Il trovatore – Festival Verdi 2023, Parma
Al Festival Verdi, debutta una nuova produzione de Il trovatore con la direzione di Francesco Ivan Ciampa e la regia di Davide Livermore.
“Inferno cristiano: fuoco. Inferno pagano: fuoco. Inferno maomettano: fuoco. Inferno indù: fiamme. A credere alle religioni, Dio è un rosticciere” scriveva ironicamente Victor Hugo. Ma “l’orrendo foco” non è solo elemento sovrannaturale ma è ben presente, tanto da esserne quasi uno dei protagonisti, anche nel celeberrimo Trovatore di Giuseppe Verdi. La regia pensata da Davide Livermore, per questa nuova produzione del Festival Verdi 2023, ruota proprio attorno a questo elemento sempre presente, in qualche modo, sulla scena. Vedendo questo allestimento non possiamo che pensare alle parole di Tennessee Williams “Viviamo tutti in una casa che brucia. Nessun vigile del fuoco da chiamare. Nessuna via d’uscita. Solo la finestra del piano di sopra da cui guardare fuori mentre il fuoco divora la casa con noi intrappolati, chiusi dentro.” Similmente questo comune e perenne stato di passione e dolore è evidenziato dal grande led wall sul palco che ci mostra città futuristiche perennemente arse dalle fiamme. Una produzione visivamente riuscitissima: siamo in un futuro distopico, dove bande rivali si fronteggiano in territori post apocalittici. Manrico ed Azucena sono circensi e la grande aria del mezzosoprano, in secondo atto, è cantata proprio in un tendone da circo. Una produzione che sfrutta intensamente la ricca suggestioni visiva delle belle proiezioni di D-Wok e le riuscitissime scene di Giò Forma. Il colpo d’occhio è completato dalle perfette luci di Antonio Castro e dai costumi post moderni e curatissimi di Anna Verde. Uno spettacolo che però non è piaciuto al loggione del teatro Regio, da sempre molto conservatore e custode di una certa filologia stretta, il pubblico risentito per le scelte registiche ha ampiamente manifestato il suo dissenso alla fine dell’opera. Per noi invece una produzione riuscita il cui unico limite è rappresentato da una certa ripetitività del regista rispetto ad altre sue recenti produzioni: alcune scene parevano ad esempio arrivare direttamente dal Macbeth scaligero.
Il versante musicale dello spettacolo, pur con qualche distinguo, convince solo parzialmente.
Sul podio, il Maestro Francesco Ivan Ciampa offre una lettura curata e minuziosa dello spartito. In alcune scene, soprattutto quelle riservate agli interventi delle masse, si coglie un piglio brioso ed energico che ben si combina con quella passionalità di cui è tanto densa la partitura. In atre pagine, come, ad esempio, le arie del Conte di Luna e quella di Leonora in quarto atto, si avvertono, di contro, dei rallentando che producono un effetto di eccessiva sospensione della tensione narrativa. Al netto di ciò, la concertazione di Ciampa, a capo di una Orchestra del Teatro Comunale di Bologna corretta ma meno brillante del solito, ha il grande merito di supportare al meglio le voci presenti in palcoscenico. Una lettura che è frutto di esperienza e consolidata professionalità ma che, nell’intento di assicurare la buona riuscita della recita, deve necessariamente sacrificare originalità e profondità d’analisi.
Nel ruolo del titolo, Riccardo Massi esibisce una vocalità robusta e dal bel colore scuro. La parte viene affrontata con adeguata sicurezza esecutiva in virtù di una linea musicale piuttosto sorvegliata. Giunto all’atteso finale terzo, offre un buon cantabile e chiude la cabaletta con una brillante puntatura. Nel fraseggio si coglie una generale correttezza e siamo sicuri che, dopo la tensione della prima, Massi possa maturare, in forza di un clima più disteso, un accento più sfumato.
Francesca Dotto, alle prese con uno dei personaggi femminili verdiani tra i più complessi, si conferma artista dotata di musicalità ed intelligenza esecutiva. Ciò nonostante, se riesce a ben evidenziare gli aspetti più lirici della scrittura, non risulta altrettanto efficace laddove la parte richiederebbe uno strumento più corposo, specie nel registro grave o allorquando il tessuto orchestrale diventi più denso e consistente. Il soprano affronta la parte con innegabile impegno anche se, in questa occasione, pur a fronte di un certo coinvolgimento anche sotto il profilo scenico-interpretativo, non risulta una Leonora completamente a fuoco.
Franco Vassallo, già ottimo Falstaff nel teatrino di Busseto nei giorni precedenti, giunge a questo appuntamento in forma non ottimale. La linea musicale, nota per la sua usuale eleganza esecutiva, suona qui poco sicura, così come la salita nel registro superiore, talvolta problematica e poco controllata. Anche da un punto di vista interpretativo ci troviamo di fronte ad un Conte di Luna grezzo e poco rifinito, ben lontano da quella nobiltà di fraseggio che il ruolo richiederebbe e a cui, solitamente, il baritono milanese ci ha più volte abituati sulla scena. Al suo indirizzo sono piovute alcune contestazioni dopo l’aria di secondo atto e al termine dello spettacolo.
