Al Festival Donizetti di Bergamo due giornate di studi dedicate a Nozzari e Rubini (parte 2)
La seconda e ultima giornata del convegno Nozzari, Rubini: tenori contro si è concentrata su Giovanni Battista Rubini, forse il più noto dei tenori bergamaschi di inizio Ottocento. Rubini si può infatti annoverare fra i maggiori interpreti del melodramma romantico, protagonista di una carriera trentennale nel corso della quale contribuì in maniera determinante ad orientare gli sviluppi tecnico-espressivi della vocalità tenorile verso nuovi orizzonti estetici. Basti pensare che egli fu il primo interprete di Gualtiero, il protagonista del Pirata di Vincenzo Bellini, che rappresenta un personaggio emblematico della nuova sensibilità romantica diffusasi nella cultura musicale italiana a partire dagli anni Venti dell’Ottocento. Non solo, ma l’ammirazione da lui suscitata nel pubblico di tutta Europa spinse molti suoi contemporanei a stendere cronache e biografie che già nel corso dell’Ottocento contribuirono ad alimentare il mito della sua figura. È il caso, per esempio, della biografia di Agostino Locatelli, Cenni biografici sulla straordinaria carriera teatrale percorsa da Gio. Battista Rubini da Romano, pubblicata mentre il cantante era ancora in vita, nel 1844.
Nel complesso si tratta di un personaggio sul quale abbondano le testimonianze documentarie e non mancano nemmeno studi scientifici più o meno approfonditi: una situazione molto diversa, quindi, da ciò che accade per Andrea Nozzari. Per questo motivo gli interventi dei relatori si sono focalizzati su alcuni aspetti specifici della sua attività artistica, finora poco approfonditi o, addirittura, quasi del tutto tralasciati.
Tra questi spicca il legame professionale e di amicizia che il tenore strinse sin dagli esordi della sua carriera proprio con Andrea Nozzari. Ad illustrare l’entità e le conseguenze di questo rapporto sono stati Paolo Fabbri e Maria Chiara Bertieri, che hanno dimostrato come la conoscenza di Nozzari consentì a Rubini di sviluppare una serie di qualità tecnico-esecutive fondamentali per gli sviluppi della sua carriera. Nei primi anni del suo soggiorno napoletano (1815-1827), infatti, Rubini ebbe modo di esibirsi accanto al collega più anziano e occasionalmente anche di cimentarsi nell’esecuzione di ruoli concepiti per lui (come quello di Otello nell’opera omonima di Rossini). In questo modo, sostengono gli studiosi, il cantante avrebbe avuto l’occasione di assimilare una serie di suggerimenti e consigli che si sarebbero rivelati decisivi per perfezionare la sua vocalità e, contemporaneamente, ampliare il suo repertorio, ancora oggi fra i più vasti di tutta la storia dell’opera (il totale dei ruoli sostenuti ammonta a circa 147). È perciò verosimile ipotizzare che il «cigno di Romano» (così veniva chiamato Rubini all’epoca) avesse appreso proprio dal suo concittadino la capacità di unire bellezza e varietà di suono con una viva intensità drammatica, riuscendo così ad affrontare anche parti scritte per una vocalità diversa dalla sua, come quella di Edgardo in Lucia di Lammermoor o di Ugo nella Parisina.
