Spettacoli

Alcina – Roma, Teatro dell’Opera

“Verdi prati, selve amene / perderete la beltà” canta Ruggero nell’Alcina di Georg Friedrich Händel e l’incanto malinconico di questi versi pervade e informa di sé l’intero allestimento andato in scena all’opera di Roma, con la direzione di Rinaldo Alessandrini e la regia di Pierre Audi. Un’edizione raffinata che si distingue per la nitidezza della rappresentazione, con le scenografie di Patrick Kinmonth che ricreano un labirinto di siepi da giardino settecentesco, immerso per lo più in atmosfere crepuscolari e serotine. Un quadro che ci ricorda il finale della “folle giornata” di Mozart-Da Ponte, nell’andirivieni dei personaggi che indossano abiti del XVIII secolo, ancora realizzati da Kinmonth, secondo tagli rigorosi ed eleganti e nelle tinte pastello ora delicate ora brunite, in uno stile che guarda più al classicismo inglese di fine secolo che all’artificio dell’epoca händeliana, definendo così un ambiente più illuminista che rococò. Vero è che le trasformazioni della scena, con lo scolorire del verde che ci mostra i pannelli di cartone dell’ingannevole mondo di Alcina, la galleria con la fuga di colonne che pare una prigione, le nuvole scure dell’anima in tempesta, riprendono il gusto per la meraviglia della macchina barocca, ma va comunque rilevato che avvengono con estremo garbo ed essenzialità, mirando, più che a stupire, a raccontarci il progressivo disgregarsi di una finzione, fragile e ingannevole, ma non per questo meno incantevole e seducente. Gli arredi sono davvero minimi, potremmo dire soltanto la sedia, semplice, quasi infantile ma che è il trono della Maga, il simbolo della sua potenza immaginifica, in realtà più sognante che terribile, addirittura con aspetti di innocenza come è quella dei bambini. In questa cornice l’elemento di maggior fascino è senz’altro rappresentato dai movimenti, che, minuziosamente coordinati e tesi a sottolineare ogni sfumatura musicale, mettono in campo un gioco raffinato dell’eros con uomini bendati e dame velate. Suggestivo il bacio simultaneo delle coppie e le coreografie oniriche che evocano l’incubo e i fantasmi, nonché le due sorelle che affrontano insieme la rovina. Il tutto a generare una danza complessa ma naturale, illuminata con grazia dal disegno di Matthew Richardson, che sbalza i contorni della visione ed esalta il panneggio delle vesti. Luci che poi accentuano i contrasti nel notturno turbamento della protagonista e che si fanno zenitali, quasi abbaglianti, nel finale, a mostrarci una scena denudata, ridotta a magazzino o a quinta teatrale. “All’orror del primo aspetto / tutto in voi ritornerà”: la bellezza del Settecento si è ormai dissolta con gli incantesimi di Alcina e pare che in quest’arido vero facciano ora tutti naufragio, mentre anche noi insieme a Ruggero rimpiangiamo il dolce asservimento al sortilegio, sentendo nostalgia per le illusioni dell’amore e del teatro.

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Carlo Vistoli e Mariangela Sicilia

Un analogo stile elegiaco improntato a bellezza e malinconia caratterizza la direzione di Rinaldo Alessandrini, che plasma una narrazione distesa e punteggiata da sospensioni di notevole impatto drammatico. La frase è sempre ampia e di grande eleganza, con passaggi pensosi e aperture contemplative, in un discorso che aspira alla composta trasparenza più che al mirabolante virtuosismo. Certi momenti sono tuttavia di affascinante vivacità, come l’overture resa in tempi veloci e turgide sonorità, il brillantissimo accompagnamento dell’aria eroica di Ruggero e la scolpita introduzione al terzo atto. Di volta in volta il singolo strumento, il corno come il violoncello, viene posto nella giusta evidenza, in una feconda sintonia con il palco e con il Coro. Quest’ultimo, al solito coordinato con precisione da Ciro Visco, canta suggestivamente fuori scena e realizza interventi ben amalgamati e venati di dolcissima tristezza.

