La Wally – Teatro Filarmonico, Verona
Per la prima volta al Teatro Filarmonico di Verona La Wally di Alfredo Catalani.
“Su le dentate scintillanti vette
salta il camoscio, tuona la valanga
da’ ghiacci immani rotolando per le selve scroscianti:
ma da i silenzi de l’effuso azzurro
esce nel sole l’aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero
volo solenne.”
Questi versi di Giosuè Carducci celebrano i monti del Piemonte ma si addicono anche, perfettamente, a quelli dell’alto Tirolo, dove è ambientata La Wally di Alfredo Catalani. Un’opera, oggi raramente rappresentata, andata in scena per la prima volta alla Scala il 20 gennaio 1892, con un libretto di Luigi Illica tratto dal romanzo Die Geier-Wally (1875) di Wilhelmine von Hillern. L’alllestimento visto al Teatro Filarmonico di Verona è frutto di una coproduzione fra la Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, la Fondazione Teatri di Reggio Emilia e il Teatro del Giglio di Lucca, uno spettacolo che avevamo già avuto modo di applaudire al suo primo debutto a Piacenza nel 2017.
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A distanza di qualche anno, questa edizione con la regia di Nicola Berloffa e le scene di Fabio Cherstich, risulta sempre piacevole e godibile. Si delineano, per mezzo di un allestimento tradizionale, gli scorci del paese alpino e gli interni delle abitazioni. Grazie all’uso di più piani praticabili in altezza, il regista ottiene risultati apprezzabili nelle non semplici scene come quella della calata nel burrone. L’uso del fumo bianco evoca con una certa credibilità le nuvole di alta quota e di quando in quando un’efficace neve di carta rende ancora più convincente e accattivante l’insieme. Peccato solo per una certa tendenza all’horror vacui che porta in alcuni momenti ad una scena visivamente stracolma di comparse che quasi faticano a muoversi. Un buon lavoro, nel complesso, anche grazie ai deliziosi costumi tirolesi di Valeria Donata Bettella e alle riusciti luci di Valerio Tiberi che ben sottolineano gli effetti atmosferici sul fondale nero.
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Il versante musicale dello spettacolo trova nella concertazione di Antonio Pirolli uno dei propri punti di forza. Il direttore romano riesce a trarre dalla partitura un magma sonoro denso e vellutato, conferendo così al racconto una tinta tipicamente espressionista. Una lettura piuttosto coinvolgente che consente, tra l’altro, di porre ben in evidenza le numerose tematiche contenute nel componimento: la frenesia amorosa, l’irruenza e il tormento della protagonista, la marcata caratterizzazione dell’elemento naturale e la sua conflittualità con l’uomo. Un affresco sonoro che racchiude una varietà stilistica, in bilico tra tradizione ed innovazione, qui ben sottolineata dalla tavolozza di colori e dalle agogiche adottate. Il gesto direttoriale viene, poi, adeguatamente sostenuto dai complessi strumentali della Fondazione Arena di Verona, capaci di restituire un suono duttile e malleabile.
Complessivamente equilibrato il rapporto con il palco, dove si esibisce compagnia di canto di buon livello.
Eunhee Maggio, in possesso di uno strumento musicale e piacevolmente timbrato, affronta per la prima volta il ruolo del titolo. Il caratteristico colore chiaro della linea, complessivamente di buona morbidezza, consente di far risaltare, in particolare, il registro centrale e la prima ottava. Vinta una prima, comprensibile, emozione, il soprano sigla una prova in crescendo e, acquisita la giusta consapevolezza, raggiunge un esito significativamente felice negli ultimi due atti. In evidenza è, senza dubbio, l’interprete che, grazie ad un fraseggio curato e ben sfumato, riesce a sbalzare, con adeguata efficacia, le varie sfaccettature del personaggio, facendo emergere, soprattutto, la femminilità e l’umanità di questa donna volitiva ma, al tempo stesso, anche profondamente fragile.
Carlo Ventre, dalla vocalità ampia e stentorea, veste i panni di Giuseppe Hagenbach. Si impongono, senza dubbio, lo squillo e la proiezione del registro superiore che ben si addicono a rappresentare il carattere appassionato ed irruente del personaggio.
Ottimo il Gellner di Youngjun Park, in luce per la sicurezza e la luminosità di una linea preziosa e rigogliosa. Sempre pertinente l’accento, articolato con compostezza e verità teatrale.
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Eleonora Bellocci si mette in evidenza, anche in questa occasione, per puntualità e freschezza del fraseggio musicale. Deliziosa, tra l’altro, l’esecuzione della “Canzone dell’edelweiss”, ricamata con suggestivi effetti chiaroscurali. Spigliata e partecipe la presenza scenica.
Degna di nota la prova di Gabriele Sagona che, con il caratteristico timbro serotino, dà voce all’autorità paterna di Stromminger. Di livello anche l’interprete, aulico ed imperioso nell’accento.
Positiva la prova di Marianna Mappa, una Afra passionale ed orgogliosa.
Completa la locandina il bravo Romano Dal Zovo con la sua incisiva interpretazione del Pedone di Schnals.
In grande spolvero il Coro della Fondazione Arena di Verona, guidato con encomiabile professionalità da Roberto Gabbiani. Ammirevole, in particolare, la capacità di ricercare il colore, l’intensità e l’intenzione sempre appropriati ad esaltare la valenza drammaturgica del momento.
Nonostante i numerosi, troppi per la valenza e la rarità del titolo, vuoti in sala, lo spettacolo viene salutato da calorosi applausi con punte di maggiore entusiasmo per i protagonisti e direttore.
LA WALLY
Opera lirica in quattro atti
Musica di Alfredo Catalani
Libretto di Luigi Illica
Wally Eunhee Maggio
Stromminger Gabriele Sagona
Afra Marianna Mappa
Walter Eleonora Bellocci
Giuseppe Hagenbach Carlo Ventre
Vincenzo Gellner Youngjun Park
Il Pedone di Schnals Romano Dal Zovo
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Direttore Antonio Pirolli
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Nicola Berloffa
Scene Fabio Cherstich
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Valerio Tiberi
Foto: EnneviFoto