La Gioconda – Teatro Massimo Bellini, Catania
Dopo una lunga assenza (l’ultimo allestimento era stato quello del febbraio 2006), torna al Teatro Massimo Bellini di Catania La Gioconda, il capolavoro di Amilcare Ponchielli su libretto di Tobia Gorrio, pseudonimo anagrammato di Arrigo Boito, poeta tra i maggiori esponenti della Scapigliatura milanese e noto anche come musicista, in particolare per la sua opera Mefistofele. L’opera di Ponchielli è il degno gran finale di stagione per il cartellone di Opere e Balletti 2024, un anno in cui l’ente lirico etneo ha confermato con ogni titolo l’altissima qualità della proposta artistica, facendo registrare il tutto esaurito per gran parte delle recite. Interamente realizzato dal Teatro Massimo Bellini, lo spettacolo vede sul podio il maestro Fabrizio Maria Carminati, che si distingue sempre per rigore e passione alla guida dell’Orchestra, il maestro Luigi Petrozziello direttore del Coro; regia e scene sono di Francesco Esposito, che insieme a Giovanna Adelaide Giorgianni cura anche i costumi. Il design delle luci è realizzato da Antonio Alario e le coreografie di Domenico Iannone sono portate in scena dal Corpo di ballo AltraDanza. Il Coro Voci Bianche “InCanto” è diretto da Alessandra Lussi. Il cast vocale è di assoluto prestigio e vede nel ruolo del titolo il soprano di fama mondiale Anna Pirozzi, per la prima volta sul palcoscenico etneo.
L’opera del compositore cremonese, esponente della “giovane scuola” che cercava di innovare il linguaggio operistico pur rispettando la tradizione verdiana, ebbe una genesi molto travagliata, con numerose riscritture e richieste di modifiche al libretto rivolte a Boito. Anche dopo il successo del debutto al Teatro alla Scala di Milano il 18 aprile 1876, Ponchielli lavorò a tagli e modifiche della partitura per ridurne la durata complessiva, giudicata troppo lunga, e riuscire a trovare un giusto equilibrio tra il raffinato ma tortuoso libretto di Boito e la propria espressione musicale genuina e fluida. La fonte letteraria è il dramma di Victor Hugo Angelo, tyran de Padoue, cui Boito si ispira molto liberamente adattando il soggetto con l’introduzione del personaggio di Barnaba e la ridefinizione degli altri personaggi.
Il dramma di Hugo viene riscritto dal poeta scapigliato in chiave simbolica, arricchendo la vicenda di non celate inverosimiglianze e di diversi momenti metateatrali, tra cui la barcarola intonata da Barnaba per far amicizia con i pescatori e la celebre “Danza delle Ore” con la quale Alvise intrattiene i suoi ospiti prima di impressionarli con il presunto cadavere di sua moglie Laura, la quale in realtà è solo apparentemente morta in quanto Gioconda ha sostituito l’ampolla con il veleno con una contenente un potente sedativo che induce un sonno talmente profondo da simulare la morte. La complessità della trama si manifesta in scena grazie alla funzione drammaturgicamente centrale di protagonisti come Gioconda, Barnaba e Alvise. Per la sua ricchezza di effetti e colpi di scena, la sua spettacolarità e il suo essere teatro a tutto tondo fatto di musica, canto, recitazione e danze, La Gioconda è considerata rappresentativa della grande opera sul modello del grand opéra francese.
L’ambientazione nella Venezia del XVII secolo è riconoscibile in questa Gioconda a Catania fin dalla prima apertura di sipario: sul palcoscenico si staglia un imponente leone di S. Marco che il sapiente gioco di luci di Antonio Alario fa risaltare nella sua bellezza dorata. Sotto le sue grandi ali si dipana una storia di amore, gelosia, sacrificio e redenzione che, attraverso una serie di colpi di scena, culmina nel gesto estremo di Gioconda, la quale sceglie la morte per sfuggire al diabolico Barnaba e salvare la vita della rivale in amore Laura. Le scelte di Francesco Esposito nella doppia veste di regista e scenografo ci consegnano uno spettacolo suggestivo che rientra nei canoni estetici tradizionali di un melodramma inteso come teatro totale.
