Coronavirus: condivisioni a cuore aperto degli interpreti della lirica
Scritto da William Fratti, in collaborazione con Marco Faverzani e Giorgio Panigati
Tutto il mondo sta attraversando una situazione dolorosa e drammatica di difficoltà oggettiva che coinvolge tutti noi e le nostre famiglie; un’emergenza nazionale e globale gravissima che travolge anche la cultura. Come tutti sappiamo, è stata disposta la chiusura di gran parte dei teatri nazionali ed internazionali. Parliamo dello scenario dei lavoratori autonomi del mondo dello spettacolo che per primi stanno vivendo una forte criticità a livello economico. Qual è la prospettiva degli artisti in questo momento? Come si evolverà la situazione e quali potranno essere le opportune azioni necessarie per rilanciare il settore? Cosa accadrà alla fine della pandemia?
FABIO ARMILIATO – Nella mia vita artistica e nella mia vita privata ho vissuto tante esperienze e affrontato situazioni anche molto difficili e a volte drammatiche, che mi hanno segnato molto ma anche insegnato moltissimo.
L’emergenza che stiamo vivendo in questi giorni a causa del Covid-19 che sta sconvolgendo le nostre vite, ci ha gradualmente privato della socialità, della vita di tutti i giorni fino a toglierci anche la libertà e tutte le certezze che pensavamo fossero intoccabili. Ha appiattito e azzerato di colpo quel mondo così globalizzato e forse anche eccessivamente veloce in cui stavamo girando vorticosamente per riportarci a una dimensione di solitudine e di allontanamento fisico dagli altri che ha dell’assurdo, se valutata coi parametri della “normalità” che avevamo acquisito. La sensazione più forte che emerge, almeno per me, in questo frangente è però il forte senso di impotenza che mi pervade e che è causato soprattutto dal fatto di avere a che fare con un “nemico invisibile”. Un’alluvione… una catastrofe… un lutto… un incidente… una delusione amorosa o di lavoro… la vedi, la affronti, la superi con la volontà e col confronto e l’azione. Il “nemico invisibile” è tutt’altra cosa perché vedi solo le conseguenze del suo passaggio e non lo puoi intercettare o individuare. Vive nell’altro… vive attorno a te… ne percepisci l’azione ma non lo puoi fermare concretamente coi tuoi mezzi… ti priva del contatto e quindi del poter vivere insieme agli altri esperienze ed emozioni uniche, come quelle, per esempio, di sedersi uno vicino all’altro ad assistere a un concerto, a una commedia, a un’opera lirica.
Il “nemico invisibile” ci ha privato del pubblico. Per noi artisti questo è qualcosa di devastante… di inconcepibile… di assurdo… di profondamente sbagliato… ma non possiamo al momento farci nulla. Lo sentiamo, ne prendiamo atto ma… siamo impotenti. Il senso di responsabilità ci isola, ma ci fa rendere conto di quanto sia importante la vita sociale e la condivisione delle nostre esperienze: il confronto. Cosa possiamo fare noi artisti per affrontare questa emergenza, oltre che prendere coscienza della situazione e prepararci ad affrontare il peggio chiusi nelle nostre abitazioni ed aspettando che qualcuno ci dia indicazioni su cosa fare e quando potremo nuovamente riprenderci la nostra libertà? Dobbiamo analizzare, approfondire e capire prima di tutto come sarà possibile far tornare in noi la fiducia nell’altro… e per ottenere questo dobbiamo prima di tutto iniziare ad avere fiducia nelle istituzioni, nella medicina… in chi ci fornisce le informazioni. Queste realtà devono diventare ora più che mai l’ “amico visibile” e non confermarsi purtroppo, una volta di più, proprio per mancanza di fiducia da parte dei cittadini, in un eterno… “nemico visibile”.
L’Italia è un paese straordinario e la ricchezza del suo patrimonio culturale è un tesoro e un patrimonio davvero inestimabile che tutto il mondo ci invidia. Io sono un artista lirico, un tenore e so quanta considerazione esiste nel mondo da sempre verso questo genere che è nato in Italia e che da oltre quattro secoli fa parlare e cantare l’italiano in tutto il mondo, grazie al genio dei suoi autori e dei suoi interpreti. Abbiamo insegnato veramente a cantare attraverso i tempi a tutto il pianeta: cantare bene significa ancora oggi applicare l’arte del belcanto italiano. Forse qualcuno ha perso di vista tutto questo.
Con la chiusura dei teatri e con l’impossibilità di poter partecipare a tutto quello che si intende come “spettacolo dal vivo”, tutti noi artisti: cantanti, attori, ballerini e in generale tutti coloro che vivono attraverso le loro esibizioni e che sono per la maggior parte tutti lavoratori autonomi e con partita Iva, non percepiscono e non percepiranno nessun reddito e il rischio che questa situazione si procrastini per lungo tempo, mette nella condizione tutti coloro che lavorano nel mondo dello spettacolo dal vivo, e che quindi ha bisogno di un pubblico per l’esibizione, a non aver nessuna fonte di sostentamento. Le categorie dei lavoratori dello spettacolo non sono però state prese in assoluta considerazione in tutti i decreti che si sono susseguiti in questo periodo di grave emergenza sanitaria ma anche lavorativa ed economica. Questo è un fatto estremamente grave e questo non è un “nemico invisibile”. Mi domando: perché trasformare situazioni già difficili di per se in situazioni drammatiche per le conseguenze di decisioni che disattendono le esigenze dei cittadini? La situazione del mondo dei lavoratori dello spettacolo era di per se già molto difficile prima dell’arrivo del “nemico invisibile”, perché troppi nemici visibili della cultura, della sanità e dell’educazione non si sono resi conto di quanto stavano gradatamente ma continuativamente affossando realtà fondamentali per la vita di un paese ricco di bellezze naturali, culturali ed artistiche come il nostro: parlo dei troppi tagli alla sanità, all’educazione e alla cultura operati soprattutto negli ultimi decenni a danno proprio di questi pilastri fondamentali per la vita di uno stato e la crescita e lo sviluppo e il benessere della sua popolazione e dei suoi cittadini.
Occorre a mio avviso un forte cambio di tendenza alla fine di questa emergenza: la cultura deve tornare ad essere considerata, insieme all’educazione e alla sanità, pilastro fondamentali della ripresa del nostro paese. Credo che pochi sono consapevoli del fatto che la musica, l’arte, la cultura sono e possono diventare sempre di più un grande volano anche per l’economia, per gli investimenti e per il benessere del paese se sfruttate e capitalizzate al massimo, perché diventano un polo di attrazione per turismo, scambi culturali, meeting, mostre e simposi. Tutto lavoro che porta un indotto straordinario in tutti i settori: dalla ristorazione, all’industria alberghiera, ai trasporti e a tutto ciò che scorre attorno a eventi e a manifestazioni importanti.
