Danza

Peer Gynt – Teatro alla Scala, Milano

Il 12 aprile il sipario del Teatro alla Scala si è aperto sul balletto di Edward Clug Peer Gynt, tratto dall’omonimo testo di Henrik Ibsen scritto nel 1867 e andato in scena per la prima volta nel 1876 accompagnato dalle musiche di Edvard Grieg.

La trasposizione di Clug, realizzata nel 2015, traduce in coreografia la rocambolesca e fantastica vicenda narrata da Ibsen senza tuttavia voler “rimpiazzare le parole con passi di danza”, come ha spiegato lo stesso coreografo, che difatti non incorre nell’errore, assai frequente nelle coreografie tratte da testi letterari, di essere didascalico. Clug sceglie di elidere alcuni episodi, di aggiungerne altri o di riunire in un unico personaggio più figure, a favore del ruolo espressivo della danza. Ciò nonostante lo spettacolo in due atti non tradisce il significato e la struttura del testo di Ibsen, mantenendone tutte le componenti essenziali: i temi e i soggetti della favola nordica, il valore simbolico del viaggio di Peer Gynt, il suo confrontarsi con diverse figure femminili, la ricerca di un significato profondo dell’esistenza, prima inseguito in mondi esotici e poi scoperto, troppo tardi, nell’amore per Solveig,

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Peer Gynt, Teatro alla Scala, 2025

Il 12 aprile OperaLibera ha visto, nel ruolo di Peer Gynt, Navrin Turnbull che ha dato prova di un’ottima capacità interpretativa nel portare in scena un personaggio, apparentemente scanzonato e fannullone, ma dai profondi risvolti umani che emergono soprattutto nella commovente scena del comminato dalla madre Åse (Antonella Albano) e nel finale nel quale Peer, ormai vecchio, rivede l’amata Solveig (Alice Mariano). 

L’autorialità di Clug si esprime al meglio nei momenti corali del viaggio di Peer Gynt affidati al sempre impeccabile corpo di ballo che eccelle nella festa di nozze di Ingrid (Linda Giubelli) e Mads Moen (Mattia Semperboni) nella quale i giovani invitati danzano in un’ambientazione un po’ alla West Side Story e nell’incontro di Peer Gynt con i matti del dott. Begriffenfeldt (Massimo Garon), un episodio carico di felicissima autoironia, quasi uno spettacolo nello spettacolo. Il linguaggio di Clug, del tutto contemporaneo, è caratterizzato da una cifra personale originale che allontana la sensazione di dejavu e che unisce movimenti piccoli e circoscritti, rifiniti al cesello, a passi ampi, salti e slanci e gesti teatrali di forte carica drammatica. 

Tra i passaggi memorabili, sotto diversi punti di vista, c’è la sequenza del regno dei troll, perfettamente rsffigurati dai costumi di Leo Kulaš e il cui ballo è sostenuto da uno dei pezzi più celebri di Grieg, Nella sala del re della montagna. L’episodio, del quale non si possono dimenticare le ambigue tre malgare, quasi delle Parche del nord, si chiude con un’eccezionale Maria Celeste Losa che riveste il ruolo della figlia del re dei troll (la donna verde) con un’interpretazione inquietante, tra il fantasy e l’horror che conferma la versatilità di questa ballerina.

Tra gli interpreti che meritano speciale menzione anche il bravissimo Emanuele Cazzato che presta i propri movimenti alla rappresentazione dal cervo sognato da Peer Gynt, una sorta di spirito guida del protagonista che lo accompagna nell’arco della vita. Il ballerino, grazie a delle ingegnose stampelle, scalcia e salta con furia animale e conferisce al cervo una maestosità fiabesca. Altrettando riuscita è la figura della morte – notevoli le doti attoriali di Andrea Crescenzi – inventata da Clug per riunirvi alcune figure del testo di Ibsen altrimenti non traducibili coreograficamente e che insieme al cervo accompagna il protagonista dall’inizio alla fine del suo viaggio, anticipandone l’esito drammatico.

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Peer Gynt, Teatro alla Scala, 2025

La fantasia del testo di Ibsen è felicemente restituita da una ricchezza teatrale e visiva di prim’ordine, grazie ai riuscitissimi costumi di Leo Kulaš, le scene essenziali, ma di efficace significato di Marko Japelj e soprattutto la bellissima musica di Greig, che è solo in parte quella scritta dal compositore per il Peer Gynt di Ibsen, poiché Clug ha aggiunto altri brani dello stesso Grieg funzionali alla danza. 

La complessa e ricca musica di Grieg, di cui restano impressi soprattutto gli archi, è diretta da Victorien Vanoosten, che si avvale anche di Leonardo Pierdomenico al pianoforte, mentre alcune parti sono cantate, con grande forza evocativa, dal Coro dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni. In questo multiforme spettacolo non mancano interpretazione mimica e persino espressione verbale (melologhi, canto e parlato), ma non si ha mai la sensazione che il coreografo ricorra a questi media per supplire a vuoti coreografici, al contrario tutta questa varietà di linguaggio si armonizza con grande equilibrio e appaga pienamente vista e udito consegnando alle scene uno spettacolo del tutto contemporaneo.