Il barbiere di Siviglia – Teatro alla Scala, Milano
La stagione d’opera del Teatro alla Scala di Milano riprende, dopo la pausa estiva, con Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini.
La lezione di musica che Don Alonso, ossia il Conte di Almaviva travestito, dà alla bella Rosina è sicuramente una delle scene più esilaranti e riuscite del Barbiere di Siviglia. E se invece tutta l’opera diventasse una grande lezione di musica e teatro per giovani cantanti? È esattamente ciò che è accaduto alla Scala di Milano con un Barbiere di Siviglia, capolavoro di Gioachino Rossini interamente interpretato da allievi ed ex allievi della Accademia Teatro alla Scala. Come ogni anno, a settembre si tiene al Piermarini quello che può essere considerato il più grande e prestigioso “saggio di fine anno” in ambito lirico, una vetrina di tanti nuovi volti dal grande potenziale. Ma come diceva Tiziano Terzani: “Quando l’allievo è pronto il maestro compare” ed ecco allora, solo per le prime tre rappresentazioni, comparire insieme ai giovani un grande maestro rossiniano quale Marco Filippo Romano, una lezione nella lezione.
L’allestimento scelto è quello già visto nel 2021, che fu l’esordio alla Scala del regista Leo Muscato. Per i dettagli sulla parte visiva vi rimandiamo alla nostra precedente recensione (link qui). Dopo avere rivisto lo spettacolo possiamo confermare la sua sostanziale buona riuscita: merito di una regia attenta che riesce a fare muovere in modo mirabile ogni elemento scenico, uno spettacolo oliato, che si muove in modo sicuro e visivamente appagante. L’unica pecca è forse il fatto che la scena, a cura di Federica Parolini, tende ad essere sempre cupa, ed è realizzata con colori pastello poco vivaci. Si viene così a creare una sorta di discrepanza sinestetica fra la vivace musica rossiniana e un colpo d’occhio tendente alla melanconia.
Come già anticipato, il versante musicale della serata è impreziosito da Marco Filippo Romano, autentico mattatore e trionfatore della serata. Il baritono è da considerarsi, oggi, un autentico nume tutelare per questo tipo di repertorio e, in particolare per il ruolo di Don Bartolo. Romano, forte di una linea sempre musicale e stilisticamente irreprensibile, offre una lettura totalitaria e quantomai moderna del personaggio. La scrittura è dominata con omogeneità e morbidezza tanto nel declamato, quanto nel cantabile; una menzione particolare, poi, è per il canto di coloratura e, in particolare, quel temibile sillabato dell’aria “A un dottor della mia sorte”, sciorinato con impressionante facilità e metronomica puntualità. Abbiamo già avuto modo di ascoltare il baritono in questo ruolo e, ogni volta, percepiamo una crescente adesione psicologica, oltre che vocale con lo stesso. Ne consegue una proprietà di fraseggio che definire incisivo sarebbe riduttivo; ogni frase, infatti, viene permeata da una ficcante espressività che, attraverso una variegata gamma di sfumature, riesce ad emozionare e catturare l’attenzione del pubblico in sala. Non possiamo dunque esimerci dal riconoscere oggi in Romano un artista di livello superiore, una incarnazione perfetta di questi personaggi nati dal genio rossiniano.
Al suo fianco, cantanti-ex allievi dell’Accademia del Teatro alla Scala, in larga parte già ben inseriti nell’attuale panorama teatrale.
Chiara Tirotta dona a Rosina la peculiarità di una vocalità vellutata e piacevolmente screziata. Il pregevole impasto timbrico, unito ad una certa sensibilità per il canto legato sembrano suggerire una certa familiarità con lo stile rossiniano. Particolarmente apprezzabile il registro acuto, così come la precisione delle colorature. Ben curato il fraseggio che, attraverso accenti rifiniti e pertinenti, caratterizza un personaggio palpitante ed arguto. Spigliata la presenza scenica, aderente al disegno registico di Muscato.