Il periodo napoletano è stato al centro anche della relazione di Andrea Malnati, Rubini nella Napoli di Rossini, che ha indagato la fase della carriera del cantante coincidente con la presenza a Napoli di Gioachino Rossini. Il focus su questo periodo storico specifico, che va dall’autunno del 1815 a marzo del 1822, ha permesso di osservare le circostanze in cui Rubini passò dall’esibirsi nei teatri minori della città a divenire, per usare le parole dello studioso, «primo tenore dell’età rossiniana», raggiungendo così un importante traguardo professionale. Sono questi, infatti, gli anni in cui il cantante si guadagna il favore del pubblico partenopeo rivaleggiando soprattutto con Giovanni David, creatore di numerosi ruoli rossiniani e interprete di riferimento per i giovani tenori dell’epoca. Come ha dimostrato Malnati, i due ebbero spesso l’opportunità di esibirsi insieme ed è molto probabile che, in tali occasioni, il confronto con David avesse permesso a Rubini di mettere alla prova le proprie doti vocali sviluppando qualità esecutive tipiche del tenore contraltino, come la vistosa estensione verso l’acuto e la spiccata agilità esecutiva. Nel corso di questi anni, inoltre, non mancarono alcune collaborazioni dirette fra Rubini e Rossini che, mediante l’analisi delle partiture, ci consentono di osservare in concreto il processo di maturazione tecnica della voce del cantante. Si tratta nello specifico di una ripresa della Donna del lago, avvenuta il 20 giugno 1820 al Teatro San Carlo, e della cantata La riconoscenza, eseguita nello stesso teatro il 27 dicembre 1821. Nel primo caso il compositore scrisse per Rubini un nuovo pezzo solistico, l’aria «T’arrendi al mesto pianto», ed è interessante notare che lo spartito per canto e pianoforte (pubblicato a Parigi in concomitanza con le riprese francesi dell’opera) conserva una serie di varianti vocali attribuibili al tenore. Si tratta di testimonianze assolutamente preziose perché, in mancanza di registrazioni sonore, ci consentono di osservare da vicino i criteri con cui Rubini era solito ornare la linea melodica. Tra questi spiccano il ricorso a fioriture ricche ed estese e frequenti escursioni nella zona sopracuta, elementi che peraltro ritroviamo anche nella parte di Fileno nella Riconoscenza. Quest’ultima è un esempio perfetto degli eccellenti risultati raggiunti dal cantante all’altezza degli anni Venti, dal momento che si caratterizza – ha sottolineato Malnati – per un «virtuosismo estremo, spinto fin quasi al limite massimo dell’ineseguibilità». Ne offre la prova il fatto che si tratta dell’unica pagina rossiniana in cui il compositore prescrive ad un tenore la duplice esecuzione di un Mi bemolle acuto, limite che, evidentemente, solo la voce di Rubini poteva raggiungere.
L’ultima relazione dedicata al cantante bergamasco ha offerto l’occasione di riflettere su un aspetto curioso del suo percorso artistico: l’interesse verso il repertorio operistico settecentesco. A presentare l’argomento Cecilia Nicolò, che ha rilevato come nel repertorio di Rubini ricorrano con una certa frequenza titoli di Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa e Wolfgang Amadeus Mozart. Il fenomeno è certamente interessante e consente di fare luce sulle peculiarità della carriera concertistica del tenore, che fu tanto intensa quanto quella operistica. Egli, infatti, era solito eseguire in concerto le arie più famose dei capolavori del secolo precedente e, in alcuni casi, ciò gli consentì di partecipare ai primi tentativi storici di recupero della musica antica, come i famosi Ancient Concerts a Londra (nel 1841) o i Concerts Historiques organizzati da François Joseph Fétis a Parigi (nel 1843). Tutto ciò risulta ancora più significativo se prendiamo in considerazione le vicende legate ad un immancabile cavallo di battaglia delle esibizioni rubiniane: l’aria di Don Ottavio «Il mio tesoro intanto» dal Don Giovanni di Mozart. Come ha illustrato la studiosa, infatti, l’interpretazione di questo brano da parte del tenore diede origine ad un dibattito estetico che ne influenzò la ricezione per decenni, arrivando persino a coinvolgere il parere di Richard Wagner. A provarlo è uno scritto del 1840 dove, pur criticando aspramente l’esecuzione di Rubini, il compositore ci offre una chiara testimonianza di quanto la sua interpretazione dell’aria mozartiana fosse apprezzata dal pubblico dell’epoca, che andava letteralmente in delirio. Per di più, si tratta di una fonte che documenta i tratti singolari e ricorrenti delle esibizioni rubiniane, come gli improvvisi scarti dinamici o la quasi completa immobilità del cantante sul palcoscenico.
La giornata di studi si è infine conclusa con una sintetica panoramica dei temi emersi nel corso dell’intero convegno presentata da Candida Mantica, studiosa dell’area scientifica della Fondazione Teatro Donizetti. Oltre a ribadire alcuni aspetti centrali dello studio su Nozzari e Rubini (come la difficile decifrabilità delle fonti storiche a disposizione), l’intervento ha contribuito a mettere in evidenza temi più trasversali, come il rapporto tra cantanti e potere politico o le differenze tra il contesto estetico-musicale francese e quello italiano. In questa sede è stata inoltre annunciata da parte della Fondazione l’intenzione di pubblicare a breve gli atti dell’intero convegno, così da rendere fruibili all’intera comunità accademica i risultati delle ricerche esposte.
Nel complesso, è emerso come questo evento sia stato un’occasione preziosa non solo per approfondire le figure di Nozzari e Rubini da prospettive diversificate, ma anche per riflettere sulle molteplici questioni connesse all’indagine della vocalità operistica del passato.
Alessio Maneli
in collaborazione con Candida Mantica (Università di Pavia)