L’italiana in Algeri – Opernhaus, Zurigo
L’italiana in Algeri, secondo Cecilia Bartoli, all’Opera di Zurigo.
“È la terra dei tuareg e del deserto, delle dune e del granito. È stata abitata da romani, ebrei, berberi, cristiani, africani e arabi, lasciando il più vasto patrimonio monumentale del continente africano.” Questa è la Algeria per come la descrive oggi il giornalista Magdi Allam, una terra ricca di cultura e bellezza che è anche lo sfondo della vicenda di una italiana: Antonietta Frapolli. La giovane milanese, fu rapita nel 1805, e finì probabilmente nell’harem del bey Mustafà-ibn-Ibrahim. A questa vicenda, reale o romanzata che sia, si ispira Angelo Anelli per creare un libretto musicato nel 1808 da Luigi Mosca e successivamente, dopo alcuni piccoli cambiamenti, nel 1813 da Rossini. Un’opera giovanile, composta da un ventenne in pochi giorni, che dimostra già tutto il potenziale del genio di Gioachino Rossini.
L’Opera di Zurigo decide di riprendere, per il periodo natalizio, la produzione già vista nel 2018 al Festival di Salisburgo. I registi Moshe Leiser e Patrice Caurier spostano l’ambientazione nella contemporaneità e giocano a piene mani con pregiudizi e stereotipi, quasi citando implicitamente Ardengo Soffici che scriveva “L’amore? La più bella occasione per ripetere con entusiasmo dei luoghi comuni”. La relazione fra i protagonisti Isabella e Lindoro diventa un pretesto per riflettere ironicamente sugli italiani e su di un altra vicina civiltà mediterranea. La scena, a cura di Christian Fenouillat, si muove velocemente e alterna interni ed esterni con sapienza: riesce sempre a colpire e creare stupore. Molti i momenti riusciti come l’arrivo di Isabella su un grande cammello, accompagnata da Taddeo, qui turisti arrossati dal troppo sole in una Algeri carica di parabole satellitari. Le trovate si susseguono incalzanti, fra poltroncine impazzite che si muovono per il palco e una grande nave, citazione del Titanic, che irrompe sul palco alla fine dell’opera. Forse si potrebbe obbiettare che alcune trovate sono un po’ qualunquiste e che nel pubblico d’oltralpe possono confermare implicitamente il nostro essere, ad esempio, pasta e calcio dipendenti ma, in fondo, in ogni stereotipo vive una parte di innegabile verità. Se sommiamo il fatto che tutto lo spettacolo viene proposto come un momento di grande ironia e spensieratezza non possiamo che apprezzare questo notevole sforzo produttivo. Tutto è reso ancora più perfetto dalla grande carica di carisma di cui sono dotati tutti gli interpreti a partire dalla meravigliosa Cecilia Bartoli. I costumi, spesso ironici e sopra le righe sono di Agostino Cavalca, le belle luci, che ripropongono una assolata giornata mediterranea, di Christophe Forey.
Simpatici anche i video di Étienne Guiol: abbiamo apprezzato particolarmente l’iconico spezzone della italianissima “La dolce vita”, dove, in una sorta di rovesciamento rispetto a quanto accade sul palco, una “straniera” gode delle bellezze italiane. Completa l’allestimento la sapiente drammaturgia di Kathrin Brunner e Christian Arseni.
Anche il versante musicale dello spettacolo è guidato da un cast le cui prove variano dall’ottimo all’eccelso e nel quale si percepisce un indiscusso affiatamento.
Su tutti trionfa, ed è inevitabile, l’arte somma di Cecilia Bartoli, artista suprema che, anche in questa occasione, offre una impareggiabile lezione di stile e di interpretazione rossiniana. La morbidezza di una linea di puro velluto si unisce alla duttilità di un mezzo rigoglioso nei centri, limpido in acuto e possente nei gravi. L’assoluto controllo tecnico, poi, consente di sgranare il canto di coloratura con metronomica precisione e di affrontare anche il più scabroso dei passaggi con invidiabile naturalezza. Che dire poi dell’interprete? Attraverso un lavoro di minuzioso cesello su ogni singolo verso del libretto, riesce a creare un personaggio irresistibile e trascinante. Tanti i momenti da ricordare di questa prova della Bartoli che, ancora una volta, sa essere magnetica e carismatica catturando l’attenzione del suo pubblico sin dal suo apparire in scena. Immensa artista e musicista di caratura superiore.