Inoltre, come presidente di una fondazione che parla di prevenzione, vorrei focalizzare per concludere l’attenzione anche su un tema che raccoglie in un motto tutte le motivazioni proprio della nostra fondazione, dedicata a uno di più grandi soprani della storia, Daniela Dessì: “la Musica, l’Arte e la Cultura in generale sono sicuramente la miglior medicina per prevenire il malessere negli individui che è molto spesso la causa scatenante di molte patologie anche gravi”.
Quindi, uno stato che investe nella cultura vuol dire sostanzialmente e fattivamente uno stato che aiuta le persone a imparare a vivere meglio e quindi a stare meglio. La musica e la cultura sono un indispensabile cibo per l’individuo, per la sua anima… investendo su educazione e cultura si formeranno sempre migliori persone per diventare migliori cittadini, consapevoli del proprio stato e orgogliosi di appartenere a una nazione che è degna del suo passato e delle conquiste operate dai nostri genitori e da tutte le generazioni che ci hanno preceduti a vantaggio di quelle future.
#FACCIAMOSENTIRELANOSTRAVOCE
SILVIA BELTRAMI E MARCO FILIPPO ROMANO – Tornando indietro di qualche mese, non possiamo pensare ai momenti di festa, momenti di condivisione con gli amici e colleghi, i progetti e lo studio per questo nuovo anno artistico, ma poi qualcosa che nessuno vede e sente arriva all’improvviso, così da un giorno all’altro vengono interrotte le produzioni, i teatri chiudono, sbarrati i loro portoni ed arriva il silenzio. Le nostre vite di donne e uomini, ma anche di artisti, cambiano e ci costringono a casa lontani dai nostri affetti e in questo rientra anche il pubblico. Abbiamo comunque la speranza e anche la consapevolezza che tornati alla normalità tutti avremo bisogno del “bello” quindi divoreremo arte e musica; certo si dovrà studiare almeno per i primi tempi come mantenere le dovute distanze di sicurezza, ma si deve tornare a fare arte dal vivo. Purtroppo i bellissimi streaming delle opere non posso trasmette la stessa emozione, ma ci tengono compagnia. Va detto che in questo periodo tutti ci ingegniamo con i social per stare assieme anche lontani, per esempio abbiamo creato un appuntamento quotidiano “L’Ora d’Arie e Duetti” dove ogni giorno si scherza e si invitano tanti amici e colleghi per regalarci un’aria o un duetto dell’opera del giorno.
PAOLO BORDOGNA – Sono giorni questi di grande incertezza e preoccupazione, sto aspettando di sapere qualcosa da Berlino per una produzione, lì i teatri sono ufficialmente chiusi fino al 19 aprile ma ancora non si capisce cosa succederà, questo la dice lunga sulla precarietà del nostro lavoro. Io sono molto preoccupato, bisogna insistere ora e fare capire al governo che il nostro settore è importante anche dal punto di vista economico oltre che artistico, soprattutto all’estero. Con lo spettacolo dal vivo si può fare business seriamente, ci sono istituzioni all’estero come l’opera di Sidney che ha, ad esempio, proposto una nuova stagione sull’acqua, produzioni spettacolari con un pubblico particolare e diverso da quello abituale, parliamo di quarantamila spettatori per Traviata, con microfoni, è vero, forse tutto un po’ kitsch ma è un modo di intendere l’opera come intrattenimento. Addirittura ricordo che si poteva attraccare con la barca direttamente ad alcuni moli per godersi lo spettacolo, erano stati creati ad esempio, per Aida, ristoranti a tema. Insomma nel mondo con la lirica si riescono a fare grandi spettacoli, sponsorizzati dai privati. In Italia la grande sciagura che si è abbattuta su di noi va a gravare su una situazione già di base non facile. Spero sia una grande sfida che possa rilanciare la cultura italiana, e che si possano salvare migliaia di posti di lavoro.
In questi giorni a casa, ascolto musica, guardo film, opere, studio molto e cerco di tenere la mia voce allenata, in questi giorni tristi la cultura ci ha salvato insomma. Il problema purtroppo oggi è globale, dovremo ricominciare passo passo; secondo me il governo ha fatto bene a non dire la verità subito, ossia che non ci sarà una normalità almeno fino a settembre. Dobbiamo capire che il mondo è cambiato, devono cambiare norme sociali e comportamenti, soprattutto in pubblico e per gli assembramenti, elementi che interessano ovviamente il nostro lavoro. Mi auguro che questa sia la possibilità per tornare a stare insieme, la gente sta male in casa, soprattutto chi non ha interessi.
L’Italia si è mossa bene per quello che poteva, i controlli agli aeroporti c’erano già da tempo, siamo gli unici a contare e piangere i morti veri, non quelli poco chiari dei numeri degli altri stati. Mi auguro che la Germania capisca e spero non si facciano Eurobond solo per noi ma per tutta l’Europa, serve una risposta coesa ed efficace. L’America ha stanziato enormi fondi, possono permetterselo, ma contano anche di avere molti morti, sappiamo come è il loro sistema sanitario, noi siamo fortunati in questo. Abbiamo personalità importanti in campo medico e non solo, siamo grandi in molti campi, anche nell’opera lirica. E allora noi artisti non possiamo essere ancora lasciati per ultimi.
Voglio dire che l’opera, la prosa, il balletto non finiscono, non finiranno, vanno rilanciati con calma e con nuove norme di fruizione. Gli strumenti di aiuto fatti per noi sono per ora insufficienti e poco chiari. Il nostro settore è grande ed importante, va considerato e tutelato. L’Italia va spinta nelle cose belle che ha, arte, opera, cultura! Questo è il momento di mettere mano al nostro sistema culturale e renderlo più fruibile a tutti. È un momento brutto e difficile, penso a colleghi meno fortunati di me, persone giovani magari con contratti che non vengono pagati e sono in seria difficoltà. Non possiamo perdere una generazione di artisti e di pubblico. Con calma e con le regole del caso dobbiamo andare avanti. Siamo davanti a qualcosa che non conosciamo. Bisogna avere pazienza e stare a guardare, ripartire quando si potrà con calma, ma con determinazione per il nostro settore. Io sostengo da anni Assolirica, ora molti colleghi si stanno finalmente associando, serve avere una voce sola.
Faccio mie le parole del Papa e del Presidente della Repubblica: questo che stiamo vivendo è un avvenimento più grande di noi e mai vissuto prima, ma noi italiani siamo capaci in momenti così bui di dare il meglio di noi!
MARTA CALCATERRA – I teatri sono stati i primi ad essere chiusi purtroppo, il 23 febbraio, ben prima del mondo del calcio ad esempio.
