Spettacoli

Falstaff – Teatro alla Scala, Milano

Falstaff secondo Giorgio Strehler torna alla Scala di Milano.

Continua, al Teatro alla Scala, la meritevole riproposta degli allestimenti storici di Giorgio Strehler, questa volta il verdiano Falstaff, visto per la prima volta al Piermarini il sette dicembre 1980. Una operazione questa, di riscoperta e, perché no, anche di inedita proposta, per le nuove generazioni, del lavoro del regista triestino, indissolubilmente legatosi a Milano ed al suo macrocosmo teatrale. Iniziativa che non possiamo che amare e lodare perché vedere oggi un’opera firmata da Giorgio Strehler é e resta una grande lezione sul fare teatro e sul fare regia. Insegnamenti attualissimi, che riescono ad arrivare oggi forti come allora grazie anche al lavoro attento e puntualissimo di Marina Bianchi che, con grande amore e rispetto, ha saputo riportare, nel migliorie dei modi, questo allestimento sul palco.

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Ambrogio Maestri

In quarantacinque anni la moda registica e sicuramente il gusto del pubblico sono cambiati, è inevitabile, ma, a parere di chi scrive, la lezione strehleriana fatta di infinita attenzione, dí intuizioni geniali e di passione pura e totale per il teatro non può e non deve mai essere dimenticata. Per chi non avesse visto lo spettacolo, riproposto più volte negli anni dalla Scala, l’ultima fu nel 2004, ricordiamo come il regista abbia trasposto l’azione dalle campagne di Windsor a quelle della “bassa parmense”. Idea felicissima perché, come ci ricorda Emilio Sala nel programma: “Verdi affermò che il luogo più adatto per rappresentare la sua nuova opera non fosse più il Teatro alla Scala ma la Villa Sant’Agata”. Eccoci allora nelle campagne bussetane in una giornata piena di sole, immersi nei campi e nei casolari in mattone (scene di Ezio Frigerio riprese da Leila Fteita) e, in ultimo atto, in un concitato sabba che avviene sulle rive del Po con i suoi tipici barconi. Ma non tutto ci parla strettamente dei luoghi verdiani, i costumi, di splendida fattura, sempre a firma di Frigerio, ricordano più da vicino il seicento inglese creando una particolare e riuscita contaminazione visiva. Un discorso a parte meritano le luci di Marco Filibeck, assolutamente splendide e riuscitissime e che ben scandiscono il trascorrere della giornata. Resta da segnalare però, in primo atto, come l’effetto ombra, pur previsto dal regista sia decisamente esagerato lasciando i cantanti ad esibirsi al buio, molto di più di quanto avviene nella notte di terzo atto. In ultima analisi uno spettacolo visivamente riuscitissimo consigliato sia ai neofiti che ai nostalgici ma soprattutto a coloro che vogliono capire cosa sia essere, ieri come oggi, un grande regista.

Dopo otto anni di assenza, Daniele Gatti torna ora sul podio del Piermarini. Il direttore milanese conosce bene il capolavoro verdiano e, attraverso una lettura minuziosa ed efficace, conferisce alla partitura una suggestiva tinta crepuscolare. La scelta dei tempi, in equilibrio perfetto tra concitazione e sospensione, e delle dinamiche, pennellate con squarci sonori di vivida bellezza, assicurano al racconto il giusto impulso teatrale. Una concertazione ben congeniata, dalla quale si sprigiona tutta la modernità di questa commedia musicale dal sapore agrodolce, una malinconica riflessione sull’amore declinato in tutte le sue sfaccettature. Sonorità più morbide e delicate sottolineano la tenera purezza degli incontri tra Fenton e Nannetta, altre più rotonde ed appassionate vengono, poi, riservate alle schermaglie dei coniugi Ford. Suscitano ammirazione, infine, le soluzioni ritmiche, articolate con opportuni effetti chiaroscurali, con cui Gatti accompagna le improbabili avventure amorose del protagonista. Una prova direttoriale di livello, coadiuvata dall’ottimo apporto della orchestra scaligera, in evidenza per duttilità e brillantezza sonore. Pregevole anche il rapporto con il palcoscenico anche se, specie in alcuni punti, si potrebbe auspicare un volume orchestrale meno effervescente.

