Pagliacci – Bologna, Comunale Nouveau
Pagliacci di Ruggero Leoncavallo andato in scena a Bologna ci si presenta come un piccolo grande dramma di provincia nella forma di una sublime tragedia, in un’edizione che nel suo complesso eccelle tanto per tecnica quanto per emozioni.
Prima punta di diamante di questo spettacolo è la direzione di Daniel Oren, che plasma una drammaturgia musicale di notevole intensità, avvalendosi di una narrazione fluida e al contempo assai varia e articolata e realizzando un racconto compatto ma di grande elasticità, in uno stretto collegamento tra la buca ed il palco. Il suono dell’Orchestra è preciso e voluminoso fin dalla Sinfonia, che attacca con piglio brillante e accenti marcati, per incorniciare poi le increspature drammatiche della sezione centrale con rallentamenti espressivi e un’accurata regolazione dell’intensità. Vivace e ben amalgamata la scena iniziale con le masse compatte e vibranti del Coro, diretto da Gea Garatti Ansini, e delle Voci bianche, guidate da Alhambra Superchi, e con la musica degli zampognari resa in midi screziai e rotondi. Di grande lirismo il duetto d’amore, con tempi distesi e una sfogata cantabilità, dove spicca un suggestivo momento in pianissimo, con il suono ridotto ad un sibilo che ricresce potente fino ad una superba esplosione da orchestra wagneriana. Altrettanto maestosa la chiusura del primo atto, con battute incisive e turgide sonorità. Dopo un Intermezzo languido e coinvolgente, la seconda parte riprende con una conduzione delicata e squadrata in linea con le atmosfere quasi settecentesche, mentre in seguito il flusso sonoro si ispessisce di nuovo nella parte drammatica, punteggiato da variazioni agogiche e da effetti dinamici. Colpiscono ancora gli accurati pianissimo, in particolare quello sulle ultime parole di Canio, con un debolissimo palpito da cui si staglia un finale imponente.
L’interpretazione di Gregory Kunde è l’altro vertice di questa produzione. Il suo Canio è di potente espressività, con un fraseggio scolpito e minuzioso, nel complesso assai luminoso anche se la prima romanza presenta qualche opacità. Sempre di traboccante energia, è furente nella scoperta del tradimento e intona “Vesti la giubba” con acuti saldi e lucenti, alternando con estrema perizia le mezze voci a un canto spiegato. Un’esecuzione profondamente toccante in una sala sopraffatta dall’emozione.
E’ alquanto incisivo l’intero secondo atto, con un “Pagliaccio non sono” di acceso vigore e sorvegliata modulazione, fino a chiudere l’opera con un assertivo e disperato “La commedia è finita”.
Molto intensa ed emozionante anche la prova di Mariangela Sicilia, che interpreta una Nedda appassionata e sensuale, di ampia estensione e dalla linea elegante. In “Qual fiamma avea nel guardo” ha vocalizzi definiti e voluminosi e fiati tenuti con grande sicurezza; è poi sprezzante e drammatica con Tonio, lirica con Silvio. Originale e commovente nei panni di Colombina, mentre tenta di essere meccanicamente comica mentre ormai tutto sta inesorabilmente volgendo alla tragedia.
Claudio Sgura da parte sua è un Tonio crudo e magnetico, un po’ Jago e un po’ Rigoletto, capace di slanci appassionati come di lucida crudeltà- aspetti che vengono vividamente raffigurati soprattutto nel dialogo con Nedda. Fin dal Prologo la dizione è scavata e il fraseggio ben strutturato, in una ricca espressività che mette in luce il potere della parola.
Mario Cassi nel ruolo di Silvio, pur con un canto non troppo legato e brillante, ha un ampio respiro melodico e accenti marcati, creando così un personaggio pieno di impeto e passione.
Ha una proiezione chiara e omogenea unita ad una valida recitazione il Beppe di Paolo Antognetti, che come Arlecchino plasma la serenata in una forma luminosa e smaltata.
Delineati con appropriato rilievo anche i due Contadini di Sandro Pucci e Francesco Amodio.
Se l’opera di Leoncavallo crea più livelli di finzione con Prologo, azione e commedia dell’arte come teatro nel teatro, la regia di Serena Sinigaglia riprende ed aumenta questa complessità, inserendo la rappresentazione in una cornice da backstage in divenire e mostrandoci la produzione nel suo prendere forma. All’inizio soltanto una pedana campeggia al centro del palco, che viene poi delimitato da bassi filari di fieno che evocano e definiscono simbolicamente un’Italia contadina in cui viene ambientata la vicenda. Lo spazio allungato e contenuto del Comunale Nouveau viene sfruttato con profitto dalle scenografie di Maria Spazzi, mentre movimenti rigorosi e ben coordinati consentono di riempire ordinatamente la scena e di far emergere la dimensione corale del dramma. Così durante la romanza di Canio i contadini che falciano l’erba non solo ci ricordano la morte e la vanità di ogni cosa, ma sembrano dirci che tutto il mondo è un palcoscenico, e quindi anche esssi, come Pagliaccio, sono costretti a recitare la loro parte. Costruito con grande attenzione è lo spettacolo delle maschere, che viene realizzato come una sorta di veglia nell’aia, con tanto di sedie portate da casa. I costumi di Carla Teti per la gente del popolo sono semplici e dimessi, quasi a instaurare una continuità tra verismo e cinema neorealista, mentre quegli settecenteschi della commedia sono sgualciti e posticci a decretarne la distanza e a ribadire l’artificio. Le luci di Claudio De Pace definiscono con veridicità il crepuscolo e i notturni e rendono particolarmente suggestiva la scena conclusiva, investendo il corpo di Nedda ormai esanime con un fascio abbagliante che ne esalta il rosso del sangue e il candore dell’abito.
Alla fine un vero trionfo. Oren e l’Orchestra vengono applauditi con il sipario ancora chiuso e tutti gli interpreti sono accolti con grandissimo entusiasmo. Travolgente il tripudio per Kunde, applauditissimo anche nel finale del primo atto.
PAGLIACCI
Musica e libretto di Ruggero Leoncavallo
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Maestro del Coro Voci Bianche Alahmbra Superchi
Regia Serena Sinigaglia
Scene Maria Spazzi
Costumi Carla Teti
Luci Claudio De Pace
Personaggi e interpreti
NEDDA / COLOMBINA Mariangela Sicilia
CANIO / IL PAGLIACCIO Gregory Kunde
TONIO / TADDEO Claudio Sgura
BEPPE / ARLECCHINO Paolo Antognetti
SILVIO Mario Cassi
UN CONTADINO Sandro Pucci
UN ALTRO CONTADINO Francesco Amodio
Orchestra, Coro, Coro Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Foto: Andrea Ranzi