La cosa bella da notare in questi giorni è che la cultura ci sta allietando, in televisione, via web, molte sono le iniziative culturali e tutti ne stiamo usufruendo. La cultura e l’arte ci aiutano a stare bene, tutti lo stiamo sperimentando. Molti teatri stanno proponendo opere del passato recente e questo ci aiuta a tenere stretto il nostro pubblico, farlo sentire meno solo e mantenere un bel legame. La crisi economica che c’è e ci sarà è purtroppo scontata, soprattutto per noi solisti, lavoratori autonomi a partita Iva. Si rischia di perdere un anno di lavoro intero, speriamo solo si possa ripartite a settembre e che non si debba aspettare la prossima primavera. I seicento euro promessi dal governo sono solo un piccolo aiuto. Dovete sapere che molti teatri italiani sono già debitori con i cantanti, solitamente sono in arretrato di un paio di anni con i pagamenti. Molti artisti devono ancora avere il pagamento di tre o quattro produzioni passate. Lo stato dovrebbe garantire fondi ai teatri che permettano di saldare i debiti pregressi agli artisti. Altro problema è che il fermarsi della lirica crea una sorta di blocco, la prossima stagione sarà probabilmente quella già prevista per quest’anno, si andranno giustamente ad onorare i contratti già in essere, le opere che non sono state fatte ma tutto il palinsesto andrà a scalare, le nuove produzioni si vedranno solo fra molto tempo e allora per noi il danno sarà doppio. Ma anche psicologicamente si crea una sorta di blocco, siamo fermi, non possiamo fare attività fisica e vocale, è molto difficile mantenersi in forma in questa situazione, manca l’elemento della adrenalina. Ci sarà sicuramente da superare la paura e si imporrà la necessità di mantenere la distanza sociale, i teatri dovranno pensare a nuove soluzioni logistiche che servano a fare riabituare il pubblico all’opera.
GIULIO ALVISE CASELLI – Vivo in Germania e il mio ultimo spettacolo qui è stata a fine febbraio. Ci eravamo dati appuntamento alla recita successiva, il 7 marzo, ma guardando alla situazione già allarmante dell’Italia, dubitavamo un po’ tutti, pur senza volerlo ammettere, di poterci davvero rincontrare in teatro a quell’appuntamento e purtroppo così è stato. Nel giro di pochi giorni le restrizioni, pur introdotte gradualmente, hanno finito per essere le stesse dell’Italia. Dopo gli stadi, i teatri sono stati i primi a dover chiudere i battenti in nome della salute pubblica. Pur avendo piena comprensione e consapevolezza della gravità del momento, la frustrazione è stata tanta. L’Opera di Stato di Meiningen, dove stavo lavorando, ha dimostrato un grande rispetto nei confronti dei propri artisti e ha pagato a me e ai miei colleghi i cachet di tutte le recite cancellate, promettendo di continuare a farlo fino a fine stagione. Così si è comportata a quanto ne so una gran parte dei teatri stabili tedeschi. Anche lo stato ha garantito liquidità e sgravi fiscali ai lavoratori autonomi dello spettacolo, molti dei quali rischierebbero altrimenti in tempi brevi di non poter più pagare un affitto. Ma naturalmente non è dato sapere quando si potrà davvero tornare in scena e personalmente ho già subìto comunque perdite economiche, con la cancellazione dei concerti di Pasqua e di un paio di produzioni non ancora contrattualizzate, ma sulle quali contavo.
Cerco di cogliere qualche aspetto positivo di questa situazione così difficile e senza eguali: posso dedicare tanto tempo alla mia famiglia, al mio bimbo e alle letture e dopo un’iniziale fase di shock e d’indolenza ho ritrovato la motivazione per esercitarmi quotidianamente, tenendo la voce in forma, studiare per le produzioni della stagione successiva, nella speranza che almeno esse siano salve. Sogno di essere tutti liberati da questa orribile emergenza sanitaria e di potere tornare presto a far vibrare le corde, rianimare i teatri, riempire le strade, abbracciarsi e brindare insieme.
ANNA MARIA CHIURI – Le prospettive per noi artisti in questo momento non ci sono. Noi siamo coloro che portano evasione e spensieratezza, riflessione su sentimenti immortali; attraverso i nostri spettacoli permettiamo al pubblico di immergersi in un tempo diverso dal presente per sondare la propria anima, evolvendosi e mettendosi in discussione. Non siamo medici o infermieri purtroppo. Ora c’è il bisogno di prendersi cura di chi soffre. Io in questo momento non ho voglia di cantare perché ho bisogno di un pubblico sereno che mi ascolti ed anche io adesso non sono serena. Quando le condizioni saranno più tranquille avremo modo di riorganizzare i nostri sentimenti. Noi lavoriamo con i sentimenti, ma adesso è tempo di silenzio e di rispetto.
Dopo la pandemia saremo diversi, lo siamo già. Non potremo dimenticare chi non c’è più e riprendere da dove abbiamo lasciato. Spero che ci sia più vicinanza, più considerazione delle competenze e più rispetto. Per rilanciare il settore serve un pubblico che capisca che noi artisti vogliamo cantare perché abbiamo bisogno di chi ci ascolta. Credo che ci vorrà del tempo, ma sono certa che ritorneremo in teatro con la gioia di aver attraversato insieme questo inferno. Senza polemiche e rivendicazioni.
SILVIA DALLA BENETTA – Ritengo che i lavoratori dello spettacolo e quindi i Teatri, si trovino per la prima volta davanti a uno stop che porterà molti cambiamenti. Il nostro settore è sempre stato visto in modo particolare, meno protetto di altri. Mi sono spesso sentita dire: “ma voi cantate! Pensa invece a un’azienda, un negozio, ai commercianti, agli operai”. Ma noi cosa siamo? Non siamo forse lavoratori? Sono anni che i teatri hanno bisogno di un rilancio perché soffocati da mille problematiche. In questi giorni Ho visto molti colleghi armarsi di inventiva e trasformare stanze, terrazzi e finestre in piccoli palcoscenici: questi siamo noi, con la voglia di fare, di esprimerci attraverso la musica che non può portare altro che serenità e gioia; ho riascoltato colleghi che non sentivo da anni con la loro meravigliosa voce nelle più varie circostanze, mi sono commossa e ho riflettuto tanto su ciò che accade e su ciò che è accaduto in questi ultimi anni.
Nel prossimo futuro ci dobbiamo tutti reinventare per risollevarci da questa grande crisi. Questo è un primo passo verso un nuovo che non si era mai visto; nessuno aveva mai pensato di aprire una finestra e cantare al mondo. Spero che dopo questo stop troveremo un terreno più fertile per far crescere qualcosa di diverso; in questo momento di crisi tutti stiamo rivelando qualcosa di noi stessi che nessuno prima vedeva, è nata molta più solidarietà, riscopriamo gli spazi, le modalità, i rapporti; voglio sperare in un mondo migliore dopo questo calvario.
ROBERTO DE CANDIA – Stiamo vivendo un momento storico, in tutti i sensi, qualcosa di mai visto prima e che ha richiesto misure mai attuate prima di adesso. Chiusi tutti i luoghi di aggregazione, i liberi professionisti, le partite Iva dello spettacolo, si trovano nella peggiore posizione immaginabile. Quelli che fino a ieri, e parlo dei cantanti, erano in prima linea in palcoscenico, sono stati abbandonati al loro destino proprio da quelle istituzioni che si avvalevano della loro collaborazione fino all’ultimo giorno possibile.
Solo pochissime istituzioni, meno delle dita di una mano, si sono messe una mano sulla coscienza assicurando la riprogrammazione degli spettacoli interrotti in questa stagione o provvedendo a un rimborso delle spese già sostenute da coloro che erano in già in prova. Altre direzioni di teatro hanno scelto invece di procedere diversamente provvedendo solo con parole di circostanza. Ho la speranza che questi ultimi vogliano ripensarci e cambiare atteggiamento adesso che la situazione è sicuramente più chiara dei primi giorni e hanno quindi avuto il tempo di considerare con più calma quanto accaduto. Assolirica, la nostra associazione di categoria riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo Economico, si sta adoperando senza sosta per portare questa problematica all’attenzione degli operatori coinvolti, dall’Anfols al Ministero.
Il percorso non è facile e la situazione di difficoltà di molti nostri teatri era nota da tempo: alcuni sono in ritardo anche diversi anni nei pagamenti dei compensi agli artisti. Nessuno credo si illuda che con un colpo di spugna si possa cancellare tutto ciò, ma questa situazione di emergenza potrebbe essere l’opportunità per gettare le basi di un ripensamento dei ruoli dei vari attori in campo, come pure di alcune norme e usanze che sono sinceramente anacronistiche e non più accettabili. Per questo credo che ci sia bisogno di uno sforzo da parte di tutti.
Non mi sfuggono le problematiche di chi, con un contratto a tempo indeterminato, oggi si trova ad affrontare la cassa integrazione ma noi, per la differente tutela contrattuale, non abbiamo nulla di tutto ciò. Credo che per alleviare le difficoltà di questo periodo, i teatri insolventi potrebbero quantomeno provvedere a pagare i cachet in sospeso da produzioni precedenti: sarebbe un modo per essere solidali e darci una mano, senza contare che quei denari, essendo frutto di un contratto debitamente onorato da parte nostra, ci spettano di diritto. Per quanto riguarda un’eventuale contributo economico per chi si è visto cancellare il contratto per via di questa emergenza, considerato che pare che il prossimo FUS possa essere erogato comunque, anche in assenza delle alzate di sipario di questi mesi, temo che finiremo per essere alla mercé della buona volontà delle sovrintendenze.
Onestamente non so quando torneremo in scena. Sicuramente saremo fra gli ultimi a riaprire, date anche le peculiarità intrinseche del nostro mestiere, della nostra arte. Sono sicuro che quando quel giorno arriverà, a poco a poco il nostro pubblico tornerà a gioire e piangere con noi, a divertirsi e a pensare di più alla propria anima intima. Sarà un giorno bellissimo e anche quelli fra di noi che magari avevano perso per strada un po’ di entusiasmo, come può a volte succedere nella vita, torneranno a trovare carica. Purtroppo ci renderemo conto di aver perso qualcuno per strada, e non soltanto chi, sventuratamente, è stato portato via dal virus, ma anche e soprattutto chi non avrà più posto in teatro.
Il mio augurio è che nessuno voglia prendere questo momento drammatico a pretesto per imporre condizioni di lavoro più onerose delle presenti o, peggio, decidere di fare una corsa al ribasso sia qualitativo sia economico, cosa che danneggerebbe ulteriormente tutti: è già accaduta un po’ ovunque a causa, o con il pretesto, della crisi economica; dovremo tutti pagare un prezzo all’ulteriore deflazione dell’economia, ma sarebbe grave, triste e squallido che qualcuno se ne approfittasse.
In questo periodo di isolamento moltissime persone si stanno sentendo meno sole grazie alla trasmissione totalmente gratuita via web e via tv dei nostri spettacoli; le nostre voci stanno facendo compagnia, continuiamo ad essere con il nostro pubblico, forse anche più numeroso di prima. Siamo orgogliosi e felici di poter essere di conforto anche stando a casa nostra. Quando tutto sarà finito, prego tutti gli spettatori di restare con noi e di non dimenticare il “sangue che scorre nelle vene dei teatri”, per usare le bellissime parole del collega Ludovic Tézier: di non dimenticare i cantanti, i direttori, i registi, gli scenografi e costumisti e tutti coloro che a vario titolo lavorano in teatro. Restateci accanto. Sarà dura, ma senza di voi non ce la possiamo fare.
ALBERTO GAZALE – Difficile rispondere a questa domanda. Certo è che dalla Camerata de’ Bardi in poi non sono mancati momenti difficili. Guerre, epidemie, carestie. Tutto pari o peggio rispetto a quello che sta capitando oggi al nostro mondo globale. Ultima in ordine di tempo, con proporzioni spaventose l’influenza “spagnola” che ha causato milioni di morti per poi regredire fino alla totale scomparsa senza darci una ragione né una risposta. Sebbene durante le pandemie le persone siano morte, gli eserciti decimati e i popoli sconfitti l’arte e la musica sono sopravvissuti a tutto questo. L’opera è l’arte che per sua natura aggrega. Tante arti insieme che trovano espressione solo con la sintesi della condivisione. Un quadro o una scultura si fanno oggi per essere ammirate domani. L’opera no, non funziona così. Ogni sua replica è un evento nuovo ed unico. Da questa considerazione è facile intuire che il Covid-19 pare essere venuto per impedirci di fare opera. Perderemo dei guerrieri ma non possiamo perdere la guerra. Noi preoccupati della filologia e del recupero storico abbiamo sottovalutato la virulenza dell’arte. Non muore mai, in questi giorni si consuma arte a domicilio, tantissima. Concerti, libri, film, viaggi da casa nei musei. Essa risponde ad una precisa esigenza immateriale e come tale supererà la nostra stessa esistenza. Poi, tornando alla realtà dei morsi della fame supereremo anche questa. Per il momento oggettivamente abbiamo un momento di grandissima esposizione e difficoltà. Senza voce, non abbiamo voce. Senza un pubblico la nostra voce resterà inascoltata. Ma con la voce da tenere viva ed allenata, dobbiamo per l’ennesima volta abbassare la testa, proteggerci, proteggere gli altri, magari renderci utili e lasciare che la piena del fiume ci passi addosso. Ci piegheremo senza fare gli eroi e magari toccando il fondo, perché tanto dal fondo si può solo risalire. Questo periodo difficile servirà per tirar fuori il carattere necessario per onorare questo lavoro. Chi da anni opera con sincerità, chi fa questo mestiere con passione, chi serve questo altare con spirito di servizio, conosce bene le difficoltà del percorso. Oggi su, domani giù e poi di nuovo su, poi per terra e poi sul trono. Proprio come nelle trame dei libretti stiamo conoscendo le grandi tragedie, le privazioni, i dolori immensi. Ma anche l’attesa, il sacrificio e la speranza. Ecco, ho elencato tutto ciò che noi solitamente interpretiamo con arte drammatica e che oggi viviamo duramente in diretta. La vita è una passeggiata su un filo sottile, sottile. I teatri riapriranno, non abbiate paura e quello che cambierà sarà solo la maggiore consapevolezza del valore della condivisione. Impareremo a trovare forza e unione in quella miniera di capolavori di cui la cultura italianissima e provvista in quantità addirittura sovrabbondante e di cui tutto il mondo si serve. Andremo come i cercatori d’oro a trovare dentro di noi, il senso dell’immensità immateriale come bisogno naturale e ci nutriremo ancora con maggiore voracità del segno artistico. Ci accorgiamo sempre più di quanto il teatro non abbia senso senza il suo luogo deputato. Internet, YouTube, Instagram, etc. sono strumenti che ormai sono entrati nel nostro quotidiano, ma sono totalmente inaffidabili e insufficienti e tradiscono il senso stesso dello spettacolo dal vivo. Quello “non è teatro”, almeno tanto quanto una foto non è una persona. Strumenti bugiardi che mancano di quella energia che solo il palco può generare. Il teatro è socialità per sua stessa natura. Il suo luogo non è altrettanto importante quanto la sua necessaria vocazione ecumenica ma non può prescindere dalla presenza fisica. Il teatro ha bisogno di annullare il “distanziamento sociale” altrimenti non è teatro. Non è importante il luogo ma le persone disponibili a mettersi i loro cuori in relazione elettiva. Se non moriremo di coronavirus o di fame, torneremo con molto più entusiasmo e molta più consapevolezza che il teatro è imprescindibile e anche e soprattutto, oggi più che mai, necessario.
