La dama di picche – Teatro Regio, Torino
Al Teatro Regio di Torino torna la grande opera russa con La dama di picche di Pëtr Il’ič Čajkovskij, il dramma a tinte forti tratto da un racconto dello stesso Puškin già ispiratore pochi anni prima di quell’Evgenij Onegin così centrale nella produzione del compositore. Čajkovskij, che riteneva Pikovaja Dama una delle sue composizioni migliori, lavorò insieme al fratello al soggetto con insolito zelo ed entusiasmo ultimando il lavoro in poche settimane e la prima si tenne al teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel dicembre 1890 con un trionfale successo. È dunque con un allestimento della Deutsche Oper di Berlino portato a compimento da Sam Brown, e qui ripreso da Sebastian Häupler, da un’idea del compianto regista britannico Sir Graham Vick poco prima della sua prematura scomparsa che La dama di picche viene riportata in scena nel teatro della capitale subalpina. L’ingombrante seppur sostanzialmente riuscita concezione registica ruota attorno alla distorta percezione che i protagonisti hanno delle fortune altrui rispetto alle proprie ed ai modi in cui credono di poter cambiare il proprio destino in un mondo asfissiante e crudele, privo di elementi salvifici.

Fin dalla prima scena, dove German da dietro le sbarre del cancello del Giardino d’inverno osserva un gruppo di bambini i cui giochi si fanno presto inquietantemente violenti – da notare come il bambino vessato dai compagni sia vestito come German e la bambina che poi sarà l’unica a dargli un poco di conforto assomigli invece a Liza preannunciando almeno in parte le vicende successive – i personaggi si muovono in un’atmosfera di parossismo psicosessuale in continuo crescendo. Emblematico in tal senso il trattamento della figura della Contessa che da burbera nonna di Liza dal misterioso e vivace passato nelle corti francesi diventa una piacente diva del cinema muto (intriganti da questo punto di vista le videografiche di Martin Eidenberger) onnipresente nei pensieri di German. Egli la rivede addirittura nell’Imperatrice intervenuta al ballo in maschera del terzo quadro e le strappa dal petto la fascia dell’onorificenza con un gesto aggressivo che fa trasparire appieno la sua instabilità psicologica. La reazione della Contessa nel vedere German, penetrato nottetempo nelle sue stanze, suggerisce inoltre la sua convinzione che egli sia lì in quanto ammiratore e che lei ne sia ben contenta; è infatti a causa di un improvviso malore, mentre tiene vicina alle labbra la pistola che German ha sfoderato per minacciarla, in quella che invece per lei è evidentemente una scena di seduzione, che la Contessa perde la vita e non a seguito delle minacce del giovane. Ella tornerà in scena nei quadri successivi dell’opera, prima vestita come Liza – suggerendo una giustapposizione delle due donne nella psiche di German – ed in seguito nella scena finale, in atteggiamenti materni e consolatori nei confronti del protagonista morente.

Nel primo quadro su un fondale delimitato da una serie di pannelli rotanti disposti a semicerchio, opportunamente manovrati a seconda delle ambientazioni successive, viene proiettato un cielo cangiante, la vicenda è poi trasportata in una serie di scenari caratterizzati da luci al neon ed una tavolozza dai toni generalmente freddi mescolati ad alcuni rimandi all’epoca di effettiva ambientazione della trama (sia scene che costumi sono a cura di Stuart Nunn e le luci di Linus Fellbom). L’effetto complessivo, pur con i suoi meriti e l’innegabile fluidità della narrazione – convincenti ad esempio la lunga scala che fa la sua comparsa per i tre quadri conclusivi dell’opera, il muro tappezzato di immagini di Liza manifestazione tangibile dell’ossessione di German e nel sesto quadro le ringhiere poste a simbolo delle rive del fiume Neva che dividono inesorabilmente Liza e German – risulta tendente al chiassoso e non aiutano a fugare quest’impressione le concitate coreografie di Ron Howell qui riprese ed adattate da Angelo Smimmo: nel terzo quadro si allude irragionevolmente ad un festino orgiastico (oltre ad aver misteriosamente tagliato quasi per intero, salvo il coro iniziale, l’Intermezzo “La fedeltà delle pastorelle”) e nel settimo quadro la casa da gioco è nuovamente animata da alcuni ballerini che si producono in figure convulse e salaci, certo qui più appropriate.

