Rigoletto al barsò
Gli edifici dismessi della Eridania zuccheri hanno conosciuto nel 2001 una inaspettata e meravigliosa rinascita grazie al genio di Renzo Piano che ha saputo creare da una fabbrica abbandonata un nuovo spazio per la musica e la cultura. In questo senso non poteva essere più giusta ed evocativa la scelta di questo luogo, oltre che per logistica, per fare rinascere l’attività lirica del Teatro Regio di Parma che con questo Rigoletto al barsò (tettoia in dialetto) prova a ripartire dopo l’emergenza Covid. Il nome scelto rimanda alla struttura che ospita lo spettacolo ma vuole suggerire anche una dimensione quasi da paese, una rappresentazione più intimistica e per pochi amici che si ritrovano in una piazza a vedere un’opera in scala ridotta. Chiaramente la scelta è dovuta alle ben note limitazioni e norme sanitarie vigenti: pubblico ben distanziato quindi e con mascherina (simpatica l’idea di proporre in vendita quelle marchiate Regio), una formazione orchestrale alleggerita, niente coro ed uno spazio fra i cantanti sempre rigorosamente mantenuto. “O tempora, o mores”: Rigoletto non può più abbracciare sua figlia tra le mura domestiche, nella vergogna della violenza subita e neppure nell’ultimo istante prima di morire: l’intensità di quello che è uno dei rapporti figliali tra i più toccanti e suggestivi della produzione verdiana è affidato unicamente alla grandiosità della partitura.
In questo contesto la regia di Roberto Catalano muove i personaggi in uno spazio scenico dalle ridotte dimensioni e con pochi movimenti molto misurati; unico elemento scenico è rappresentato da quattro riflettori che gli stessi personaggi muovono in continuazione per sottolineare attraverso le luci, a cura di Fiammetta Baldiserri, i diversi snodi emotivi del dramma. Gli spunti interessanti non mancano: la luce, ad esempio, crea una sorta di spazio protettivo e difensivo all’interno del quale Gilda è tenuta al sicuro dal mondo esterno, ma talvolta le intenzioni del regista sembrano rimanere abbozzate e non immediatamente intelligibili, soprattutto se confrontate con quanto riportato nel programma di sala. Di pregevole fattura i costumi del Teatro Regio di Parma, che si lasciano apprezzare per la minuziosa cura dei dettagli e per le belle cromie.
Alla guida della Filarmonica Arturo Toscanini (ma con un numero ridotto di Professori d’Orchestra) Alessandro Palumbo dirige la partitura con gesto sicuro. Anche se con alcune difficoltà timbriche e sonore, dimostrate dalle varie sezioni orchestrali, il direttore riesce a rendere almeno in parte le molteplici sfumature di cui è densa la partitura. Le prescrizioni della pandemia non consentono in questa occasione la presenza del coro: vengono pertanto praticati alcuni tagli, ma non tali da modificare l’organicità del capolavoro verdiano.
La compagnia di canto è capitanata, nel ruolo del titolo, da Federico Longhi, baritono, che ha calcato alcuni tra i più prestigiosi palcoscenici internazionali e che vanta una carriera di oltre venticinque anni. Il suo Rigoletto conquista il pubblico, oltre che per una buona linea di canto, sicura in acuto ed una intonazione invero notevole, per la sua interpretazione posata e signorile che rifugge certi facili gigionismi di tradizione.
Nel ruolo di Gilda debuttava il soprano Giulia Bolcato: la sua voce dal timbro chiaro risulta particolarmente a suo agio nelle colorature, il fraseggio, inoltre, è misurato e ben finalizzato nel delineare il carattere angelicato del personaggio. Particolarmente apprezzata dal pubblico la sua esecuzione della celeberrima aria di primo atto “Caro nome”.
Il tenore David Astorga interpreta un Duca di Mantova che seduce con il suo timbro chiaro e il bel colore in particolare nel registro centrale; il fraseggio nobile ed appassionato compensa alcune lievi disomogeneità specialmente nel registro di passaggio.
Ben a fuoco lo Sparafucile di Andrea Pellegrini dotato di un bel timbro ambrato è particolarmente disinvolto sulla scena.
Adeguatamente ieratico il Monterone di Italo Proferisce.
Mariangela Marini, scelta tra le fila degli allievi dell’Accademia Verdiana, appare pienamente convincente sia come seducente e volitiva Maddalena sia come confidente Giovanna.
Una menzione d’onore per Daniele Lettieri, Gianni Giuga e Claudio Levantino, nei ruoli rispettivamente di Matteo Borsa, il Conte di Ceprano e Marullo, che affrontano con sicurezza le loro parti oltre a sostituirsi egregiamente a parte degli interventi che la partitura prevede per il coro qui eseguiti. Completano la locandina Chiara Notarnicola ed Emil Abdullaiev, rispettivamente un paggio ed un usciere, entrambi allievi dell’Accademia Verdiana.
Il pubblico presente, che pur non esauriva la platea, mostra buon gradimento per l’esecuzione e saluta con calore tutti gli interpreti di quella che è stata una iniziativa assolutamente meritevole e degna di lode per siglare il ritorno dell’opera nella patria di Giuseppe Verdi.
Teatro Regio di Parma
Stagione 2020
RIGOLETTO AL BARSÒ
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Duca di Mantova David Astorga
Gilda Giulia Bolcato
Rigoletto Federico Longhi
Sparafucile Andrea Pellegrini
Maddalena Mariangela Marini
Monterone Italo Proferisce
Giovanna Mariangela Marini
Matteo Borsa Daniele Lettieri
Conte di Ceprano Gianni Giuga
Un paggio Chiara Notarnicola
Marullo Claudio Levantino
Un usciere Emil Abdulliev
Filarmonica Arturo Toscanini
Direttore Alessandro Palumbo
Regia Roberto Catalano
Luci Fiammetta Baldiserri
Elementi scenici e costumi Teatro Regio di Parma
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma, Parco della Musica, 29 giugno 2020
FOTO ROBERTO RICCI