Spettacoli

Simon Boccanegra – Teatro alla Scala, Milano

Alla Scala di Milano, dopo il Don Carlo inaugurale, torna la musica di Giuseppe Verdi

Simone Boccanegra guarda il mare e protegge la sua amata città, Genova, lo fa da quando è stato eletto primo doge nel 1339 ma, ancora più visibilmente dal 1606 quando Lazzaro Tavarone lo dipinge ad affresco sulla facciata principale di palazzo San Giorgio. L’edificio, fatto erigere nella metà del duecento dal Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, padre di Simone, benché restaurato più volte nei secoli, è stato sicuramente visto, simile a come era ed è oggi, da Giuseppe Verdi che amava spesso soggiornare a Genova. Chissà che una piccola ispirazione per questa opera non sia nata proprio da lì. Tutti sappiamo come questo melodramma abbia avuto una composizione tormentata e la versione definitiva sia stata presentata, proprio alla Scala, nel 1881. Torna quindi nel teatro che l’ha vista nascere, e dopo l’edizione del 2010, quest’opera che parla di storia, dei genovesi  e del mare. Siamo in una Genova atemporale e oscura, disegnata con pochi elementi dal regista Daniele Abbado che collabora, per le scene, con Angelo Linzalata. Una lettura che alterna momenti di assoluto minimalismo a scene grandiose e corali di grande impatto visivo. Sicuramente, di questo progetto, possiamo apprezzare l’eleganza e la pulizia visiva unite ad alcuni momenti poetici e particolarmente ispirati, come tutto il terzo atto, ad esempio. Vero punto di forza della produzione sono le meravigliose luci di Alessandro Carletti che reggono letteralmente lo spettacolo, e che ci portano fra la notte cupa ed il giorno, e ricreano splendidamente il mare, e soprattutto la luce accecante che vi si riverbera. Buoni i movimenti coreografici, soprattutto delle masse, a cura di Simona Bucci. Non del tutto riusciti invece i costumi di Nanà Cecchi che prendono ispirazione da molte epoche diverse e che finisco per creare un po’ di confusione e disomogeneità. 

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Eleonora Buratto e Charles Castronovo

Partitura assai complessa quella del Simon Boccanegra, dove tematiche di carattere politico si intrecciano a momenti di puro lirismo. Lorenzo Viotti, già apprezzato dal pubblico scaligero per le sue interpretazioni nel repertorio francese, si misura, ora, con un titolo tra i più iconici della storia del Piermarini. Il direttore legge la partitura come un poema sinfonico variegato e ricco di particolari che emergono distintamente dal magma sonoro orchestrale. Una attenzione al dettaglio che, se da una parte suggerisce una analisi approfondita della partitura, dall’altra sembra guardare proprio a quel romanticismo francese del quale Viotti è, forse, tra i massimi interpreti attuali. Ne sortisce una concertazione che, specie nei momenti di maggiore abbandono, riesce a trovare effetti di grande suggestione. Si pensi, ad esempio, alla introduzione all’aria di Amelia in primo atto, con quella melodia di impalpabile leggerezza che sembra librarsi in sala morbida e delicata, o, ancora, all’aria di Gabriele del secondo quadro, che, con il suo incedere piuttosto rallentato e dolente, sottolinea al meglio il carattere struggente del momento. Vi sono pagine, però, dove, pur a fronte di una innegabile bellezza sonora, non si riesce a percepire quella misteriosa inquietudine che fa da sfondo alla vicenda. Si pensi, ad esempio, alla introduzione al prologo o, ancora, al ripetuto tema della congiura di Paolo che, nella lettura del direttore svizzero sembrano non trovare la giusta incisività. In questa opera, infine, grande rilievo è dato anche agli affreschi corali, su tutti la scena del Consiglio con cui termina il primo atto. Anche in questo caso, risulta evidente il pregevole lavoro compiuto sull’orchestra scaligera, in forma smagliate per precisione e uniformità, dalla quale il direttore svizzero ottiene dinamiche sonore variegate e ben dosate nei volumi.