AMARILLI NIZZA – Per sapere quale è la prospettiva degli artisti in questo momento dovrei avere doti di veggenza che ahimè non possiedo. Posso solo dire quale è la mia sensazione alla luce di tutto quanto leggo sulla stampa internazionale. Amo molto documentarmi sulla stampa estera per avere un quadro il più completo possibile dell’andamento del mondo, poiché la mia carriera si svolge nel mondo e non solo in Italia. Da quanto scrivono in molti si evince che ci vorrà molto, molto tempo per domare il virus a livello globale. I più ottimisti parlano del 2022 presupponendo che in 18 mesi possa arrivare un vaccino, che dal momento della produzione a quello della distribuzione capillare planetaria impiegherà nella migliore della ipotesi 24/36 mesi, poiché finché non verrà debellato il virus ovunque sarà impossibile una ripartenza dei paesi, considerato poi il fatto che il coronavirus pare essere mutante e quindi di difficile gestione anche in caso di vaccinazione. Comunque non sono un medico, riporto solo ciò che leggo su stampa americana, inglese, tedesca, francese, etc. Questa prospettiva , ovviamente, è estremamente scoraggiante per gli artisti e non ci resta che sperare che i medici sbaglino.
Per rilanciare il settore, qualsiasi sia il tempo che ci vorrà a uscire dalla pandemia, ci vogliono governi capaci, lungimiranti, con a capo statisti in grado di ricostruire economie e speranze delle persone. Inevitabilmente debbo addentrarmi in un discorso politico-economico. Alla luce di quanto accaduto in quest’ultimo mese mi sembra piuttosto chiaro per tutti gli italiani che il progetto europeo si sia rivelato molto sbilanciato a favore di certe nazioni, considerate virtuose (da loro stesse) ed estremamente ingiusto nei confronti di altre nazioni considerate, dalle virtuose, deboli, corrotte, fannullone, spendaccione e chi più ne ha più ne metta, che io invece definirei vittime. Ora, la storia ci insegna invece che la Germania, uscita sconfitta da due guerre mondiali, nel 1953 ottenne da 21 paesi tra cui Grecia, Italia , Spagna e Portogallo (ossia quei paesi considerati deboli e fannulloni) la rinuncia a più di metà della somma dovuta da Berlino: “con un trattato firmato a Londra, le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni. In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto. L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 l’allora cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Anche questa volta Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto. Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo di Londra, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni.” (Il sole24 ore ).
Alla luce di questo trovo intollerabile continuare a subire atteggiamenti vessatori da parte di un governo europeo tanto iniquo e sbilanciato nei confronti di una/due nazioni che dimenticano la storia, i quali invece che correre in soccorso di chi muore, vorrebbero depredare i popoli più deboli e togliergli anche il poco rimasto. Questo per me è insopportabile ed è insopportabile che ci sia chi lo avalla e lo tollera. Credo anche che se non volgiamo lo sguardo verso un tipo di economia keynesiana, che metta l’uomo al centro e non il capitale e la competizione spregiudicata, saremo destinati all’estinzione. Il denaro è una creazione dell’uomo per rendere più agevoli gli scambi, non una divinità alla quale immolarsi! E sono stanca di vedere che ci sono così tante persone che per denaro sono disposte a vendere: figli, madre, padre, mogli (non solo in senso lato). Vorrei davvero vedere un mondo più giusto che non si regga su una finanza speculativa che equivale al gioco d’azzardo e, che dal mio punto di vista, andrebbe vietata, così come è vietato il gioco. Mi domando in quanti sappiano che cosa sono i derivati e quanto abbiano inciso sul crollo della nostra economia. Mi chiedo in quanti sappiano cosa sia il signoraggio bancario o la riserva frazionaria e in quanti abbiano capito che la Bce è una banca privata che crea denaro dal nulla e lo presta ai paesi con interessi altissimi. Sarebbe importante andare a ripassare un po’ di avvenimenti accaduti nel nostro paese dal 1978 a oggi: perché è stato ucciso Aldo Moro, cosa ha comportato la scissione banca Italia/tesoro del 1981, cosa è accaduto davvero nel 1992 con mani pulite. Io invito davvero a fare un ripasso serio che dolorosamente farà aprire gli occhi su una brutta realtà che si è svolta nel nostro paese fino a portarlo in un abisso in cui non ci sono sufficienti posti letti, rianimazioni, medici, ricercatori, etc. Ciò che siamo è il prodotto di un percorso storico che, se conosciuto e studiato a fondo, può darci la soluzione per non ripetere più certi errori e per tornare il grande paese che eravamo. Vi ricordo che prima dell’entrata nell’euro eravamo la quarta potenza del mondo e non devo certo essere io a sottolineare quali eccellenze siamo stati nella cultura, nella musica, nella moda, nell’eno-gastronomia, nella manifattura, nell’ingegneria, nell’informatica, nelle telecomunicazioni, nella medicina, nella scienza , nel cinema, etc.
Quindi io dico: volgiamoci al passato perché la Germania, di fronte alla pandemia, in un istante ha nazionalizzato imprese e banche e noi non siamo certamente più stupidi. Riappropriamoci delle nostre acque (lo sapete che al sud sono francesi?), delle nostre rotte aeree, dei nostri mari, del nostro sottosuolo (!), delle nostre imprese. Nazionalizziamo il sistema bancario, torniamo padroni di noi stessi e così potremo creare prospettive nuove e speranze per i nostri figli. E così anche le scuole, gli ospedali, la ricerca scientifica e i teatri, che non devono essere imprese in attivo, torneranno a funzionare come funzionavano in passato. La sanità, la cultura e l’educazione non devono essere considerate aziende! Sono un patrimonio comune! Poi è chiaro che non bisogna saccheggiarli, depredarli e mal gestirli Ma questo rientra in una gestione etica che si può ottenere con dei giusti controlli. Non sono aziende che devono produrre un fatturato sono beni al servizio dei cittadini che devono produrre valori.
