Falstaff – Teatro Carlo Felice, Genova
Falstaff al Carlo Felice di Genova.
Pensate ad una casa piena di ospiti: un gruppo di artisti che continuano a vivere in una sorta di perenne tournée ma senza muoversi da Milano. Questa deve essere stata, per sommi capi, l’idea che ha portato Giuseppe Verdi a volere fortemente la sua “Casa Verdi”, quell’ospizio per artisti che per lui erano “i poveri e cari compagni della mia vita”, un luogo scelto dal musicista anche per il riposo delle sue spoglie mortali.

Entrando al Carlo Felice, sul palco, ci accoglie proprio un video dell’austera facciata della Fondazione, pensata, alla fine dell’Ottocento, in stile neogotico, dall’architetto Camillo Boito, fratello del librettista verdiano Arrigo. “Delle mie opere, quella che mi piace di più” così il maestro diceva della casa di riposo e in questo senso non può che considerarsi assolutamente geniale l’idea del regista Damiano Michieletto di ambientare proprio Falstaff, opera testamentaria di Verdi, nella “Casa Verdi”. Qui, il rubicondo personaggio shakespeariano, diventato in questa edizione un anziano cantante, passa gli ultimi anni di vita. Una produzione curatissima, ricca di trovate sceniche, ripresa a Genova da Andrea Bernard e con le scene di Paolo Fantin. Uno spettacolo che riesce a stupire fondendo costantemente il piano del reale, ossia la storia dell’anziano artista, raccontata anche attraverso video di Rocafilm Filmproduktion, con le vicende previste nel libretto, vissute dal protagonista in sogno. Un complesso intreccio, una lettura a più strati, che riesce quasi sempre a funzionare, sicuramente geniale ma che è godibile solo per lo spettatore che conosca bene la vicenda e riesca ad orientarsi fra i vari personaggi e situazioni. Un allestimento, oggi di proprietà della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, visto per la prima volta nel 2017 alla Scala di Milano e successivamente a Salisburgo che mantiene negli anni quel gusto agrodolce, quella comicità sottilmente dolorosa che è perfettamente consonante all’opera. Curatissimi i costumi di Carla Teti, sia quelli contemporanei indossati dal personale e dagli ospiti della struttura che quelli dei cantanti di foggia Ottocentesca, perfette le luci di Alessandro Carletti.
Se il comparto visivo ci ha soddisfatto non da meno è risultato quello musicale

