Spettacoli

Giulio Cesare – Modena, Teatro Pavarotti-Freni

Il Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel  andato in scena al Teatro Comunale Pavarotti- Freni di Modena è spettacolo di grande fascino e complessità, laddove la perfezione di una musica che trasfigura gli affetti si sposa con l’incanto di un teatro umano troppo umano, che indaga e rappresenta ambizioni e fragilità. Ottavio Dantone, alla guida dell’Accademia Bizantina, plasma infatti forme di luminosa e trasparente bellezza, con tempi brillanti e distensioni contemplative, nella precisone del suono, sempre pieno e voluminoso, e nella varietà della dinamica; per altro verso, la sua lettura ci svela le potenzialità drammaturgiche della partitura, non riducendola ad un puro e semplice susseguirsi di momenti estatici, ma anzi conferendo ritmo e respiro alla narrazione, nel cesello delle arie come nell’originale caratterizzazione di ogni recitativo.

La regia di Chiara Muti, da parte sua, si muove in una direzione del tutto analoga, esaltando la drammaturgia di musica e libretto e creando al contempo una moderna teatralizzazione dell’opera barocca. Se da un lato i personaggi tendono ad essere simbolici, iconici, quasi forme archetipiche, dall’altro le loro passioni sono descritte secondo un immaginario contemporaneo, dove anche i passaggi più astratti e virtuosistici vengono utilizzati per connotare pulsioni e nevrosi. L’impianto della rappresentazione ci si presenta fortemente ispirato dal classico, con geometrie da tragedia antica e dramma shakespeariano, accogliendo tuttavia in sé un’ampia gamma di riferimenti alla meraviglia barocca, al Settecento e alla nostra attualità. Emblematico in questo l’eclettismo dei costumi di Tommaso Lagatolla, le cui fogge spaziano dall’Egitto al rococò e arrivano ai nostri giorni.

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Raffaele Pe e Marie Lys


Al centro della scena, disegnata da Alessandro Camera, campeggia una grande testa di Pompeo, il cui omicidio innesca l’azione ma che ci si offre come maschera del potere e del suo narcisismo, e quindi anche volto di Cesare, che si autoincorona, e di ogni altro personaggio: struttura i cui frammenti riflettenti si separano e si riaggregano, nella ricerca polifonica delle diverse identità. Particolarmente suggestivo l’inizio che richiama il destino e le Parche, così come il finale della prima parte, dove l’ombra del padre pare una citazione di Amleto. E al “Sogno di una notte di mezza estate” fa pensare l’amore tra Cesare e Cleopatra, una sovrapposizione un po’ forzata ma che comunque funziona, così come la congiura in senato che avviene in trasparenza, tra sogno e profezia. Appaiono invece eccessivi e poco pertinenti i medici che sedano uno psicotico Tolomeo, il banchetto con le torte e gli stupri con parrucche e manichini nel boudoir libertino.
Grazie ad un abile impiego del palcoscenico, l’intera rappresentazione si organizza simultaneamente su molteplici piani di profondità, dal fondale al proscenio, con i movimenti attentamente ritmati sulla musica e con le luci di Vincent Longuemare che ritagliano atmosfere caravaggesche, dove i contrasti cristallizzano tele sontuose e suggestivi fermi immagine.

Ad animare vivacemente questa splendida cornice è la notevole bravura degli interpreti, con talenti diversi e complementari che si esprimono in una ricca varietà di canto e di recitazione.
In primis, si distingue per duttilità e presenza scenica il Giulio Cesare di Raffaele Pe, dall’emissione morbida, voluminosa e dal particolarissimo timbro ambrato. Energico ed incisivo in “Presti omai l’egizia terra”, esordisce tuttavia con qualche spigolosità nei passaggi virtuosistici, subito superata nelle arie che seguono, dove il canto diviene levigato e smagliante. Autorevole e solare in “Va tacito e nascosto” in dialogo con il corno, esibisce una straordinaria capacità di modulazione in “Se in fiorito ameno prato”, con raffinate agilità e un coinvolgente stile giocoso. Il personaggio riesce quindi efficacemente sbalzato tanto nelle parti eroiche quanto nelle scene amorose, per far emergere infine una vena struggente e malinconica in “Aure, deh, per pietà spirate”, delineata con drammatica trasparenza e commovente delicatezza.

Marie Lys da parte sua tratteggia una Cleopatra di grande puntualità e fantasia nell’espressione, mettendone in luce gli aspetti leggeri e brillanti, come quelli più tragici e appassionati. La vocalità è omogenea e di grande sicurezza in ogni registro, di ottima estensione e di particolare consistenza negli acuti. In “Tu sei la mia stella” e in “Pupille vi adoro” mostra una grande varietà di accento e una saldissima tenuta delle note, creando inoltre accurati effetti di forte e di piano. Sempre di grande eleganza, rende “Piangerò la sorte mia” con vocalizzi definiti e una toccante sofferta dolcezza.

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Davide Giangregorio e Delphine Galou

La Cornelia di Delphine Galou spicca per suo conto per l’intensa drammaticità, delineata con un fraseggio scolpito anche se di moderato volume. Puntuale e lacerante ogni sua aria e ricco di emozione il suo duetto con Sesto.

Quest’ultimo è interpretato con grinta e rigore da Federico Fiorio, di ottima estensione e consistenza. Con una proiezione cristallina definisce con intensità tanto le arie di furore quanto quelle più dolenti, tra cui “Cara speme, questo core” resa con estenuato languore. Un Sesto che è un Telemaco con tratti da Amleto, forte e delicato, travolgente per emozione soprattutto nell’ampia sequenza di “L’angue offeso mai riposa”

Di grande originalità l’interpretazione di Filippo Mineccia che crea un Tolomeo nevrotico ed ambiguo, nelle smanie per il potere e nelle mollezze della sensualità. Personaggio vivacissimo e camaleontico, con un canto preciso e marcato, con validi effetti di chiaro e di scuro nell’alternanza di gravi ed acuti. Assai melodico nell’arioso “Belle dee di questo core”, rende poi “Domerò la sua fierezza” con forza e passaggi smaltati.

Ha una voce rotonda e compatta Davide Giangregorio nel ruolo di Achilla. Con vigore ed ampiezza melodica sbalza “Dal fulgor di questa spada”e forgia il recitativo dell’agonia in un modo alquanto convincente ed originale.

Con un’emissione robusta e accurata Clemente Antonio Daliotti interpreta Curio, mentre Andrea Gavagnin è un Nireno di nitida omogeneità e precisione.

Lo spettacolo, che potrà essere rivisto su Opera Streaming e nei teatri che lo hanno coprodotto, ha molto coinvolto il pubblico in sala, con particolari entusiasmi a scena aperta per Pe, la Lys e Fiorio. Molto applaudita la Galou e un tripudio per Dantone e l’Accademia Bizantina.

GIULIO CESARE

Georg Friedrich Händel
Dramma musicale in tre atti
Libretto di Nicola Francesco Haym
da Giulio Cesare in Egitto di Giacomo Francesco Bussani

Giulio Cesare Raffaele Pe
Cleopatra Marie Lys
Achilla Davide Giangregorio
Cornelia Delphine Galou
Tolomeo Filippo Mineccia
Sesto Federico Fiorio
Nireno Andrea Gavagnin
Curio Clemente Antonio Daliotti

Accademia Bizantina

Direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
Regia Chiara Muti
Scene Alessandro Camera
Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Vincent Longuemare

Coproduzione Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro del Giglio di Lucca, Fondazione Haydn di Bolzano e Trento

Foto: Rolando Paolo Guerzoni