La terza domanda mi costringe ad una risposta pessimistica perché in modo un po’ scaramantico spero il tempo mi darà torto, ma credo che alla fine della pandemia ci troveremo come alla fine di una guerra e quindi bisognerà rimboccarsi le maniche e ripartire a ricostruire tutto. Chiaramente gli artisti saranno gli ultimi a ripartire poiché prima ripartiranno le cose essenziali e indispensabili e penso proprio che nessuno ci consideri tra quelle. Però amo molto avere torto quindi spero che alla fine di tutto questo mi verrà detto: “Hai visto che ti sbagliavi?”.
SIMON ORFILA – La situazione è veramente molto triste, prima di tutto per le persone che ci lasciano e i loro famigliari che non possono nemmeno salutarli. In Spagna stiamo vivendo più o meno nella stessa situazione dell’Italia. Per i cantanti e i lavoratori autonomi del mondo dello spettacolo questa circostanza è ancora più complicata; io stesso e tantissimi altri colleghi, da diverse settimane e in altre città o paesi, stavamo facendo le prove di una produzione che è stata cancellata e non saremo pagati, senza neppure il diritto a ricevere un aiuto per le spese sostenute di viaggio, vitto e alloggio.
Non sappiamo quando torneremo alla normalità e probabilmente teatri, cinema, sale da concerto, etc. saranno gli ultimi ad aprire, essendo luoghi chiusi di assembramento; a mio parere sarà tutto fermo per molti mesi.
La Cultura dà lavoro a tantissime persone, non solo agli artisti, ma coinvolge molti professionisti, truccatori, costumisti, sarti, attrezzisti, elettricisti, macchinisti, etc. e se trascorrerà molto tempo prima della riapertura, tante famiglie ne soffriranno. Sarebbe dunque il momento di creare qualcosa per cambiare la situazione per tutta la categoria. In Spagna è nato un sindacato per i professionisti del nostro settore e spero veramente vada a buon fine. L’Italia è un grande paese, con persone molto valide e competenti, con una cultura operistica straordinaria e insieme alla Spagna potremo rinascere e tutto andrà bene. Lo spero!
GIOVANNI BATTISTA PARODI – Tutto il mondo sta attraversando una situazione dolorosa e drammatica di difficoltà oggettiva che coinvolge tutti noi e le nostre famiglie; un’emergenza nazionale e globale gravissima che travolge anche la cultura. Come tutti sappiamo, è stata disposta la chiusura di gran parte dei teatri nazionali ed internazionali. Parliamo dello scenario dei lavoratori autonomi del mondo dello spettacolo che per primi stanno vivendo una forte criticità a livello economico.
Credo che in queste primissime settimane di chiusura debba prevalere il senso di responsabilità e la consapevolezza che le azioni delle istituzioni saranno rivolte, comprensibilmente, in massima parte verso il sistema sanitario e l’assistenza di chi, in questo momento, si sta giocando qualcosa più di qualche contratto; naturalmente occorre rivendicare con forza il ruolo fondamentale della cultura e dei suoi “attori” nella società: come sarebbe la nostra quarantena senza un buon libro da leggere o senza un bel disco da ascoltare?
Nel breve termine, dopo una prima fase in cui tutti siamo stati annichiliti dall’inimmaginabile, è assolutamente necessario che il Governo intervenga con un sostegno serio per garantire il sostentamento di chi ha perso il lavoro e sa che, per via delle caratteristiche fisiche intrinseche di un teatro, sarà fra gli ultimi a ripartire (gli assembramenti nelle platee dei teatri sono inevitabili). Questo vuol dire chiedere ai teatri di pagare in toto o in parte i cachet che sarebbero stati dovuti agli artisti che si sono visti cancellare i contratti, magari dopo aver sostenuto delle spese per prove che non sono mai arrivate alla fine, ovviamente i fondi necessari per tutto questo dovranno essere garantiti dal Governo stesso! Pensando più a lungo termine, invece, ritengo che sia indispensabile rivedere il ruolo stesso della cultura e dell’opera in particolare, che non può essere visto come un passatempo per una nicchia di annoiati, ma un elemento cardine della nostra società: occorrono investimenti massicci e certi nel tempo, bisogna che i contratti degli artisti, come succede normalmente all’estero, prevedano delle garanzie in caso di cancellazioni improvvise, e prove pagate.
Bisogna rendersi conto che l’opera è un formidabile moltiplicatore di denaro, ed è ammirevole che molti abbonati e spettatori semplici, in queste settimane, abbiano rinunciato al rimborso dovutogli per spettacoli mai goduti, come sostegno al loro teatro; sì, perché il teatro non è dei cantanti, dei direttori, dei registi, o dei sovrintendenti, il teatro è nostro, è mio, è tuo, è veramente di tutti! Speriamo che la preziosa sensibilità del pubblico arrivi anche a chi deve decidere le sorti di un settore che da solo non ce la può fare!
Sarebbe già un grande risultato che la fine della pandemia arrivasse in fretta! Come ho detto, temo che il teatro sarà l’ultima delle attività a poter ripartire a pieno regime, e ne capisco benissimo il motivo; la mia speranza è che questa fermata forzata, che durerà quanto dovrà durare, non sia solo una pausa, come si mette in pausa un film su Netflix, ma sia un momento in cui si possa riprogettare dalle fondamenta, con serietà e competenza, il più formidabile degli spettacoli dal vivo, che da quattro secoli non smette di farci sognare!
MICHELE PERTUSI – Indubbiamente c’è grande preoccupazione e l’atmosfera pesante di questo periodo non aiuta ad essere ottimisti. Troppo incognite si presentano riguardo ad un futuro sereno. Diciamo che in questo momento c’è la consapevolezza che nulla potrà tornare come prima e temo seriamente che a causa di questa crisi economica da periodo post-bellico i teatri d’opera avranno enormi problemi e non mi riferisco solo all’Italia.
Non posso sapere cosa succederà, ma in periodi di crisi bisogna avere il coraggio di investire e immettere liquidità nel circuito socio-economico dei vari paesi. La domanda è: la cultura, la musica, i teatri saranno una priorità per i governi? Io temo che la risposta sia no.
La speranza è quella che alla fine di questa emergenza sanitaria mondiale tutto possa tornare alla normalità nel più breve tempo possibile. In realtà io temo che questa “guerra” lasci strascichi per generazioni e la ripresa sarà molto, molto difficile e certamente lenta.
VITTORIO PRATO – Sono un po’ spiazzato nel cercare di rispondere a queste domande, molto legittime. Vorrei anche io avere delle risposte da qualcuno e sono in totale attesa che accada qualcosa, presto.
Forse nel prossimo futuro, una volta che si riapriranno le attività, si potrebbero riprendere in forma di concerto alcune delle opere cancellate, anche per non perderle totalmente, provando a inserirle nelle prossime stagioni come concerti.
Finita la pandemia ci sarà molta paura a tornare nei luoghi pubblici e nel contempo tanta voglia di ricominciare a riempirli. Al momento si possono fare solo ipotesi sul tempo necessario. Siamo legati anche al turismo, soprattutto per i festival estivi. Non sarà facile ma si supererà tutto!