Clémentine Margaine affronta Azucena con un mezzo che colpisce, ad un primo ascolto, per volume e penetrazione. La linea musicale si estende facilmente tra i registri siglando una prova che, sotto l’aspetto esecutivo, risulta convincente, al netto di un paio di imprecisioni ritmiche (specie nel duetto con Manrico di secondo atto). Se vocalmente, complice le peculiari caratteristiche timbriche dell’artista, questa Azucena suona spettrale e quasi in perenne stato di alienazione, il fraseggio sembra votato ad una espressività che talora rischia di cedere il passo ad esagitazioni più convenzionali e caricate. Nel complesso, in ogni caso, una prova di buon livello.
Spicca, nel ruolo di Ferrando, Roberto Tagliavini giunto, per le prime due recite della produzione, in sostituzione del collega inizialmente previsto. Il basso parmigiano sfoggia una vocalità ampia e dal bel colore notturno che ben si adatta alla scrittura del personaggio. Da sottolineare, oltre alla presenza scenica, anche il fraseggio, sempre pertinente grazie ad una variegata gamma di colori e sfumature.
Note positive per il Ruiz di Didier Pieri che, pur in poche battute, riesce a dare vita ad un personaggio ben caratterizzato tanto dal punto di vista vocale che sotto l’aspetto scenico ed interpretativo.
Brillante a musicalissima la Ines di Carmen Lopez, proveniente dalle fila dell’Accademia Verdiana di Parma.
Completano la locandina Enrico Picinni Leonardi e Sandro Pucci, puntuali nelle interpretazioni, rispettivamente, di un messo e un vecchio zingaro.
Il Coro del Teatro Comunale di Bologna, ben preparato da Gea Garatti Ansini, appare in ottima forma e riesce a spiccare con la giusta incisività nei rispettivi interventi previsti in partitura.
Al termine dello spettacolo il pubblico, riserva una accoglienza calorosa soprattutto a Tagliavini e Margaine, alcuni dissensi per Vassallo e tiepidi applausi per la coppia di protagonista e direttore. Sonore, e a nostro avviso immotivate, contestazioni per Livermore e il suo team creativo.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati
1 ottobre 2023. La programmazione di un ennesimo Trovatore subito l’anno successivo a quello fidentino – oltre a un ennesimo Nabucco dopo tanti anni di sopportazione di Nabucchi e Balli in maschera – non faceva sperare bene, ma lo spettacolo di Davide Livermore ha saputo fare scordare ogni prospettiva negativa. Travolgente, intrigante, ma soprattutto diverso, questo Trovatore è costruito in maniera eccellente, a partire da tutto l’impianto – le scene sono di Giò Forma, i video di D-Wok, le luci di Antonio Castro – fino ai singoli gesti e movimenti di tutti gli attori: solisti, coro e i bravissimi mimi. Ben accurati anche i costumi di Anna Verde.
Successo personale per Francesco Ivan Ciampa, alla guida dell’eccellente Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, che si prodiga in una direzione particolarmente intensa e ricca di accenti, molto attento al dinamismo e alla drammaticità verdiana.
Molto bene per il Manrico di Riccardo Massi, tenore dotato di bellissima voce dal timbro tipicamente italiano, morbido e suadente. La sua prova è decisamente migliore rispetto alla precedente Adriana Lecouvreur, ma resta ancora da migliorare la proiezione degli acuti che sembrano restare incastrati a livello del ramo della mandibola.
Bravissima e precisissima la Leonora di Francesca Dotto, che porta in scena un personaggio riuscitissimo, ma soprattutto regala al pubblico una vera interpretazione belcantista, elegante e raffinata.
Altro successo personale per Clémentine Margaine, che sa come ottenere l’effetto. La sua Azucena è emozionante, avvincente, palpitante, pur mancando di omogeneità tra i registri ed eseguendo forse un po’ troppi suoni poco puliti.
Prova insufficiente per il Conte di Giovanni Meoni, previsto per l’ultima recita, qui in sostituzione di Franco Vassallo. Gli acuti fanno molta fatica a salire e i colori sono pressoché assenti.
Roberto Tagliavini è invece uno dei migliori Ferrando a cui si abbia avuto il piacere di assistere e riesce a elevare il suo ruolo a rango di protagonista.
Molto bene anche per la Ines di Carmela Lopez, il Ruiz di Didier Pieri e per il Coro del Teatro Comunale di Bologna guidato da Gea Garatti Ansini.
William Fratti
IL TROVATORE
Dramma lirico in quattro parti
Libretto di Salvadore Cammarano
dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna Franco Vassallo
Leonora Francesca Dotto
Azucena Clémentine Margaine
Manrico Riccardo Massi
Ferrando Roberto Tagliavini
Ines Carmela Lopez
Ruiz Didier Pieri
Un vecchio zingaro Enrico Picinni Leopardi
Un messo Sandro Pucci
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia Davide Livermore
Regista collaboratore Carlo Sciaccaluga
Scene Giò Forma
Video D-Wok
Costumi Anna Verde
Luci Antonio Castro
Foto: Roberto Ricci