Accanto alla splendida prova orchestrale, spicca il magistero del coro scaligero, diretto con piglio sicuro da Alberto Malazzi. Efficaci del pari sono il giubilo con cui si conclude il prologo e il mesto compianto sul doge morente nel finale. È soprattutto nella scena del consiglio, poi, dove i complessi scaligeri mettono in luce una grande forza espressiva culminante in quel “Sia maledetto” che, ad ogni ripetizione, diventa sempre più sinistro, sino all’ultimo raggelante sussurro che anticipa l’esplosione orchestrale finale.

Sul palco primeggia il Simone di Luca Salsi. Il baritono parmigiano possiede una vocalità salda e corposa, costantemente al servizio del fraseggio e della parola verdiana. Lo strumento, dal timbro caldo ed ambrato, si adatta con una certa duttilità alla scrittura e convince tanto nei centri, torniti e ben sostenuti, quanto nel registro acuto. La cura e il cesello del fraseggio dipingono un personaggio meno autoritario, ma di maggiore umanità ed empatia. L’accorato appello alla pace nella scena del consiglio e il toccante finale restano, infatti, tra i momenti migliori della serata.

Eleonora Buratto presta ad Amelia uno strumento dal timbro pastoso e di indubbio fascino. La vocalità del soprano mantovano appare ben sfogata soprattutto nei centri, corposi ed avvolgenti. La salita al registro superiore, al netto di qualche occasionale durezza, è piuttosto sicura; la discesa verso i gravi affrontata con cautela. Curata e rifinita la caratterizzazione del personaggio, qui configurato come una giovane donna ferma e determinata nell’affrontare il dissidio tra l’amore per Gabriele e la devozione verso il padre. Di indubbio valore, tra l’altro, il racconto del rapimento e il susseguente concertato durante la scena del consiglio.

Charles Castronovo presta a Gabriele Adorno una linea dal timbro tenebroso e di buon volume. La sicurezza dell’emissione si combina con un buon controllo del suono a tutte le altezze; suggestivi del pari, sono, lo squillo del registro acuto, così come la morbidezza delle mezze voci. Partecipato e vibrante l’accento, specie nella commovente esecuzione dell’aria di secondo atto, tra i momenti più riusciti della serata. Spigliata e disinvolta la presenza scenica.

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Ain Anger e Roberto de Candia

Non convince del tutto la prova di Ain Anger nel ruolo di Jacopo Fiesco. Il basso è in possesso di uno strumento dal colore notturno e piuttosto sonoro, ma l’emissione è talvolta incerta e tradisce una impostazione complessiva poco controllata. Anche il fraseggio non va oltre una certa correttezza di fondo ed è quindi poca cosa per delineare un personaggio autorevole e minaccioso che nel finale trova, finalmente, la tardiva redenzione.

Bravissimo è, al contrario, Roberto De Candia che, giunto a questo appuntamento in splendida forma vocale, riesce a dare un grande rilievo al personaggio di Paolo. Una prova vocale di rilievo in ragione di una linea compatta, sorvegliata e sempre ben proiettata in sala. De Candia è anche un ottimo fraseggiatore e, attraverso la nobiltà e la pulizia d’accento, riesce a caratterizzare il suo personaggio in tutta la sua anima subdola e vendicativa.

Sonoro e musicale il Pietro di Andrea Pellegrini.

Completano la locandina Haiyang Guo e Laura Lolita Perešivana, ben a fuoco nei ruoli, rispettivamente, del Capitano dei balestrieri e dell’ancella di Amelia.

Il numeroso pubblico, piuttosto parco di applausi durante la recita, si scioglie, al termine, in calorosi consensi riservando maggiori acclamazioni all’indirizzo di Luca Salsi.

SIMON BOCCANEGRA
Melodramma in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi

Simon Boccanegra Luca Salsi
Jacopo Fiesco Ain Anger
Poalo Albiani Roberto de Candia
Pietro Andrea Pellegrini
Amelia (Maria) Eleonora Buratto
Gabriele Adorno Charles Castronovo
Capitano dei Balestrieri Haiyang Guo
Ancella di Amelia Laura Lolita Perešivana

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Daniele Abbado
Scene Daniele Abbado e Angelo Linzalata
Costumi Nanà Cecchi
Luci Alessandro Carletti
Movimento coreografici Simona Bucci

Foto: Brescia e Amisano Teatro alla Scala