Danza

Kratz / Preljocaj / De Bana – Teatro alla Scala, Milano

Il primo appuntamento della stagione scaligera con la danza contemporanea porta in scena tre pezzi molto diversi tra loro. Il primo, Solitude Sometimes di Philippe Kratz, già visto nel 2023, si conferma per essere un brano di rara bellezza, compiuto e coeso nelle scelte coreografiche e musicali, ben supportato nell’allestimento illuminotecnico e scenografico, forse un po’ meno felice nei costumi. Kratz pur ispirandosi a un soggetto distante migliaia di anni dalla cultura attuale, riesce a creare un’opera aderente alla contemporaneità, nella quale il soggetto narrativo, pur rievocato, non ingabbia la danza nel tentativo di raccontare qualcosa. Il libro dell’Amduat, una raccolta di testi funebri dell’antico Egitto, è lo spunto per mettere in scena il flusso continuo di nascita e morte espresso da movimenti fluidi e continui che, grazie alla musica di Thom Yorke e Radiohead, suscitano nello spettatore una meditazione o uno stato ipnotico. L’arte più statica della storia, quella figurativa dell’antico Egitto, è rievocata paradossalmente da passi che si susseguono senza soluzione di continuità, alternando movimenti ripetuti, quasi dei “temi”, come quella sorta di bourrée sul posto, interpretati da tutta la compagnia, a inserti di assoli e passi a due o a tre. Kratz dedica la stessa attenzione ai grandi passi, alle prese e ai salti così come ai gesti più minimi e circoscritti di mani e piedi. Difficile porre l’accento su un interprete migliore di un altro in questo balletto perfettamente corale. La scenografia e le luci collocano questo mondo antico in un eterno atemporale.

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Kratz / Preljocaj / De Bana

Il secondo pezzo, Annonciation, creato nel 1995 da Angelin Preljocaj, rievoca con forti rimandi visivi le annunciazioni pittoriche del Rinascimento, in particolare la celebre Annunciazione di Lorenzo Lotto a Recanati, con il potente saluto dell’angelo. L’effetto funziona però più per “fermo immagini” che non nella dinamica del movimento, un po’ sacrificata da una gestualità molto espressiva, sensuale, quando non violenta, quasi ambigua nel rapporto tra le due figure femminili, ma piuttosto rigida e slegata. Se la prima parte della coreografia con l’impetuoso ingresso dell’angelo che irrompe nell’intimità della Madonna funziona, non si capisce bene perché questa contrapposizione, che è storica e tautologica, viene annullata nella seconda parte nella quale le due figure ballano gli stessi passi, per poi tornare nel finale a riprendere i propri ruoli. Benché la qualità tecnica del movimento sia ineccepibile, in particolare quella di Agnese Di Clemente che interpreta la Vergine, la scelta musicale fatta di rumori, effetti sonori e silenzio in cui a brevi tratti si innesta Vivaldi rende il balletto, indubbiamente nel lontano 1995 un coraggioso esperimento, di non immediata assimilazione. Bellissime le luci di Jacques Châtelet che contribuiscono a quell’effetto di quadro pittorico che è l’aspetto meglio riuscito del pezzo.

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Kratz / Preljocaj / De Bana

Ad apertura di sipario le aspettative per Carmen di Patrick De Bana sono molto alte, coreografia inedita e pertanto molto attesa. Tuttavia se la musica è orecchiabile (un mix tra Rodion Ščedrin e il duo El Pele&Vicente Amigo) ed evocativa dell’ambientazione spagnola, la scenografia ricercata, con quel “brutalismo” a contrasto che piace, i costumi sontuosi (ma nemmeno troppo raffinati), le luci accattivanti, nel complesso la coreografia ha ben poco di originale e poco da dire. Nessun momento memorabile dal punto di vista della danza, benché gli spunti narrativi drammatici siano numerosi, ma la sensazione è che proprio il desiderio di raccontare una storia abbia allontanato il coreografo dal suo vero obiettivo che dovrebbe essere la ricerca della qualità del movimento e di un linguaggio coreografico proprio e inedito. Coviello resta tecnicamente ineccepibile, ma l’interpretazione migliore è quella mimica di Domenico Di Cristo nelle vesti del toro, rabbioso e sofferente insieme, accompagnato da un altrettanto bravo Emanuele Cazzato, la Morte che accompagna l’animale: il duo, che resta in scena dall’inizio alla fine, senza danzare, non ha un solo cedimento. 

Nonostante tutto il pubblico applaude, apprezza e non poco, perché in effetti il prodotto nell’insieme è ben confezionato e godibile, certo non memorabile.

Foto: Brescia Amisano Teatro alla Scala