Le magnifiche scene, nella loro policroma varietà e realistica efficacia, riescono a delineare adeguatamente luoghi ed ambienti di una Serenissima opulenta e seducente che è lo sfondo perfetto per una narrazione coinvolgente, a tratti inquietante e misteriosa (si pensi all’insinuante accusa di stregoneria che Barnaba muove nei confronti della Cieca, madre di Gioconda). Notevole e di grande effetto nei quattro atti è l’alternanza tra gli sfarzosi palazzi nobiliari dei potenti veneziani, con espliciti richiami agli affreschi del Veronese a Villa Barbaro (Maser) nel ricevimento alla Ca’ d’Oro del III atto, ed ambienti più legati alla quotidianità lagunare come il brigantino con i marinai che cantano del II atto, di indubbio impatto visivo e teatrale, o infine l’atrio di un palazzo diroccato nell’isola della Giudecca dove si svolge l’azione conclusiva del IV atto. Esposito cura anche i costumi in collaborazione con Giovanna Adelaide Giorgianni, conferendo alla recita una policromia ricca e vivace che si apprezza maggiormente nelle numerose parti corali; unica eccezione al tripudio di colori è il nero integrale (forse un riferimento luttuoso?) indossato dalle ballerine di AltraDanza per la popolare, allegorica “Danza delle Ore” del III atto, le cui coreografie, curate da Domenico Iannone, sono ben eseguite con delicati movimenti di braccia ed una carezzevole ricerca di leggerezza, eleganza ed armonia.
Considerata la complessità della partitura, fondamentale è la funzione della direzione d’orchestra, qui affidata alla competenza e alla bravura del maestro concertatore Fabrizio Maria Carminati,che offre una lettura molto fluida ed equilibrata, tenendo abilmente insieme tutte le componenti in gioco e plasmando con raffinata arte le parti strumentali e le distinte vocalità. Nelle diverse scene d’insieme, che aggiungono profondità alla narrazione e contribuiscono a caratterizzare il contesto sociale, ottima la prova del Coro del Bellini, sempre istruito da Luigi Petrozziello, e anche l’intervento del Coro di Voci Bianche “InCanto”, diretto da Alessandra Lussi.
Tra i protagonisti Anna Pirozzi si distingue nell’affrontare sapientemente un ruolo alquanto impegnativo vocalmente. Divenuta nel corso della sua carriera nome di riferimento per i ruoli di soprano drammatico di coloratura, la Pirozzi è perfetta nell’interpretare il prismatico personaggio di Gioconda, la cantatrice veneziana lacerata tra l’infelice amore per Enzo, il devoto e protettivo affetto per la madre, il fiero rifiuto delle audaci avances di Barnaba e il senso di solidarietà femminile, quasi una sorellanza nei confronti della rivale in amore che la induce ad abbandonare la gelosia e scegliere addirittura il sacrificio estremo della propria vita per salvare quella di Enzo e Laura. Dotata di una vocalità densa, florida e matura, Anna Pirozzi ammalia il pubblico riuscendo a disegnare le varie sfaccettature del suo personaggio con una linea di canto sicura sia nel brillante registro acuto che nel più profondo registro grave. Il pubblico tributa numerosi applausi in un crescendo che culmina nell’imponente impegno del IV atto e nella struggente aria “Suicidio!”, espressione del conflitto interiore di Gioconda tra desiderio di vendetta e amore perduto.
Altro personaggio centrale dell’opera è il malvagio Barnaba, interpretato con rilevante dominio del palcoscenico da un Franco Vassallo in stato di grazia. Il famoso baritono si impone per la capacità di caratterizzare il proprio personaggio con ottima presenza scenica e con uno strumento vocale pastoso e vibrante che accende gli entusiasmi del pubblico.
Apprezzabile anche la prova del tenore Ivan Momirov nei panni di Enzo Grimaldo, sebbene si rilevi qualche iniziale incertezza nell’emissione, ben superata nel II atto con l’emozionante aria “Cielo e mar”, esemplare espressione del lirismo di Ponchielli.
Anastasia Boldyreva è una Laura Adorno vocalmente impeccabile e dall’elegante presenza scenica. Con la sua voce estesa, morbida, dal colore bruno che ne accresce il fascino, il mezzosoprano interpreta il ruolo in modo del tutto credibile e regala al pubblico l’espressione di un sentimento assoluto (“L’amo come il fulgor del creato!) nella settima scena del II atto in duetto con Gioconda. Merita un plauso convinto anche la prova del contralto Agostina Smimmero, una Cieca dalla vocalità ampia, rotonda e dalla ricca sonorità che si apprezza fin dalla sua aria del primo atto (“Figlia che reggi il tremulo…”).
George Andguladze incarna un Alvise Badoero dalla voce imponente, solida, autorevole, che sa ben cesellare il crudele personaggio dell’inquisitore di stato. Completano il cast Ettore Lee (Zuane/Un pilota), Giovanni Palminteri (Un cantore/Un barnabotto) e Nicola Pamio (Isèpo).
A chiusura di sipario, nonostante la durata che potremmo definire wagneriana, il gradimento degli spettatori per quest’opera elaborata ed intrisa di tensione drammatica è confermato dai lunghi applausi soddisfatti.
Foto di Giacomo Orlando