Chuan Wang, in virtù di un mezzo dal colore piuttosto chiaro e di una buona padronanza del canto fiorito, si mostra a proprio agio nella scrittura rossiniana. La temibile parte del Conte d’Almaviva viene espugnata con sicurezza, grazie ad un registro acuto ben sorvegliato e rifinito. Rileva, tuttavia, una certa genericità dell’accento che, pur a fronte di una presenza scenica convincente, non riesce ad evidenziare al meglio le diverse sfaccettature del personaggio nel corso della vicenda. Per completezza di informazione evidenziamo, inoltre, come Wang venga privato della esecuzione del rondò di secondo atto “Cessa di più resistere”.
Nel ruolo del titolo, il baritono Paul Grant sfoggia una vocalità salda e poderosa. La linea musicale, tuttavia, non risulta sempre impeccabile e quà e là si avverte qualche disomogeneità tra i registri. Il canto di coloratura viene eseguito con la giusta cura, ma rimane una prova che, complice una dizione non sempre impeccabile, specie nei recitativi, non riesce ad andare oltre una certa accademica correttezza. Anche da un punto di vista scenico si avverte qualche rigidità nei movimenti; dal personaggio di Figaro ci si aspetterebbe, forse, una maggiore verve, un gesto teatrale più disinvolto e un accento più incisivo e guascone.
Huanhong Livio Li, allievo dell’Accademia della Scala, presta a Don Basilio, un mezzo indubbiamente interessante per colore e volume. Tuttavia, il basso offre, forse per una certa inesperienza interpretativa, una lettura del personaggio troppo caricaturale, tanto da trasformarlo in una macchietta. Il suo è un canto risolto, quasi sempre, sul forte e nel quale non sempre risulta evidente quell’insinuante senso della macchinazione che è proprio di Don Basilio.
Un plauso alla brava Greta Doveri, che, nel ruolo di Berta, mette in luce una vocalità dal timbro ambrato e di facile proiezione. Stilisticamente pertinente, specie nell’aria di secondo atto “il vecchiotto cerca moglie”, convince anche per la presenza scenica aggraziata e disinvolta. Da sottolineare, inoltre, l’ironia con cui interpreta il personaggio sulla scena, letto da Leo Muscato come una autentica femme fatale.
Giuseppe De Luca si disimpegna con ottima professionalità nel duplice ruolo di Fiorello è un ufficiale.
Sul podio, il Maestro Evelino Pidò, offre una lettura rigorosa e precisa del capolavoro rossiniano. Una concertazione nella quale prevalgono dinamiche leggere e mai prevaricanti rispetto alle peculiarità timbriche delle voci presenti sul palcoscenico. Pidò riesce dunque a creare un tappeto sonoro ideale specialmente per le voci dei giovani interpreti, che risultano così ottimamente supportate e sostenute per tutta l’esecuzione. Da un punto di vista filologico viene adottata l’edizione Zedda, edita da Casa Ricordi, pur con alcuni tagli (su tutti la già citata aria finale del Conte). Si nota, inoltre, l’avvenuto inserimento di alcune varianti che pur sembrando atipiche trovano comunque la loro perfetta coerenza con lo stile del Cigno pesarese.
Pregevole la prova dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala, cui si riconosce la capacità di ricercare e mantenere sonorità caratterizzate da una certa morbidezza e brillantezza timbrica.
Buona la prova del Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, diretto con affidabile precisione dal Maestro Salvo Sgrò.
Vivo successo al termine per tutta la compagnia da parte di una sala completamente esaurita che riserva un autentico, quanto meritato, trionfo a Marco Filippo Romano.
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Dramma comico in due atti su musica di Gioachino Rossini
Libretto di Cesare Sterbini dalla commedia Le barbier de Séville
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Il conte d’Almaviva Chuan Wang
Bartolo Marco Filippo Romano
Rosina Chiara Tirotta
Figaro Paul Grant
Basilio Huanhong Livio Li
Berta Greta Doveri
Fiorello /Ufficiale Giuseppe De Luca
Orchestra e Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Evelino Pidò
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografia Nicole Kehrberger
FOTO BRESCIA/AMISANO – TEATRO ALLA SCALA