Pienamente convincente il lato musicale dello spettacolo: Valentin Uryupin, fatto salvo qualche scollamento tra buca e palcoscenico durante il primo quadro, guida con fermezza e vigore le masse artistiche del Teatro Regio in un’interpretazione sommamente drammatica e cupa che ben si coniuga con il fosco quadro dipinto in scena. Le sonorità richieste alla sempre validissima orchestra del Teatro Regio sono fragorose e robuste e la tensione costante dalla prima all’ultima nota. Eccellente prova di sé dà anche tutta la compagine corale, preparata da Ulisse Trabacchin e Claudio Fenoglio, considerevolmente impegnata sia dal punto di vista vocale che scenico; ne sono esempio massimo la terza e la settima scena. Note decisamente positive per l’intero cast solistico: Mikhail Pirogov risolve senza incertezze e slancio misurato ma sempre incisivo l’impegnativo ruolo di German; l’emissione solida e la proiezione energica e ben controllata. Lo affianca la dolente Liza di Zarina Abaeva che tratteggia efficacemente la tragica parabola del proprio personaggio con il suo sonoro e ben timbrato strumento dal fascino brunito cui si può solo appuntare qualche lieve incertezza nel registro più acuto. Jennifer Larmore si conferma vera fuoriclasse per presenza scenica, fraseggio e perizia tecnica nel ruolo della Contessa, reso ancora più centrale da Sam Brown e per questo ancor più bisognoso in questo allestimento di un interprete in grado di sostenere il ruolo non solo musicalmente.

Si distingue per l’eleganza del legato e la morbidezza con la quale porge il suono il Principe Eleckij di Vladimir Stoyanov in una interpretazione nella quale restituisce tutto il rango ed il garbo del proprio personaggio. Deliziosa la Polina di Deniz Uzun che pur privata del duetto dell’Intermezzo lascia il segno per grazia e soavità. Coglie appieno nel segno anche Elchin Azizov con il suo riuscitissimo Tomskij salutato da convinti applausi per entrambe le sue arie e a cui fanno bene da spalla lo squillante Čekalinskij di Alexey Dolgov ed il valido Surin di Vladimir Sazdovski. Completano il cast l’ineccepibile governante di Ksenia Chubunova, l’ottima Maša di Irina Bogdanova e gli efficaci Joseph Dahdah nel doppio ruolo di Čaplickij e del Cerimoniere e Viktor Shevchenko come Narumov. Al termine il pubblico presente in sala tributa una calorosa accoglienza all’intero cast, con qualche sparuta contestazione all’indirizzo del team registico, per questo riuscito terzultimo titolo della Stagione 2024/2025 del Teatro Regio che può così segnare all’attivo un altro grande successo. Dama di Picche sarà in replica fino al 16 aprile per poi lasciare spazio a maggio e giugno ad Hamlet di Ambroise Thomas e Andrea Chénier di Umberto Giordano.
Margherita Panarelli, 3 aprile 2025
“La sorte distribuisce le carte e noi giuochiamo” queste parole di Arthur Schopenhauer rendono perfettamente il mondo de La dama di picche, il capolavoro composto da Čajkovskij nel 1890. Il racconto, tratto da un romanzo breve di Puškin, ci parla delle vicende di German, ossessionato dal gioco d’azzardo e disposto a tutto pur di tentare una scalata sociale. Una vicenda cupa su cui incombe un perenne senso di morte e l’illusione di potere cambiare il destino che è invece già segnato. La produzione che vediamo al Regio di Torino è quella già andata in scena, lo scorso anno, alla Deutsche Oper di Berlino, già progettata da Graham Vick nel 2021, prima della sua morte. Un nucleo di idee sviluppate da Sam Brown (regia qui ripresa da Sebastian Häupler), che ci portano in un mondo multiforme, dove si alternano scene dal sapore settecentesco ad altre decisamente più contemporanee. Una commistione di stili e mondi che crea un effetto caleidoscopico ma anche poco coerente, una scena (a cura di Sebastian Häupler) dove dominano i toni cupi, quasi funerei illuminati a volte da grandi tubi al neon (luci di Linus Fellbom). Anche i costumi sono poliedrici, come la scenografia, sempre curati e rifiniti. Ron Howell aggiunge allo spettacolo delle coreografie originali che cercano di provocare il pubblico risultando però non sempre ispirate. I video di Martin Eidenberger si inseriscono in questa produzione evocando il cinema russo d’avanguardia degli anni Venti.

