La bohème – Firenze, Teatro del Maggio
Nel corso di una travagliata stagione pesantemente penalizzata dai severi tagli di bilancio, ha rischiato di non andare in scena anche la prima de La bohème, unica opera del cartellone autunnale del Teatro del Maggio. Lo sciopero nazionale indetto dalle Organizzazioni Sindacali in occasione delle prime in diverse città italiane ha infatti colpito anche Firenze e per giunta in un momento particolarmente delicato per la Fondazione. Ma a poche ore dal debutto, un comunicato annuncia che l’opera potrebbe venire eventualmente rappresentata con l’esecuzione della musica al pianoforte. E così alla fine è stato e, un discreto numero di spettatori, pur con molte incertezze, decide comunque di entrare e di non chiedere il rimborso o il cambio di data; la sala si riempie per una buona metà ed in questo modo prende l’avvio una singolare serata che riesce, nonostante tutto, ad esprimere valore e a regalare emozioni. Prima che si alzi il sipario il commissario Onofrio Cutaia ci tiene a precisare che lo sciopero non è in alcun modo legato alla difficile situazione in cui versa il teatro, ma che si tratta di una protesta per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del lavoro che le Fondazioni Lirico Sinfoniche attendono ormai da oltre venti anni.
Un fragoroso applauso di solidarietà precede dunque l’inizio dell’opera, con l’attacco brillante del maestro Lorenzo Marchetti al pianoforte, che mantiene costantemente la tensione narrativa, con parti ritmiche e concitate ed altre di più ampio respiro, liriche e meditative, realizzando sempre, senza cedimenti, un suono definito e levigato. Dal canto suo, la direzione di Giacomo Sagripanti con gesto posato ed elegante raccorda ogni frase del piano agli interventi dei cantanti, in un’accuratissima tenuta del tempo, dove, anche nelle pause e nei vuoti per l’assenza degli strumenti, si continua a percepire con esattezza la scansione temporale. Eccellente nel quadro da Momus la coesione di tutte le parti e la ben armonizzata sovrapposizione dei solisti e del pianoforte con il Coro diretto da Lorenzo Fratini e le Voci bianche guidate da Sara Matteucci.
In questa esecuzione si sente ovviamente la mancanza di molti di quei colori che costituiscono una peculiarità de La bohème, dove Puccini fa appunto cantare l’orchestra al pari dei solisti. D’altra parte però l’essenzialità delle voci fa risaltare la bellezza delle melodie, che qui possono essere colte nella loro purezza, e certuni passaggi del piano mettono in luce alcuni dettagli della straordinaria architettura drammatica di questo capolavoro, evidenziandone la stretta aderenza di musica e testo. Gli aspetti cromatici sono quindi per lo più affidati agli interpreti, messi davvero a nudo senza il sostegno degli strumenti; al contempo dobbiamo rilevare che alcune parti, affidate alla pura vocalità, risultano particolarmente penetranti, creando momenti di intensa commozione.
A tale riguardo, risulta esemplare al primo quadro l’intero intervento di Mimì, interpretata da una Mariangela Sicilia in grande forma, omogenea ed estesa, in una salda tenuta delle note ed una grande varietà di modulazioni. Dolcissima e toccante nel duetto iniziale fino allo slancio appassionato de “Il bacio dell’aprile è mio”, si fa poi più drammatica e vigorosa al terzo quadro, con momenti struggenti come il “Senza rancore”. E’ infine tragica e trasparente nella scena conclusiva, dove unisce la trasparenza formale ad una espressività che diviene tagliente.
Galeano Salas delinea un Rodolfo che è artista nobile e sognante. Con voce rotonda e fraseggio elegante, traccia con ampiezza ogni melodia ed esegue con nitore ogni passaggio, anche se talvolta, senza l’appoggio dell’orchestra, qualche nota riesce un po’ sfuocata. Si mostra assai versatile e vivace nei brillanti siparietti, mentre è di intenso lirismo al terzo quadro nel duetto con Mimì.