Al suo fianco, Pietro Spagnoli è un Mustafà di grande levatura. Il basso sfoggia uno strumento pastoso ed ampio, che passa agevolmente dal registro grave, sonoro e possente, a quello acuto, poderoso e sicuro. Attraverso un fraseggio ricco e quanto mai sfumato, Spagnoli si mostra un interprete irresistibile, per la sua comicità spontanea e trascinante. Indimenticabili sono, tra l’altro, i suoi ripetuti e goffi tentativi di seduzione nei confronti dell’astuta Isabella.
Nicola Alaimo è uno splendido Taddeo. Anche in questa occasione abbiamo la possibilità di apprezzare la bellezza di una vocalità estesa e ben proiettata. Il magistero di una tecnica salda e sicura si unisce ad una linea compatta che svetta in acuto con impressionante facilità. L’interprete, poi, sa essere istrionico e carismatico, mostrando una verve comica che non lascia nulla al caso e riesce a rendere irresistibile anche il più piccolo movimento. Alaimo si diverte e fa divertire, mostrando una intesa perfetta con i propri compagni di viaggio e, in primis, con Cecilia Bartoli con la quale si avverte una perfetta armonia vocale, prima ancora che scenica.
Edgardo Rocha è un Lindoro dotato di uno strumento dal suadente colore cristallino e dal timbro limpido, ma sonoro. Ben controllato il canto sul fiato grazie al quale riesce a tratteggiare, ad esempio, una tenera ripresa dell’aria di primo atto “languir per una bella”. Buona, inoltre, la padronanza dello stile rossiniano. Ottimo l’interprete, credibile nell’accento, scenicamente disinvolto ed appassionato.
Luminosa e svettante in acuto la Elvira di Rebeca Olvera, cui va il plauso, tra l’altro, di una notevole disinvoltura nei movimenti sulla scena.
Note positive anche per l’Haly di Ilya Altukhov, protagonista di una esecuzione puntuta e precisa dell’aria da sorbetto di secondo atto.
Completa la locandina la Zulma della brava Siena Licht Miller.
Sul podio ritroviamo il Maestro Gianluca Capuano che, ancora una volta, dimostra la sua grande affinità con questo repertorio. Alla guida della compagine La Scintilla, il direttore sviluppa il racconto musicale adottando ritmi brillanti e ricercando il perfetto equilibrio, tra il languido e lo spedito, nella scelta dei tempi. Notevole il lavoro sul suono dei singoli strumenti, qui sbalzati con inusitate finezze e suggestive soluzioni dinamiche. Ne sortisce un affresco sonoro coinvolgente e trascinante, stilisticamente inappuntabile, in grado non solo di valorizzare al meglio questo capolavoro rossiniano, ma, soprattutto, di restituircelo nella sua delicata e vaporosa visione di insieme. Innegabile, infine, il supporto offerto dalla buca al palcoscenico, dove ognuno dei singoli interpreti viene valorizzato al meglio nella propria peculiarità timbrica e vocale.
Encomiabile, infine, la prova del coro maschile dell’Opernhaus, di rara bravura, tra l’altro, nell’assolvere a tutte le esigenze sceniche dello spettacolo, tra le quali ricordiamo la simpatica abbuffata di spaghetti durante la cavatina di Isabella in secondo atto.
Tripudio finale da parte di una sala esaurita in ogni ordine di posto con tanto di standing ovation. Si poteva forse sperare un migliore inizio per il nostro anno musicale?
L’Italiana in Algeri
dramma giocoso in due atti
musica di Gioachino Rossini
libretto di Angelo Anelli
Isabella Cecilia Bartoli
Mustafà Pietro Spagnoli
Lindoro Edgardo Rocha
Taddeo Nicola Alaimo
Haly Ilya Altukhov
Elvira Rebeca Olvera
Zulma Siena Licht Miller
Orchestra La Scintilla
direttore Gianluca Capuano
Chor der Oper Zürich
maestro del coro Ernst Raffelsberger
regia Moshe Leiser, Patrice Caurier
scene Christian Fenouillat
costumi Agostino Cavalca
luci Christophe Forey
video designer Étienne Guiol
dramaturg Kathrin Brunner, Christian Arseni
Foto: Monika Rittershaus