Spettacoli

L’oro del Reno – Grand Théâtre, Monte-Carlo

All’Opéra di Monte-Carlo Das Rheingold.  

Una delle più impegnative ed importanti prove per un teatro è la messa in scena della tetralogia di Richard Wagner che ha sempre richiesto un enorme sforzo produttivo e artistico. Ne era perfettamente consapevole anche lo stesso compositore tanto che, già in una lettera del 1850, scriveva: “Ora intendo mettere in musica il mio Sigfrido; per poterlo un giorno rappresentare come si deve, sto facendo progetti particolari e audaci; perché si avverino avrei soltanto bisogno che un bravo zio avesse la buona idea di morire”.

In questa nuova edizione, oltre alla indubbia sfida produttiva si affianca una nuova ed interessante volontà, quella del Maestro Gianluca Capuano, figura ormai centralissima dell’opera monegasca e internazionale, che ha voluto, con un qualificato gruppo di ricerca e studio, lavorare intensamente sulla partitura e sulle fonti. I cambiamenti, rispetto alla prassi esecutiva wagneriana, sono i tempi che, perfettamente annotati dal compositore per le singole scene, diventano qui più concitati. Lo stesso Wagner auspicava, forse esagerando un po’, una durata complessiva dell’opera inferiore alle due ore; ma ciò che colpisce maggiormente é soprattutto il colore musicale che diviene, ora, quanto più possibile vicino all’originale. Quest’ultimo aspetto è reso possibile grazie all’uso di strumenti d’epoca risalenti alla metà dell’Ottocento, ad esempio archi con budello e fiati dal suono “parlante”. Si è lavorato, inoltre, sulla pronuncia dei cantanti per renderla più simile al tedesco in uso nella metà dell’Ottocento. Un Wagner che, riportato alle origini, suona meno monumentale e pletorico, una musica che permette anche un migliore equilibrio fra buca e palco non costringendo necessariamente i cantanti a mostruosi sforzi canori che invalidano ad esempio i tanti pianissimo. Un grande lavoro, che, per la prima volta al mondo, unisce questa ricerca filologica ad una messa in scena, oltretutto di assoluto pregio.

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L’oro del Reno, Opéra Monte-Carlo, 2025

La parte visiva dello spettacolo è affidata infatti ad un nome assai noto, quello del regista Davide Livermore che imposta tutta la narrazione attraverso gli occhi ed i giochi di un bimbo. Un espediente che, ad onta di un iniziale aspetto leggero, si incupisce, in alcuni frangenti, con rimembranze, in formato di video, che rimandano a guerre e tragedie della storia umana. Ancora prima che l’orchestra inizi a suonare, un filmato ci introduce ai giochi di questo giovane: l’aereo di carta da lui creato e lanciato in aria si materializza sul palco in un grande biplano in scala reale. Il velivolo, nelle varie scene, attraversa acque e terre di ghiaccio ricreate grazie ad un gigantesco e luminoso led wall. Come in tutte le ultime produzioni del regista genovese, un grosso lavoro è svolto dalle video proiezioni dei sempre eccezionali D-Wok, che ben si integrano con le scene dello stesso Livermore coadiuvato da Eleonora Peronetti e Paolo Gep Cucco. Fantasiosi ed ispiratissimi i costumi di Gianluca Falaschi, in particolare degni di menzione quelli delle Ondine e dei giganti Fasolt e Fafner, perfette anche le luci di Antonio Castro. Uno spettacolo visivamente ricco e appagante che pecca solo in alcuni passaggi il cui senso risulta poco chiaro rispetto al libretto. Un racconto che ci ha affascinato e avvinto soprattutto pensando a dove possa condurci dopo il finale, che ci lascia con un enigmatico e laconico: “ed ora a che gioco giocheremo?”.

Torniamo ora al versante musicale dello spettacolo. Abbiamo già introdotto le linee guida che hanno sorretto questo impegnativo progetto, ma è d’uopo ribadire l’impegno, la dedizione e la professionalità con cui Gianluca Capuano dimostra di essersi accostato a questo immenso capolavoro. Il fraseggio musicale viene miniato, scena dopo scena, in un magma sonoro inusuale forse, specie se vi si accosta con un approccio tipicamente “romantico”, ma non per questo meno incisivo o coinvolgente. Al primo ascolto, si veda ad esempio il celebre incipit della “creazione”, si rimane forse disorientati ma, dopo poco, lo spettatore viene trascinato in questa lettura e, alla fine, vinto dall’emozione. Le già citate scelte in termini di agogiche si rivelano qui decisive per rendere il racconto più fluido e conferire alla narrazione un taglio più immediato e diretto. Ne beneficiano i numerosi dialoghi presenti nel testo che diventano, così, rapidi ed incalzanti scambi di punti di vista spesso contrastanti, come nel confronto tra Fricka e Wotan o, ancora, tra quest’ultimo ed Alberich. Nella lettura di Capuano si coglie una visione d’insieme che non viene mai meno, un complesso ed articolato disegno di dinamiche che si innesta su di una architettura ben definita e saldamente coesa. Imprescindibile, per la buona riuscita della prova direttoriale, la qualità della compagine orchestrale, l’ensemble Les Musiciens du Prince-Monaco, splendida per duttilità e fluidità. In buca, pur con un organico ridotto rispetto quanto previsto in origine, si percepisce un notevole equilibrio tra le varie sezioni in un reticolato sonoro di cristallina trasparenza. Nel dare vita alla scrittura wagneriana, i fiati squillano con minore solennità, gli archi sembrano spiccare con minore esaltazione, i timpani, poi, vibrano come echi di una forza primordiale. Una esecuzione peculiare ma assai funzionale e di indubbio fascino; sarà sicuramente interessante scoprire l’evoluzione di questo approccio nelle prossime, auspicate, giornate dell’anello.

