Spettacoli

Orontea – Teatro alla Scala, Milano

L’Orontea di Antonio Cesti per la prima volta alla Scala di Milano.

Prosegue al Piermarini la riscoperta dei titoli primigeni del melodramma, dopo La Calisto di Cavalli e Li zite ngalera di Vinci tocca ora ad Antonio Cesti. La sua Orontea, opera del 1656, famosissima all’epoca della composizione, è stata rappresentata solo una volta, nel 1961, alla Piccola Scala. Il musicista aretino fu grande amico del pittore Salvator Rosa che amava definirlo: “gloria e splendore delle scene secolari”. E proprio delle strampalate vicende di un pittore, o almeno presunto tale, si racconta in Orontea. Con una felice intuizione, il regista Robert Carsen decide di spostare l’azione dall’antico Egitto ad una galleria di arte contemporanea di Milano. La scena, a cura di Gideon Davey, è essenziale e lucentissima: un moderno ed elegante spazio espositivo, dove possiamo ammirare opere che rimandano alla corrente Color field, quella di Mark Rothko, per citare il nome più illustre. Al centro della scena un letto simile al Bed del 1955 di Robert Rauschenberg, usato irriverentemente dai protagonisti per amoreggiare. Una grande pedana rotante ci permette di vedere altri ambienti, fra cui spicca la casa della protagonista. Qui una imponente finestra ci mostra una grandiosa vista sullo skyline della “nuova” Milano, quello caratterizzato dalla Torre UniCredit. Rigorosi ed essenziali i costumi di taglio contemporaneo di Gideon Davey, abbaglianti le luci, curate dallo stesso Carsen insieme a Peter van Praet. Un allestimento, quello del regista canadese, come sempre curatissimo e ben rifinito, ma che non ci ha totalmente convinto perché parecchio statico e monocorde, a tratti noioso. Anche quella che parrebbe essere una critica alla società e al mondo dell’arte risulta poco coraggiosa e non totalmente compiuta.
 
Di assoluto rilievo l’esecuzione musicale.
Merito, in primis, della straordinaria bacchetta di Giovanni Antonini, tra i massimi conoscitori del repertorio barocco. Con gesto attento e preciso, il direttore riesce a ricamare il racconto musicale con impalpabile delicatezza e soffusa ironia. Particolarmente suggestiva risulta, inoltre, la scelta delle dinamiche che, lavorando in armonia con la compagine strumentale del Teatro alla Scala, presente per questa occasione a ranghi ridotti e su strumenti storici, si combinano ottimamente in un costrutto sonoro levigato e sempre pertinente alla valenza drammaturgica del momento.   
Sul palco agisce una compagnia di canto di livello, ben amalgamata ed affiatata, vocalmente come sulla scena.

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Stéphanie d’Oustrac e Mirco Palazzi

Nel ruolo del titolo, Stéphanie d’Oustrac sfoggia una vocalità importante e dal caratteristico colore brunito. La linea si dipana agevolmente tra recitativi ed ariosi, trovando sempre la giusta espressività. Grazie anche alla elegante presenza scenica, l’artista riesce a caratterizzare al meglio la sensualità e l’enfasi amorosa di questo personaggio cui spetta, nella drammatica scena di gelosia in secondo atto, il momento più noto di tutta la partitura, l’aria “Intorno all’idol mio”, eseguita con sognante abbandono.

Brilla, al suo fianco Carlo Vistoli, un Alidoro di splendida fattura vocale e di irresistibile carisma sulla scena. L’artista possiede un mezzo che conquista per il calore di un impasto timbrico vellutato ed avvolgente che si dispiega tra le righe del pentagramma con la opportuna morbidezza. Ciò che colpisce, nella prova di Vistoli, è la capacità di cesellare il fraseggio attraverso una palette di nuances espressive sempre pertinenti ad esprimere l’evoluzione del personaggio nel corso della vicenda. Ne sortisce una caratterizzazione moderna, scanzonata e mai affettata, seducente e smaliziata di questo pittore che, conquista dopo conquista, riesce a raggiungere il potere.

Molto bene anche il Corindo di Hugh Cutting che si distingue per la brillantezza e la luminosità della linea. Una vocalità che risulta precisa e ben impostata, così come pregevole è il passaggio tra i registri. Il personaggio, inoltre, viene sbalzato con cura e reso alla perfezione nel suo animo romantico.

Di livello la prova di Francesca Pia Vitale, che si apprezza, in particolare, per la freschezza del timbro e la rotondità dell’emissione. Scenicamente a proprio agio restituisce, con divertita ironia, tutta la verve seduttiva di Silandra.

Luca Tittoto, nei panni di Gelone, è un mattatore sulla scena e, grazie alla incisività del declamato e alla ampiezza del mezzo, si rende protagonista di una prestazione ottimamente riuscita.

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Luca Tittoto e Sara Blanch

Autorevole, vocalmente come nelle movenze, il Creonte di Mirco Palazzi, in possesso di uno strumento di puro velluto.
Il ruolo en travesti di Tibrino viene interpretato da Sara Blanch coniugando la brillantezza della linea vocale con la spumeggiante leggiadria della presenza scenica. 
Marcela Rahal tratteggia con irresistibile ironia il personaggio della vecchia Aristea, vocalmente ben sottolineato dallo screziato impasto timbrico del mezzosoprano.
Degna di nota anche la prova di Maria Nazarova che, in possesso di una linea dalla buona musicalità, disegna una Giacinta, en travesti, partecipata e coinvolta nell’accento e sulla scena.
Grande successo al termine con applausi copiosi per tutti gli artisti.

L’ORONTEA
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Libretto di Giacinto Andrea Cicognini e
Giovanni Filippo Apolloni
Musica di Antonio Cesti

Orontea Stéphanie d’Oustrac
Creonte Mirco Palazzi
Silandra Francesca Pia Vitale
Corindo Hugh Cutting
Gelone Luca Tittoto
Tibrino Sarah Blanch
Aristea Marcela Rahal
Alidoro Carlo Vistoli
Giacinta Maria Nazarova

Orchestra del Teatro alla Scala
su strumenti storici
Direttore Giovanni Antonini
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Gideon Davey
Luci Robert Carsen e Peter Van Praet

Foto: Brescia Amisano – Teatro alla Scala