Di notevole interesse il versante musicale dello spettacolo.
Autentico punto di forza della compagnia, e non poteva essere diversamente, è Jennifer Larmore con la sua carismatica interpretazione di una Contessa lasciva ed inquieta. Ancora oggi, l’artista statunitense esibisce una vocalità densa e pastosa con la quale sembra dipingere ogni suo intervento in partitura. Di caratura ancora superiore, poi, è il fraseggio nel quale il mezzosoprano infonde inusitata verità teatrale. Parimenti incisiva, infine, la presenza scenica, sottolineata dall’elegante raffinatezza del portamento.
Notevole è anche la prova di Mikhail Pirogov, nel ruolo di German. Il tenore si impone, innanzitutto, per la limpidezza e la musicalità della linea di canto, dall’emissione rotonda e ben sfogata nel registro superiore. Alle prese con una parte tanto impervia, l’interprete è, inoltre, sempre presente a sé stesso e, in virtù di un fraseggio misurato e adeguatamente sfumato, risulta credibile nel rappresentare la discesa verso l’abisso del personaggio.
Note positive anche per Zarina Abaeva che presta a Lisa tutta l’ampiezza di uno strumento corposo e dal caratteristico colore brunito. Una prova vocale supportata da buona musicalità e da adeguato controllo tecnico. L’accorata esecuzione dell’aria di terzo atto, poi, consente di sbalzare, con particolare efficacia, il carattere più drammatico del personaggio.
Riuscitissima è la performance di Deniz Uzon, una Polina, dalla vocalità sontuosa per ricchezza timbrica e ampiezza dello strumento. Una prova davvero pregevole, impreziosita, tra l’altro, dalla freschezza e dalla disinvoltura della presenza scenica.
Vladimir Stoyanov, nel ruolo del Principe Eleckij, si ritaglia un successo personale, in ragione della struggente esecuzione dell’aria di secondo atto, esaltata dalla morbidezza dell’emissione e dalla raffinatezza dell’accento.
Elchin Azizov, forte di una vocalità sicura e ben proiettata, rappresentata tutta la solennità del Conte Tomskij, cui spetta, tra l’altro, il racconto della storia della Contessa e l’origine del mistero delle “tre carte”.
In rilievo anche tutte le parti di fianco, tra le quali troviamo lo squillante Čaplickij di Joseph Dahdah, l’incisivo Čekalinskij di Alexey Dolgov e il granitico Surin di Valdimir Sazdovski.
La locandina prosegue, poi, con l’enigmatica Governante di Ksenia Chubunova, la delicata Maša di Irina Bogdanova, il solido Narumov di Viktor Shevchenko e il delizioso piccolo comandante di Luca Degrandi.

Gli artisti in palcoscenico risultano ottimamente supportati da Valentin Uryupin che, dal podio, offre una lettura della partitura pervasa da vibrante drammaticità. Grazie all’ottima rispondenza della compagine orchestrale, il direttore costruisce una architettura sonora coesa e stratificata, nella quale si innestano i diversi piani del racconto, dal tema delle inquietudini amorose di Lisa, a quello delle ossessioni oniriche di German, senza dimenticare la corroborante sottolineatura dei grandi affreschi corali.
Di rilievo, infine, per intensità e ricchezza di colori, il prezioso apporto del Coro del Teatro Regio di Torino, magnificamente istruito da Ulisse Trabacchin, cui si affianca l’altrettanto ottima prova delle voci bianche, magistralmente guidate da Claudio Fenoglio.
Grande successo al termine, tributato da una platea praticamente sold out, segnale manifesto del meritato apprezzamento di questa interessantissima produzione del cartellone torinese.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati, 6 aprile 2025
PIKOVAJA DAMA (LA DAMA DI PICCHE)
Opera in tre atti e sette quadri
Libretto di Modest Il’ič Čajkovskij
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Liza Zarina Abaeva
German Mikhail Pirogov
La Contessa Jennifer Larmore
Il conte Tomskij Elchin Azizov
Il principe Eleckij Vladimir Stoyanov
Polina Deniz Uzun
Čekalinskij Alexey Dolgov
Surin Vladimir Sazdovski
La governante Ksenia Chubunova
Čaplickij Joseph Dahdah
Narumov Victor Shevchenko
Maša Irina Bogdanova
Il piccolo comandante Luca Degrandi
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche
del Teatro Regio Torino
Direttore Valentin Uryupin
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Maestro del coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia Sam Brown
ripresa da Sebastian Häupler
Scene e costumi Stuart Nunn
Coreografia originale Ron Howell
ripresa e adattata da Angelo Smimmo
Luci Linus Fellbom
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Nuovo allestimento Deutsche Oper Berlin
in coproduzione con Teatro Regio Torino
Foto di Mattia Gaido cortesia del Teatro Regio