Ben allineato con le scelte della direzione e della regia l’intero cast degli interpreti, decisamente affiatati e tutti validi attori.
Mariangela Sicilia esibisce una vocalità omogenea e levigata con la quale crea un Alcina ferita e innamorata, più segnata da grazia e mestizia che da potenza e aggressività, prigioniera dell’irrealtà ma indispensabile all’immaginazione degli altri. La prima aria, seppure di grande nitidezza, non si staglia con rilievo, mentre “Son quella” si increspa di penetrante drammaticità, con una linea continua e amplissimi fiati. “Ah, mio cor! Schernito sei!” viene poi delineata nel contrasto di forte e di piano, con una salda tenuta delle note, anche se con qualche fragilità di intonazione negli acuti. Resa con ancora maggiore varietà “Ombre pallide”, preceduta da un recitativo accompagnato che raffigura con intensità lo smarrimento della protagonista. Molto melodica “Ah quando tornerai” e di notevole trasparenza ma non parimenti emozionante “Mi restano le lagrime”; assai coinvolgente però il terzetto e il finale con Morgana.

Carlo Vistoli nel ruolo di Ruggero si dimostra particolarmente attento a definire le sfumature psicologiche e allo stesso tempo mantiene costantemente un’attitudine estatica. L’emissione è di straordinaria potenza ed eguaglianza, la linea articolata, assai vario il fraseggio. “Semplicetto! A donna credi?” è ingenua e sognante, volutamente caricata per riuscire grottesca, più sanguigna invece è “La bocca vaga”. La scena del risveglio dall’incantesimo è resa con una dizione scolpita e con acuti che paiono squarciare il velo dell’illusione, seguita da due arie di intensa espressività. Vistoli realizza poi una pagina di struggente dolcezza in “Verdi prati” e con forza e agilità interpreta “Sta nell’ircana” in una forma luminosa e trascinante.

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Mariangela Sicilia

Di buona consistenza e sicura nei centri la Morgana di Mary Bevan, pur con qualche rigidità nelle note più alte. Se comunque “Tornami a vagheggiar” è resa con una certa brillantezza, la sua aria al terzo atto riesce maggiormente definita e seducente.
Caterina Piva è una Bradamante energica e voluminosa, con arie tracciate con correttezza e rigore ma con poca incisività.
Ha un canto modulato l’Oberto di Silvia Frigato, anche se non sempre di adeguato volume. Marcato l’accento in tutte le arie, con “Tra speme e timore” che si attesta come il suo momento più commovente.
Chiaro e potente Anthony Gregory nel ruolo di Oronte. Molto luminoso ogni suo intervento solistico, con una dizione che risulta tuttavia poco scandita nelle agilità.
Melisso è Francesco Salvadori che dispiega una voce rotonda e compatta, in un fraseggio che si mantiene però piuttosto uniforme.

Lo spettacolo nel suo complesso ha destato consensi ed entusiasmo, con molti e fragorosi applausi anche a scena aperta. Alla fine applauditissimi tutti e un vero trionfo per Vistoli e la Sicilia.

ALCINA

Musica Georg Friedrich Händel
Dramma musicale in tre atti
Libretto di autore ignoto da L’isola di Alcina di Antonio Fanzaglia
musicato da Riccardo Broschi (da Ludovico Ariosto)
Direttore Rinaldo Alessandrini

Regia Pierre Audi

Maestro del Coro Ciro Visco
Scene e Costumi Patrick Kinmonth
Luci Matthew Richardson

PERSONAGGI E INTERPRETI
Alcina Mariangela Sicilia
Ruggiero Carlo Vistoli
Bradamante Caterina Piva
Oronte Anthony Gregory
Morgana Mary Bevan
Oberto Silvia Frigato
Melisso Francesco Salvadori

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
in collaborazione con De Nationale Opera, Amsterdam

Foto: Fabrizio Sansoni – Teatro dell’Opera di Roma