Spettacoli

La bohème – 70° Festival Puccini 2024

Se per un verso ogni allestimento de La bohème sembra non poter prescindere dalla rappresentazione di alcuni elementi, come la soffitta o la panchina con la neve, dall’altro si riscontra come la maggior parte delle regie prediliga un’ambientazione durante la Belle Epoque o negli anni della Scapigliatura, con qualche incursione nel Sessantotto o nella contemporaneità. La scelta di Massimo Gasparon di attenersi rigorosamente alle indicazioni del libretto – “Epoca, 1830 circa. Parigi” – ci mette quindi in una situazione di curiosità e di attenzione, come se fossimo dinanzi a una trovata originale. La ricostruzione, realizzata con il consueto stile elegante e avvalendosi di sofisticate proiezioni digitali, non riesce tuttavia propriamente tradizionale, ma ci pare piuttosto ispirata ad un certo gusto filologico, nella ricerca delle atmosfere immaginate da Illica e Giacosa con lo stesso Puccini e in linea perdipiù con le altre proposte del Festival, che ha già presentato nelle loro prime versioni le opere giovanili di Edgar e Le Willis.
Secondo una modalità analoga a quella utilizzata nella Manon Lescaut della scorsa settimana, al centro della scena è posta la soffitta, candida come la bianca cameretta di Mimì e secondo un’architettura tutta parigina che vediamo ripetuta nei video di Matteo Letizi sul fondale a ricreare le vie della Città. La luna, il camino, la tela del Mar Rosso: tutto viene rappresentato, ogni elemento del testo ha un suo corrispondente visivo, stilizzato e talora in una foggia più moderna, tipo le bottiglie disposte come in un quadro di Morandi. I movimenti sono accurati e perlopiù ritmati sulla musica, con l’inserimeno di alcune soluzioni d’effetto come il gesto di Mimì che lascia intenzionalmente la chiave sul pavimento, fingendo di averla smarrita. Dal primo atto si passa al secondo senza stacco, con la struttura che ruota e diviene Momus, quadro vivace ma che riesce meno fluido degli altri. I costumi sono quelli della moda degli anni trenta dell’Ottocento, con tagli raffinati e colori ora tenui ora sgargianti, mentre le luci da parte loro conferiscono agli ambienti un carattere terso e naturale. Un altro mezzo giro e il Caffè diviene la Dogana, con una ben riuscita suddivisione tra interno ed esterno, ed infine si ritorna nella soffitta, culmine di una rotazione che tramette appropriatamente l’idea di circolarità. Ed è qui che ritroviamo i nostri bohémien, estrosi e feriti, nella leggerezza del teatro che cede il passo alla gravità della morte, a descrivere con bravura, ancora una volta e fino alla fine, quella “Vita gaia e terribile…” di cui scriveva Henry Murger, citato in apertura del libretto.

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Ivàn Ayòn Rivas e Carolina Lòpez Moreno

Tra gli interpreti, tutti validi sia come cantanti che come attori, spicca la prova di Carolina Lòpez Moreno che delinea una Mimì fresca e maliziosa, unendo grazia e sensualità, vigore e delicatezza. L’emissione è morbida e rotonda, di notevole eguaglianza e forza negli acuti. E’ spontanea e naturale fin dal suo primo intervento, esibendo un fraseggio trasparente e cesellato, capace di slanci luminosi e di note prolungate. Anche da Momus emerge nelle regioni più alte, mentre alla Barriera d’Enfer ha una linea sinuosa che raffigura in forme marcate il tormento interiore. Esprime nel finale una lieta rassegnazione, con mezze voci e inflessioni che ben rappresentano il suo spegnersi nella morte pur continuando a brillare.

Si staglia con rilievo anche la figura di Rodolfo interpretato da Ivàn Ayòn Rivas che, con una vocalità potente e di ottima estensione, traccia con ampiezza ogni melodia e proietta con forza acuti smaltati. Al primo atto tuttavia le parti gravi e centrali risultano opache ed il personaggio ne esce poco aggraziato. Trova però al terzo atto la sua cifra migliore e più drammatica, con un duetto svettante e appassionato.

Ha un corpo vocale duttile e consistente la Musetta di Sara Cortellezzis, che rende il suo valzer in modi sensuali e con grande sicurezza nelle agilità. Nel finale dà prova di una intensa drammaticità, esprimendo un dolore composto eppur lacerante.
Alessandro Luongo plasma con esuberanza la tormentata passionalità di Marcello. Il suo fraseggio si mostra sempre articolato con cura e declinato in una grande varietà di sfumature.
Nobile ed elegante lo Schaunard di Gianluca Failla, dall’emissione corposa e tondeggiante. Il suo canto è luminoso e affabulatorio, con il potere di farci vedere le cose che racconta.
Tonante e compatto il Colline di Adolfo Corrado, con un ‘espressività diretta e profonda. La sua romanza viene sbalzata nei dettagli e comunica con eloquenza il sentimento della tragedia.

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Alessandro Luongo, Adolfo Corrado, Stefano Marchisio, Gianluca Failla, Ivàn Ayòn Rivas

Molto espressivo il Benoit di Stefano Marchisio, con uno stile comico e accuratamente accentato. Dal punto di vista drammaturgico, un invecchiamento del personaggio ne avrebbe certamente aumentato lo spessore.
E’ un signore geloso dal canto incisivo l’Alcindoro di Italo Proferisce, che poi ritroviamo come nitido Sergente dei Doganieri. Chiaro e malinconico il Parpignol di Saverio Pugliese e ben definito il Doganiere di Alessandro Ceccarini.

In buona sintonia con il palco la direzione di Michelangelo Mazza, che accompagna e sostiene l’intero sviluppo in una maniera assai sorvegliata. Il suono è sempre preciso e voluminoso, con certi sfumati particolarmente suggestivi, come quello che chiude il terzo atto. In evidenza la varietà ritmica e la resa cromatica, con effetti di scomposizione che impreziosiscono il flusso. In alcuni passaggi la conduzione pare tuttavia soffermarsi e rimanere sospesa, facendo un po’ perdere di compattezza alla narrazione.

Non troppo fluidi anche gli interventi del Coro, coeso ma con attacchi un po’ bruschi e, come in Manon Lescaut, costretto a cantare in gruppi troppo distanti. Graziose e intonate le Voci bianche, sebbene con poco volume.

Fragorosi consensi per tutti e molto applauditi soprattutto la Lòpez Moreno e Ayòn Rivas.

LA BOHÈME

Scene liriche in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica

Musica di Giacomo Puccini

Maestro concertatore e direttore d’orchestra Michelangelo Mazza

Regie, scene, costumi e disegno luci Massimo Gasparon

Mimì Carolina Lòpez Moreno
Musetta Sara Cortellezzis
Rodolfo Ivàn Ayòn Rivas
Marcello Alessandro Luongo
Schaunard Gianluca Failla
Colline Adolfo Corrado
Benoit Stefano Marchisio
Alcindoro Italo Proferisce
Parpignol Saverio Pugliese
Il Sergente dei Doganieri Italo Proferisce
Un Doganiere Alessandro Ceccarini

Coreografia Gheorghe Iancu
Disegno video Matteo Letizi

Orchestra e Coro del Festival Puccini
Maestro del Coro Roberto Ardigò

Coro delle voci bianche del Festival Puccini
Maestro del coro voci bianche Viviana Apicella

Foto: Giorgio Andreuccetti