JESSICA PRATT – Noi artisti solisti di ogni epoca viviamo da sempre una vita economicamente precaria. Se si escludono quelli che vivono di mecenati, mi sembra chiaro che le società di ogni tempo hanno sempre considerato la nostra professionalità una cosa di cui si può far a meno e che non merita di essere sostenuta.
Ma gli autonomi sono un ingranaggio fondamentale di una macchina infinitamente più grande. Con questa crisi si rischia il collasso di un’industria molto più ampia, che porta indotto al territorio con ricadute economiche di rilievo. Credo fermamente che sia necessaria una riflessione sul come costruire un sistema di tutele anche per i liberi professionisti che “metta in sicurezza” un settore vulnerabile.
Questo è un lavoro alla cui base non può che esserci una profonda abnegazione, a cui non corrisponde un’adeguata protezione. Prima ancora di immaginare corporativismi complessi, basterebbero piccoli adeguamenti contrattuali da parte dei teatri, che garantiscano, in caso di cancellazioni, almeno la copertura di alcune spese di base. Anche l’assurda prassi delle istituzioni del paese di pagare sistematicamente in ritardo, in barba agli accordi contrattuali, è indice di una enorme superficialità, che non tiene conto del fatto che il singolo autonomo deve pagare preparazione, spostamenti, vitto e alloggio in anticipo e col rischio di perdere tutto in caso di annullamento. Banali soluzioni possono prevedere che il teatro si faccia carico di parte delle spese, o lo ripartizione di quanto dovuto per gli spettacoli, in una formula prove/recite. Semplicissimi aggiustamenti che in caso di cancellazione garantirebbero ai liberi professionisti una piccola copertura e in caso di iter normale, non rappresenterebbero per il teatro alcun aggravio.
Quanto al rilancio del settore, io spero vivamente che questo periodo di forzata reclusione ci faccia riscoprire il bello di uscire e stare insieme. Così come dopo l’ultima guerra, fra le prime ricostruzioni, fu scelto di intervenire sulla Scala, anche domani sarà necessario rimettere in piedi i teatri, simboli per eccellenza dell’aggregazione. Io penso che la società lo chiederà a gran voce.
DÉSIRÉE RANCATORE – Si, è un momento veramente buio e duro per chiunque. Quasi tutti i campi ne stanno soffrendo e quasi tutti i lavoratori, specialmente gli autonomi, si stanno seriamente preoccupando per il futuro, fra i quali noi artisti.
La lirica ripartirà se i teatri saranno aiutati da chi governa – già la cultura non versava in acque tranquille da anni nel nostro paese – se si capirà che la cultura, l’arte e la musica sono e saranno alimento delle anime e delle menti già molto provate da tutto quello che avremo vissuto, si capirà anche che si dovrà investire e aiutare il settore a riaprire i battenti ed essere più forti di prima. Dopo il virus comunque tornare in teatro per il pubblico, penso che non sarà semplice. Tutti ci chiederemo per un bel po’ se sarà meglio evitare posti affollati, ma credo che se si adotteranno all’inizio misure che possano garantire un minimo di serenità, poi le cose si sistemeranno e torneremo alla normalità in poco tempo. È mia convinzione che comunque la musica e l’opera, nel mio caso, non moriranno mai!
LUCA SALSI – Stiamo vivendo in un momento allucinante, desolante e sconfortante. Noi cantanti solisti, ballerini solisti, strumentisti solisti, attori di prosa, insomma tutti gli artisti autonomi con partita Iva, siamo sicuramente i più danneggiati del nostro mondo. Non abbiamo nessun tipo di tutela e siamo pagati solo quando effettuiamo la recita o la rappresentazione. Questo è un grande problema, perché se un artista prova un mese o a volte anche di più, pagandosi vitto, alloggio e spesso anche il viaggio e poi si ammala il giorno della recita, non percepisce nulla. Molte persone potranno contestare che fa parte del rischio, forse hanno anche ragione, ma il rischio non può essere quello di rimetterci.
La mia idea, che poi è ciò che già succede in molti teatri del mondo, sarebbe quella di dividere il cachet in due o tre parti: circa il 60/80% per l’esecuzione e il resto per le prove e le spese. Le prove dovrebbero essere pagate a parte, come regola per tutti i teatri, decidendo autonomamente quanto pagare, definendo comunque un minimo a settimana per tutti. Credo potrebbe essere un buon sistema.
Per quel che riguarda il futuro sono molto preoccupato, perché non c’è la certezza di quando e soprattutto come si riaprirà. Credo che intanto la cosa più giusta sarebbe quella di fare un tampone a tappeto a tutte le persone che lavorano in teatro, per scongiurare ogni contagio “al di qua” del palcoscenico. Il pubblico potrebbe essere gradualmente reintrodotto distanziandolo, tutti con la mascherina, riducendo il numero di presenze nei palchi e in galleria e lasciando delle poltrone vuote in platea. Pur di ricominciare per prendere confidenza, credo che potrebbe essere una delle soluzioni possibili.
ENEA SCALA – Al momento occorre pensare alla salute e a stare bene, noi e i nostri cari; il resto verrà e ci ripenseremo quando sarà il momento. Ad oggi trovo tanta inutilità nel parlare di economia e bilanci; ho perso una persona a me cara per il Covid-19 e questo mi fa rendere conto che al primo posto non viene il guadagno o quanti soldi si perderanno; basta che si abbia almeno un tozzo di pane per sfamarsi. Non per questo non resto tuttavia ottimista sul futuro, dell’umanità in generale e del teatro: come tutto il resto ricomincerà con i suoi tempi, ci spero e me lo auguro. Ma di certo al primo posto sono la salute e la sicurezza per tutti, per sé e per i propri cari.
STEFANO SECCO – La situazione è molto drammatica e ogni giorno che passa la via d’uscita dalla pandemia sembra sempre più lontana, anche se normalmente passando il tempo si dovrebbe avvertire la sensazione contraria. Non metto in dubbio che si stiano adottando delle misure inevitabili e concrete secondo anche le consultazioni con medici e scienziati, che scendono in campo con autorevolezza per aiutarci quanto meno a capire come funziona la parte epidemiologica.
Per la cultura è un danno enorme; pensando solo al settore della lirica apprendiamo che qualche teatro ha rinunciato addirittura a completare la stagione 2020 e questo la dice tutta; ben vengano le trasmissioni in streaming per mantenere vivo l’interesse, ma credo non basterà.
Per i lavoratori autonomi al momento non è riconosciuto un granché rapportato al rischio che si corre, sia appunto lavorando autonomamente sia al fatto che i contratti saltano automaticamente e per tutto ciò una cifra forfettaria di quel tipo non copre nulla, ma aiuta alla sopravvivenza.
L’unica possibilità di produrre qualche cosa è la rete, ma bisogna capire come usarla bene se deve essere anche un mezzo di sostentamento. Fino a ora siamo sempre stati abituati ad usarla come un mezzo libero e gratuito e viene difficile in campo musicale pensare di sfruttarla a scopo di lucro. Diciamo che in più occasioni ho avuto richieste di lezioni online, ma non mi trovo ancora a mio agio a livello mentale di essere sicuro di poter trasmettere qualche cosa di concreto, di fare capire esattamente ciò che intendo senza avere il contatto diretto.