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L’oro del Reno, Opéra Monte-Carlo, 2025

Anche la scelta del cast non è lasciato al caso, ma appare assai azzeccata rispetto all’indirizzo dato dal podio.

Trionfa l’Alberich di Péter Kálmán, dalla vocalità importante e ben proiettata. La sicurezza e la facilità dell’emissione consentono di superare brillantemente le numerose difficoltà di una parte improba per resistenza fisica e vocale. La musicalità del fraseggio si rivela inoltre decisiva per assicurare la credibilità del personaggio, evidenziato nella sua lussureggiante cupidigia. Sopra ogni lode l’interprete, scenicamente coinvolto e magistrale nell’articolazione della frase musicale.

Christopher Purves è chiamato a vestire i panni di Wotan, il tormentato dio degli dei. L’artista possiede uno strumento screziato, puntuale nell’emissione e ben sfogato nella zona di passaggio. Particolarmente curato l’accento che, unito alla autorità della presenza scenica, concorre alla definizione di un personaggio particolarmente credibile e pertinente.

Wolfgang Ablinger-Sperrhacke presta a Loge la peculiare luminosità di uno strumento che si fa notare per limpidezza e nitore. Coadiuvato dalla lettura di Capuano, l’artista disegna un personaggio dall’accento ricercato e sofisticato, un carattere ambiguo a tratti beffardo e luciferino.

Deniz Uzun, in possesso di una vocalità dal pregevole velluto, è una Fricka di elegante compostezza, nell’emissione, solida e ben appoggiata, come nella gestualità, valorizzata con algida solennità.

La dolcezza e la musicalità del timbro di Melissa Petit sono perfetti per dare vita alla femminilità e al candore di Freia, forse la più umana tra tutti gli dei. La squisita luminosità di un timbro cristallino si unisce al palpitante fervore dell’accento e definisce una prova davvero ben riuscita. L’artista, inoltre, dotata di innegabile charme, compare già nella prima scena dell’opera come Woglinde, una delle tre figlie del Reno, caratterizzandola con il giusto fascino seduttivo.

Centrata ed efficace la caratterizzazione dei due giganti, qui interpretati da David Soar e Wilhelm Schwinghammer. Con la giusta enfasi scenica, accompagnata da pregevole intensità vocale, i due artisti sottolineano al meglio le differenze tra i due personaggi e, in particolare, l’ingenuità di Falsot e lo spietato opportunismo di Fafner. 

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L’oro del Reno, Opéra Monte-Carlo, 2025

In evidenza il Mime di Michael Laurenz dalla vocalità corposa che si fa apprezzare, in particolare, per espansione e squillo della linea. Incisivo e carismatico l’interprete.

Omer Kobiljak conferisce al personaggio di Froh una linea di canto melodiosa e una disinvolta presenza scenica.

Pregevole anche il Donner di Kartal Karagedik del quale ricorderemo, in particolare, il celebre “incanto del tuono”.

Ekaterina Semenchuk è una Erda di lusso, scolpita con un canto denso e pastoso e accenti di profetica sollennità.

Ottime, infine le Figlie del Reno che, oltre alla già citata Woglinde di Melissa Petit, contemplano Kayleigh Decker e Alexandra Kadurina, nei ruoli, rispettivamente, di Wellgunde e Flosshilde. Da ricordare, in particolare, l’armonia timbrica e vocale tra le tre interpreti, oltre al riuscitissimo gioco scenico di seduzione.

Dopo aver assistito alla rappresentazione con grande attenzione, il numerosissimo pubblico della Salle Garniér esplode al termine in un grande boato di applausi e riserva accoglienze calorose a tutto il cast, oltre che a Gianluca Capuano.

La strada è tracciata e possiamo ora solo sperare che questo interessante progetto monegasco possa trovare felice prosecuzione nelle prossime stagioni.

Das Rheingold
(Der Ring des Nibelungen)
Prologo in un atto
Versi e musica di Richard Wagner
 
Wotan Christopher Purves
Donner Kartal Karagedik
Froh Omer Kobiljak
Loge Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
Alberich Péter Kálmán
Mime Michael Laurenz
Falsot David Soar
Fafner Wilhelm Schwinghammer
Fricka Deniz Uzun
Freia Melissa Petit
Erda Ekaterina Semenchuk
Woglinde Melissa Petit
Wellgunde Kayleigh Decker
Flosshilde Alexandra Kadurina
 
Les Musiciens du Prince-Monaco
Direttore Gianluca Capuano
Regia Davide Livermore
Scene Davide Livermore, Eleonora Peronetti e Paolo Gep Cucco
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-Wok
Coreografia Gareth Mole

Foto: OMC – Marco Borrelli