Dopo averlo interpretato per oltre quattrocento volte sui principali palcoscenici del mondo, Ambrogio Maestri porta ora il “suo” Falstaff nel teatro genovese. La lunga frequentazione del ruolo ha fatto sì che il baritono pavese abbia raggiunto oggi un livello di immedesimazione totale con il personaggio. Prova ne sono l’incisività del fraseggio, la ricchezza e la varietà dell’accento, permeato di continue sfumature. Maestri riesce a creare un personaggio a tutto tondo, nel quale ironia e malinconia coesistono in equilibrio perfetto. La peculiare fisicità dell’artista, sfruttata con grande intelligenza ed un pizzico di arguzia, ne accresce inoltre la credibilità sulla scena. Sotto il profilo strettamente vocale, purtroppo, le cose non vanno altrettanto bene. Ad onta di un mezzo ampio e di indiscusso volume, infatti, nell’esecuzione si colgono alcune durezze nel registro acuto, imprecisioni nell’emissione e, ancora, una scarsa fluidità nel risolvere le frasi in falsetto. Ciò nonostante, la levatura dell’interprete e la aderenza al disegno registico dello spettacolo, conquistano il pubblico che saluta questa sua performance con una grande ovazione al termine dell’opera.
Ernesto Petti presta a Ford una vocalità piacevolmente timbrata, vigorosa nell’emissione e facilmente proiettata nella regione superiore. Sotto l’aspetto interpretativo, il personaggio, sbalzato con un fraseggio appassionato ed impetuoso, vede il proprio apice, come naturale che sia, nel duetto con Falstaff di secondo atto.
Bravissimo è, poi, Galeano Salas. Il tenore conquista il pubblico per il naturale squillo di un timbro solare e per la morbidezza di un canto sul fiato sicuro e ben proiettato. Lo slancio e la passionalità dell’accento ben si sposano con l’animo innamorato di Fenton.
Scenicamente godibilissima la coppia dei “fidi messaggeri” di Falstaff: il carismatico Bardolfo di Oronzo D’Urso, dalla vocalità compatta e duttile, e l’efficace Pistola di Luciano Leoni, dall’emissione sicura e piacevolmente timbrata.
Il comparto maschile del cast si completa con Blagoj Nacoski, un Dottor Cajus ben a fuoco, adeguatamente serioso, parsimonioso nella difesa delle proprie finanze e improbabile spasimante della dolce Nannetta.
Passiamo ora al versante femminile della locandina, davvero ben affiatato tanto sotto il profilo vocale, quanto sotto quello scenico.
L’Alice Ford di Erika Grimaldi svetta per musicalità di una linea dai centri cremosi e dal registro acuto svettante e timbratissimo. Ottima la caratterizzazione scenica del personaggio, sottolineato con una presenza di aggraziata femminilità. Arguto e brillante il fraseggio.
Frizzante ed ammiccante la Mrs. Meg Page di Paola Gardina, di cui si apprezza il bell’impasto timbrico dal caratteristico colore screziato. In evidenza, inoltre, la frizzante caratterizzazione scenica del personaggio.
Brilla, poi, Caterina Sala, una Nannetta dall’intonazione adamantina. La morbidezza della linea consente al soprano di accarezzare il fraseggio musicale e di pennellarlo con un canto rotondo e luminoso. Splendida, poi, l’esecuzione della “canzone delle fate” in terzo atto, ricamata con messe di voce e pianissimi puri come un cristallo. Sotto l’aspetto interpretativo, ci troviamo di fronte ad una ragazza moderna e determinata nella difesa del suo amore per Fenton.

A completare il quartetto delle comari di Windsor, troviamo la Quickly di Sara Mingardo. Un’artista dotata di uno strumento prezioso e dal suggestivo colore ambrato che si piega, con facilità e naturalezza, alle esigenze della scrittura. La peculiarità del mezzo vocale ben si addice alla caratterizzazione di un personaggio più giovanile e fascinoso del solito.
Sul podio, Jordi Bernàcer offre una lettura adeguatamente ispirata del capolavoro verdiano, un approccio che si muove in equilibrio tra sospensione e brillantezza, in sintonia con il progetto registico dello spettacolo. Appropriata la scelta delle dinamiche e dei colori, per meglio rappresentare l’atmosfera caratteristica di ogni situazione del libretto. Convincono anche le agogiche, ben calibrate per restituire talora l’ironia, talaltra la malinconia che serpeggiano nel fraseggio del cigno di Busseto. Una prova direttoriale di sicura professionalità che può pregiarsi, tra l’altro, della buona sintonia con la sempre brava compagine orchestrale genovese, pronta ad offrire il giusto supporto al palco.
Di notevole valore, inoltre, l’apporto del coro del Teatro Carlo Felice di Genova che, grazie all’ottima preparazione del maestro Claudio Marino Moretti, conferisce, specie alla scena della foresta di terzo atto, quella brillantezza necessaria a rappresentare il mondo onirico di fate e folletti.
Alla recita pomeridiana cui abbiamo assistito, arride un successo incandescente al termine per tutta la compagnia con un piccolo e affettuoso fuori programma: un augurio di buon compleanno cantato dal coro, dagli artisti e dal pubblico per la bravissima Caterina Sala.
FALSTAFF
Commedia lirica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito
Musica di di Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff Ambrogio Maestri
Ford Ernesto Petti
Fenton Galeano Salas
Dottor Cajus Blagoj Nacoski
Bardolfo Oronzo D’Urso
Pistola Luciano Leoni
Alice Ford Erika Grimaldi
Nannetta Caterina Sala
Mrs. Quickly Sara Mingardo
Mrs. Meg Page Paola Gardina
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro concertatore e direttore Jordi Bernàcer
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Damiano Michieletto ripresa da Andrea Bernard
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Video rocafilm Filmproduktion
Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS
Foto: Teatro Carlo Felice Genova