A vestire i panni del protagonista è, ancora una volta Ambrogio Maestri, considerato oggi interprete di riferimento per questo ruolo. La frequentazione del personaggio negli anni ha fatto sì che il baritono abbia raggiunto, oggi, un livello di immedesimazione assoluta con Falstaff, del quale Maestri restituisce ogni inflessione e ogni sfaccettatura. Anche scenicamente non v’è posa o movimento che l’artista lasci al caso. Sotto il profilo vocale, tuttavia, la prova non è irreprensibile e si contano diverse difficoltà nella tenuta complessiva della parte, pur mascherate con ottimo “mestiere” grazie alla già citata statura dell’interprete.

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Rosa Feola, Rosalia Cid, Marianna Pizzolato e Martina Belli

Luca Micheletti, al suo debutto nel ruolo, è un ottimo Ford. Anche in questa occasione ritroviamo nel baritono bresciano la bellezza e la morbidezza di uno strumento prezioso che si staglia, omogeneo e sicuro, in tutti i registri. Destano ammirazione, inoltre, la composta disinvoltura delle movenze sceniche e, soprattutto, la ricercatezza del fraseggio, sorprendentemente efficace e moderno. Il monologo di secondo atto “E’ sogno? O realtà?”, eseguito con accenti di vibrante teatralità, costituisce, senza dubbio, uno dei momenti più alti dell’intera serata.

Altro debutto nel ruolo è quello di Rosa Feola che presta ad Alice Ford una vocalità importante e ben sfogata in tutti i registri. Alla pienezza e rotondità dei centri si unisce la luminosità di una regione acuta salda e piacevolmente timbrata. Coadiuvata dall’elegante presenza scenica, poi, l’interprete sa essere composta e coinvolta, nelle movenze come nell’accento.

Bravissimo il Fenton di Juan Francisco Gatell, dall’emissione morbida e ottimamente proiettata. La accorata passionalità del fraseggio musicale sembra, inoltre, perfetta a disegnare il fervente ardore del giovane innamorato.

Suo perfetto contraltare è la Nannetta di Rosalia Cid che si impone per la freschezza e il fascino di una linea leggiadra che si prodiga in filati di sognante dolcezza. Pertinente e partecipato anche l’accento, pervaso da tenero abbandono.

Convince Marianna Pizzolato nel ruolo di Mrs. Quickly. Alla sicurezza di una organizzazione vocale complessivamente solida e naturale, anche nelle note più gravi, si unisce l’ironia di un accento sbalzato con estro ed incisività.

A completare il quartetto delle comari è la Mrs. Meg della brava Martina Belli, dalla linea sonora e vellutata. Lo charme e la divertita ironia della presenza scenica concorrono alla riuscita della sua prova.

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Luca Micheletti

Ben assortita e scenicamente spassosissima, la coppia dei servitori di Falstaff: il tonante Pistola di Marco Spotti, dal timbro serotino, e l’efficace Bardolfo di Christian Collia, dall’organizzazione complessiva salda e sicura.

Antonino Siragusa, con il caratteristico squillo del proprio strumento, è un Dottor Cajus di lusso.
Di impareggiabile bravura il piccolo Giovanni Tibaldi, nei panni di Robin, il paggio di Falstaff.
Completa la locandina Mauro Barbiero nel ruolo dell’oste della Giarrettiera.

Notevole, come sempre, la prestazione del coro scaligero, condotto con mirabile perizia di tinte e di colori da Alberto Malazzi.

Successo caloroso al termine. Risultano poco condivisibili e comprensibili, nell’opinione di chi scrive, le contestazioni rivolte a Gatti al suo apparire alla ribalta nella passerella finale degli applausi.

FALSTAFF
Commedia lirica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi

Sir John Falstaff Ambrogio Maestri
Ford Luca Micheletti
Fenton Juan Francisco Gatell
Dott. Cajus Antonino Siragusa
Bardolfo Christian Collia
Pistola Marco Spotti
Mrs. Alice Ford Rosa Feola
Nannetta Rosalia Cid
Mrs. Quickly Marianna Pizzolato
Mrs. Meg Page Martina Belli
L’oste della Giarrettiera Mauro Barbiero
Robin, paggio di Falstaff Lorenzo Forte

Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniele Gatti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Giorgio Strehler, ripresa da Marina Bianchi
Scene e costumi Ezio Frigerio
Scene riprese da Leila Fteita,
Supervisione dei costumi Franca Squarciapino
Luci Marco Filibeck
Coreografia Anna Maria Prina

Foto: Brescia Amisano – Teatro alla Scala