Grintoso il Marcello di Kim Lim, con un buon volume ed uno stile vario e articolato, fino ad essere irruento ed affettuoso negli scambi con Musetta. Quest’ultima è interpretata da un’esuberante Elisa Balbo che da Momus, con un canto agile e vigoroso, esprime al contempo ironia e seduzione, per trasmettere poi nel finale una toccante delicatezza.
Voce compatta e profonda quella di Francesco Leone, un Colline di grande eleganza anche se non sempre di altrettanta incisività. In “Vecchia zimarra”, se l’attacco senza orchestra appare un poco incerto, l’aria riesce nel complesso levigata e commovente.
Spumeggiante nelle scene d’insieme lo Schaunard di William Hernandez , non troppo consistente ma ricco di sfumature. Reso con originalità il Benoit di Davide Piva, con curiosi tratti da bohémien ed un fraseggio scandito, mentre il suo grottesco Alcindoro ha battute incisive e penetranti.
Melodico e incantatore il Parpignol di Leonardo Sgroi ed efficacemente caratterizzati anche il Venditore ambulante di Luca Tamani, il Sergente dei Doganieri di Egidio Massimo Naccarato e un Doganiere di Nicolò Ayroldi.
In merito all’allestimento, la regia di Bruno Ravella ripresa, come ormai di consueto, da Stefania Grazioli, si riconferma nella sua validità, proponendo un impianto in apparenza tradizionale che però si proietta ad un livello metastorico e simbolico. Se infatti le scene di Tiziano Santi, come sovente accade, traspongono appropriatamente la vicenda nella Parigi della Belle Èpoque, la soffitta dei bohémien è comunque un luogo fuori dal tempo, metafora della giovinezza spensierata e fucina dell’immaginazione, e quindi rappresentazione di una condizione esistenziale che mette tra parentesi ogni possibile lettura storico politica. È proprio la soffitta del cuore a trasformarsi, quasi fosse una magia, nel locale alla moda brulicante di vita, con movimenti ben organizzati ed elementi circensi. In accordo a questa cornice i costumi di Angela Giulia Toso e le luci di D.M. Wood riprese da Emanuele Agliati, che si focalizzano spesso sui protagonisti isolandoli in una dimensione sospesa e incantata. La scena alla barriera d’Enfer ci ripropone l’immancabile panchina, collocandola però in una landa nevosa e desolata, dove paiono destinati a naufragare gli entusiasmi e le speranze. Ed infatti di lì a poco, il vivacissimo teatrino degli amici viene interrotto bruscamente dall’arrivo di Musetta che annuncia la tragedia.
Le emozioni accumulate nel corso dello spettacolo si sciolgono in consensi entusiasti. Applauditissimi la Sicilia, Salas, la Balbo e tutti i cantanti; fragorosi tributi a Sagripanti e all’eroico Marchetti.
Questa produzione, riascoltata con l’orchestra domenica 19, ribadisce la sua cantabilità ed eleganza, con Sagripanti che tiene insieme abilmente la varietà ritmica e melodica, valorizzando l’unità e la compattezza della drammaturgia musicale. Con una maggiore sicurezza, confermano le loro valide interpretazioni tutti i cantanti, con punte di eccellenza nella Sicilia e nella Balbo.
LA BOHÈME
di Giacomo Puccini
Opera in quattro quadri di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Direttore Giacomo Sagripanti
Regia Bruno Ravella ripresa da Stefania Grazioli
Scene Tiziano Santi
Costumi Angela Giulia Toso
Luci D. M. Wood riprese da Emanuele Agliati
Rodolfo, poeta Galeano Salas /
Schaunard, musicista William Hernandez
Benoît, padrone di casa / Alcindoro, consigliere di Stato Davide Piva
Mimì Mariangela Sicilia
Marcello, pittore Min Kim
Colline, filosofo Francesco Leone
Musetta Elisa Balbo
Parpignol Leonardo Sgroi
Sergente dei Doganieri Egidio Massimo Naccarato
Un Doganiere Nicolò Ayroldi
Un venditore ambulante Luca Tamani
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo FratiniCoro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro di voci bianche Sara Matteucci
Foto: © Michele Monasta-Maggio Musicale Fiorentino