A mio parere per rilanciare il settore accanto alle nuove produzioni si dovranno mettere più revival, in modo da contenere i costi ma dare al pubblico spettacoli già collaudati con vari cast; lo streaming ci insegna che spettacoli anche datati sono molto ben accetti e si rivedono molto volentieri se sono piaciuti. Spero che alla fine di tutta questa storia si riesca a voltare pagina e si torni ad apprezzare la bellezza della vita che è anche andare a teatro ad ascoltare l’Opera. Mai come in questo momento la musica ci aiuta a sognare, ci fa volare fuori di casa e ci fa immaginare cose fantastiche, sentimenti senza limite.
MARCO SPOTTI – Stiamo vivendo un periodo storico drammatico, che ci ha travolto con una tale violenza che mai avremmo immaginato.
Ero a Tokyo a febbraio, quando si iniziava a parlare di questo virus “cinese”. Il Giappone è un paese estremamente civile e in teatro ci avevano raccomandato fin da subito di non frequentare posti affollati, usare le mascherine e disinfettarsi spesso le mani. Cosa peraltro molto facile, perché ogni luogo è dotato di liquido disinfettante e ad oggi se in tutto il paese si arriva a 2000 positivi è tanto. Da noi la situazione è degenerata i primi di marzo, la notizia di chiudere gli spettacoli è arrivata mentre ero in prova al Teatro dell’Opera di Roma per una nuova produzione di Turandot con la regia di Ai Weiwei. Sbigottimento insieme ad una certa incredulità, ma mai avrei pensato che tutto il paese da li a poco si fermasse.
La nostra situazione è molto grave. Il teatro italiano già versava in condizioni precarie, ora non so come e quando potremo riprendere a lavorare. Noi artisti, in quanto liberi professionisti, non abbiamo nessuna tutela: il nostro contratto prevede il compenso solo a recita eseguita. Purtroppo i contratti in questo momento vengono tutti “congelati”. Non c’è certezza alcuna su come e quando potremmo riprendere.
Il mio tempo, tra mille altri pensieri, lo passo studiando nuove opere, con la speranza che quanto prima si possa tornare a sorridere. Credo che finito questo brutto periodo la gente non solo avrà bisogno di distrarsi, ma avrà anche la necessità di curare il proprio animo: e quale miglior cura della musica? Mi auguro che tra i tanti aiuti che il governo darà, ci siano anche quelli indirizzati alla cultura.
ROBERTO TAGLIAVINI – Quando tutto questo ha avuto inizio io mi trovavo a Parigi, provando la nuova produzione di Manon e il teatro è stato chiuso. Noi abbiamo cantato ugualmente a porte chiuse, senza pubblico, per portare a termine la captazione audio/video per non rovinare tutto il lavoro fatto e per poter permettere lo streaming nei cinema e sulle piattaforme web e per un eventuale futuro dvd. L’operazione ha avuto grande successo di pubblico. Qualche giorno fa ho letto che il sito del Metropolitan si era impallato a causa delle circa 350.000 simultanee richieste di accesso al canale streaming. Molti teatri, anche in questi giorni stanno con grande successo ritrasmettendo le opere registrate nelle passate stagioni, così come Rai 5 e i canali di cultura.
Mai come in questi giorni la gente sta riscoprendo la bellezza e il sollievo che la musica e l’opera possono donare ai nostri animi così turbati; questo mi porta a fare una considerazione, che ripropongo qui a costo di dire un’eresia, una provocazione. I grandi teatri e festival a livello internazionale, sono già da tempo attrezzati per le dirette streaming degli spettacoli; in questi giorni mi sono chiesto se non potesse essere una strada percorribile quella di implementare un po’ ovunque questa modalità. I cantanti sono già scritturati, i soldi già stanziati, le masse artistiche ci sono; ok al rispetto delle distanze minime in palcoscenico, ma perché non prevedere esecuzioni a porte chiuse e recite necessarie in funzione di diretta streaming e captazione degli spettacoli, oppure mantenimento dei titoli, ma trasformandoli nella versione in forma di concerto che rende più facile il rispetto di tali distanze?
I teatri potrebbero attivarsi per lo streaming, anche a pagamento sui loro canali rendendo fruibile agli appassionati la visione e permettendo a dipendenti, masse artistiche e a chi come noi, vive di questo, di poter continuare in qualche modo a mantenere parte del proprio lavoro senza essere costretti a chiudere definitivamente, perché sarà ben difficile per alcuni di noi resistere a lungo in questo limbo e temo che alla lunga tutto questo potrebbe perdersi per sempre.
FRANCO VASSALLO – Da un punto di vista esclusivamente professionale è ovvio che il nostro settore sia tra i più penalizzati. I teatri, i cinema, i musei e tutti i luoghi in cui la vicinanza umana è imprescindibile, saranno gli ultimi ad essere riaperti, visto che l’isolamento e la lontananza sembrano essere gli unici mezzi per arginare questa tragica pandemia. A fronte di un periodo così buio e incerto, in cui la priorità è per tutti la salute dei propri cari, qualsiasi decisione efficace è la benvenuta. Da milanese, il flagello che sta colpendo così duramente la Lombardia dove risiedono i miei affetti, non può poi che accorarmi quotidianamente.
Capisco anche l’emergenza economica che questo blocco forzato porterà inevitabilmente con sé. Io posso solo esprimere la comprensibile amarezza di vedere cancellate intere produzioni. Alcune verranno forse riprese, altre no. Personalmente mi rincresce molto non poter debuttare al Festival di Pasqua di Salisburgo per cui, tra l’altro, stavo già provando a Dresda da due mesi. Essendo le cancellazioni dovute a forza maggiore, nella più parte dei casi ci si ritrova a perdere tutti i cachet, magari dopo avere sostenuto spese importanti per provare e quindi soggiornare all’estero. Se vogliamo trovare una nota positiva è che l‘Opera è amata e rappresentata ovunque, speriamo quindi di poterci reinserire in luoghi che il virus ha meno leso e che saranno in grado di accogliere prima il pubblico e gli spettacoli dal vivo.
Quello che mi dispiace è che agli artisti non sia nemmeno concesso preoccuparsi, quasi non si tratti di una professione ma di un hobby di cui tutti possono fare a meno. “È la solita storia del pastore” direbbe Cilea: la cultura e l‘arte sono un surplus. Ma ora chiederei a tutti coloro che, come me, purtroppo sono costretti a trascorrere in casa queste giornate, cosa farebbero senza poter ascoltare musica, vedere un bel film, leggere un libro, svagarsi con qualche programma televisivo. Cosa può aiutare più dell’arte a viaggiare con la fantasia, immaginare, costruire un mondo che vada al di là delle proprie mura e che abbia come confini solo quelli del sogno? In fondo, come dice Shakespeare, non siamo altro che “Such stuff as dreams are made on”.
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