Salome – Roma, Teatro dell’Opera
La Salome di Richard Strauss ci fa scivolare nell’oscurità, fin dentro il cuore della tenebra, laddove ascoltiamo l’inaudito e scopriamo un abisso che non sapevamo di abitare. Suggestivo e pertinente dunque collocare l’intera azione drammatica su di un palcoscenico completamente buio, dove irrompe soltanto il fascio di un riflettore a ritagliare lo spazio nel quale si manifestano ed agiscono i personaggi. Questa è appunto l’idea registica di Barrie Kosky, che si avvale delle scene e dei costumi di Katrin Lea Tag e delle luci di Joachim Klein, nel realizzare l’allestimento andato in scena a Roma e prodotto dall’Opera di Francoforte: lavoro di estrema astrazione e spietato minimalismo, con tratti paradossali, talora espressionisti, in uno stile che evoca certune atmosfere del teatro tedesco. Prima che prenda forma questa cornice spiazzante, il direttore Marc Albrecht– cosa insolita -fa il suo ingresso nella sala quando è ancora illuminata; le luci prendono poi ad abbassarsi lentamente fino alla completa oscurità, prima ancora che attacchi la musica e mentre si odono strani rumori, simili al rullare di saracinesche, forse i cancelli degli inferi, o il frusciare nel palazzo delle grandi ali nere dell’angelo della morte. Sprofondiamo e siamo all’inizio di un viaggio, catabasi dell’anima, dove subito ci appare lei, fanciulla arcana e fatale, nella forma di un fiore dal candore abbagliante.
Salome è interpretata con tagliente intensità da Lise Lindstrom, che esibisce una vocalità duttile e di eccellente estensione, con alcune ruvidezze ma proiettata con fermezza ed omogeneità. Con una linea di canto estremamente modulata ed una gestualità marcata ed energica, declina il personaggio in una notevole varietà di espressioni e di forme, allineandosi con convinzione e bravura alle indicazioni registiche. Così all’inizio la vediamo inquieta e sensuale con Jochanaan, tra seduzione e curiosità infantile, dove colpisce il mettersi in gioco dei corpi, pur con qualche banalizzazione come la stretta di mano di presentazione. L’aspetto bambinesco emerge ancora più spiccatamente nelle scene con la madre ed Erode, grazie ai quali si compone un quadretto familiare borghese e sinistro all’interno del quale i capricci della protagonista assumono addirittura tratti satanici. Declinazione un po’ forzata ma calzante, ma che rischia di offrire una lettura riduttiva del dramma di Wilde e di Strauss, contraendone la ricchezza simbolica e la portata sconcertante. Pericolo in cui incappa la scena della danza, con una Salome seduta ad estrarre da sé un infinito nastro di capelli rossi, spogliata di ogni fascino e carnalità, quasi una bambola meccanica, ad evocare una sessualità ripetitiva e violenta (se si vuole, i veli in realtà erano comparsi in precedenza, in una coreografia durante l’episodio degli Ebrei e dei Nazareni). Nella parte conclusiva, dopo numerosi cambi d’abito e di atteggiamento, ritroviamo la Lindstrom liberata da ogni infantilismo e superficialità, ad esprimere in uno stile asciutto e definito la terribile crudezza di Salome. Qui infine la testa di Jochanaan oscilla nel buio, mentre l’orrore trascende ogni limite e ci introduce in una realtà che è al contempo più alta e più profonda, laddove la pulsione di morte si fonde e confonde con il mistero di Eros.
Da parte sua, Nicholas Brownlee delinea la figura di Jochanaan nella solennità ispirata e magnetica del profeta, evidenziandone tuttavia con rilevo il turbamento e la debolezza. La dizione è scandita e il fraseggio articolato, in un canto profondo e tellurico con aperture luminose di notevole ampiezza e passaggi di vibrante lirismo.
Di buon volume ed estensione, pur con qualche fragilità nell’intonazione, l’Erode di John Daszak, che descrive con efficacia l’ambiguità di un patrigno borghese, tanto attratto quanto inorridito dalla figliastra.
Caratterizzata soprattutto come madre possessiva e gelosa l’Erodiade di Katarina Dalayman, con un’espressività vigorosa anche se piuttosto uniforme.
Luminoso ed appassionato il Narraboth di Joel Prieto, con un canto accurato e melodico. Da rilevare che il suo suicidio avviene nell’oscurità e quindi praticamente fuori scena, depotenziato dunque del suo forte impatto drammatico.
Dolente ed omogeneo il Paggio di Karina Kherunts, mentre i due soldati di Zachary Altman e Edwin Kaye realizzano un efficace contrasto tra due vocalità di basso.
Convulso il dialogare degli Ebrei –Michael J. Scott, Christopher Lemmings, Marcello Nardis, Eduardo Niave e ancora Kaye – -con interventi precisi ed un’agitata gestualità, rafforzata dai costumi svolazzanti in bianco e nero; di ampio respiro i Nazareni – Nicola Straniero e ancora Altman – che creano un’oasi serena nell’oscurità del dramma. Validi e trasparenti anche l’uomo di Cappadocia di Daniele Massimi e lo schiavo di Giuseppe Ruggero.
La cornice di assenza e di tenebra di questo allestimento esalta la bellezza del testo e della partitura e pone in evidenza lo stretto legame tra gesto scenico ed espressione musicale. Quest’ultima è curata con fermezza e precisione dalla direzione di Marc Albrecht, che crea un flusso sonoro avvolgente e in continua tensione, con sequenze vigorose cariche di enfasi seguite da momenti di inquieti tremolii in piano e in pianissimo. Drammaturgicamente significativo l’effetto dei rallentamenti e delle pause marcate e ben evidenziati nel complesso i colori orchestrali, con gli archi talora poco morbidi, ma con fiati levigati e incisive percussioni.
Molto applaudita soprattutto la Lindstrom; notevoli apprezzamenti anche per Brownlee e grande entusiasmo per Albrecht.
SALOME
Opera in un atto
Dal dramma di Oscar Wilde
Musica di Richard Strauss
Direttore Marc Albrecht
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Regia Barrie Kosky
Scene e costumi Katrin Lea Tag
Luci Joachim Klein
Drammaturgia Zsolt Horpácsy
Regia ripresa da Tamara Heimbrock
Erode John Daszak
Erodiade Katarina Dalayman
Salome Lise Lindstrom
Jochanaan Nicholas Brownlee
Narraboth Joel Prieto
Un paggio di Erodiade Karina Kherunts
Primo ebreo Michael J. Scott
Secondo ebreo Christopher Lemmings
Terzo ebreo Marcello Nardis
Quarto ebreo Eduardo Niave
Quinto ebreo / Secondo soldato Edwin Kaye
Primo Nazareno / Primo soldato Zachary Altman
Secondo Nazareno Nicola Straniero
Un uomo di Cappadocia Daniele Massimi
Uno schiavo Giuseppe Ruggiero
Foto: ph Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma