizio del potere nascondendo i suoi reali sentimenti e la sua vera identità. Questa emerge più chiaramente nel rapporto con l’adorata figlia Gilda, che rappresenta il bene più grande per Rigoletto e sarà centrale nello sviluppo di tutta la vicenda fino al tragico epilogo. La grandiosità dell’opera, ma anche l’essenza della sua universalità, risiede nel suo essere commedia e tragedia insieme, nel saper rappresentare la coesistenza di opposti sentimenti, passioni, emozioni all’interno dell’animo umano, la paradossale, talvolta grottesca imprevedibilità degli eventi e il senso di fragilità ed impotenza dell’uomo dinanzi agli oltraggi del potere. Tutti questi elementi rendono l’eccelsa musica di Verdi anche sommamente popolare poiché il pubblico si rispecchia e si riconosce in essa.
Dal punto di vista dello spazio scenico, assai coinvolgenti e suggestive sono le scenografie di Carlo Centolavigna che, con gli espliciti e numerosi richiami al patrimonio artistico italiano (i bellissimi affreschi di Annibale Carracci nella Galleria di Palazzo Farnese, i ritratti di Andrea Mantegna e Piero Della Francesca, il Ratto delle Sabine del Giambologna) e con il contributo dei magnifici cromatismi dei costumi di Artemio Cabassi, creano una perfetta ambientazione della storia. Plastiche ed efficaci teatralmente anche le luci curate da Bruno Ciulli, che conferisce quasi un effetto scultoreo ai giochi luminosi su scene e personaggi.
Travolgente, impetuosa e precisa la direzione del maestro Jordi Bernàcer: la sua lettura appassionata restituisce tutta la geniale teatralità insita in ogni nota scritta da Verdi, complice anche lo stato di grazia dell’Orchestra e del Coro del Teatro Massimo Bellini.
Per la recita di domenica 3 novembre il ruolo del titolo è interpretato dal baritono russo Roman Burdenko, vincitore di numerosi concorsi internazionali e dotato di un possente strumento vocale che ben esprime le molteplici e contrastanti sfumature psicologiche del protagonista del melodramma. Artista dall’esuberante presenza scenica e dalla mimica cangiante, offre un’ottima prova dal punto di vista musicale e attoriale attraverso un percorso di disvelamento progressivo del volto più autentico di Rigoletto, un uomo dilaniato dalle sue emozioni negative, dalla rabbia e dal desiderio di vendetta, dall’infelicità e dal dolore per la morte dell’amata figlia. Molto apprezzato dal pubblico, concede un bis sul proscenio della celebre cabaletta “Sì vendetta, tremenda vendetta” alla fine del secondo atto.
La Gilda del soprano albanese Enkeleda Kamani ha regalato molti momenti emozionanti con un’interpretazione profondamente autentica e struggente, una voce limpida e delicata nel fraseggio e un canto ben legato che conquista la sala.
Nel ruolo del Duca di Mantova il tenore catanese Ivan Magrì ha ben reso il personaggio del dongiovanni rubacuori e senza scrupoli che riesce ad ingannare con arroganza la pura innocenza di Gilda. Molto applaudite le esecuzioni delle arie più celebri, da “Questa o quella per me pari sono” del primo atto a “La donna è mobile” del terzo atto, Magrì ha cantato con voce sicura e decisa e con un’impeccabile presenza scenica.
Molto convincenti anche le prove del basso Ramaz Chikviladze, un solido Sparafucile, del mezzosoprano Elena Belfiore, una Maddalena con una voce ben centrata, del basso Luca Dall’Amico, un corretto e imponente Conte di Monterone, del mezzosoprano Elena Borin, una misurata Giovanna. Validi tutti gli altri interpreti, Fabrizio Brancaccio (Marullo), Riccardo Palazzo (Matteo Borsa), Gianluca Failla (Conte di Ceprano), Sonia Fortunato (Contessa di Ceprano), Angelo Nardinocchi (Usciere di corte), Ylenia Iasalvatore (Paggio della Duchessa).
Gli applausi scroscianti, le numerose richieste di bis e la commossa, vibrante partecipazione del pubblico nel corso di tutta la recita sono la migliore conferma dell’eccellenza artistica e culturale che il Teatro Massimo Bellini offre alla città di Catania e ai suoi ospiti.
FOTO di Giacomo Orlando