Spettacoli

La traviata – Pisa, Teatro Verdi

L’opera è lo specchio del mondo, un magico specchio che talvolta si lascia attraversare e ci immette dentro la storia, annullando i confini tra finzione e realtà. Così il pubblico del Teatro Verdi di Pisa, nel finale de La traviata, si ritrova riflesso sulla scena al capezzale di Violetta, scoprendo in tal modo di essere stato fin dal principio parte di quel dramma. Riprodurre il teatro sul fondale per includere lo spettatore nella rappresentazione è un’idea fin troppo comune ad altre regie degli ultimi anni, ma che trova nell’allestimento di Henning Brokchaus, con le scene di Josef Svoboda riprese da Benito Leonori,una declinazione originale perché differente e articolata. Nella completa oscurità dell’inizio, un grande specchio si solleva frontalmente da terra come la pagina di un libro, restando inclinato e consentendoci così di vedere la scena anche dall’alto e quindi già in se stessa sdoppiata. In questa prospettiva, l’effetto prodotto è dunque quello della distanza: quel dramma è inquadrato come altro da noi, possiamo spiarlo e giudicarlo, tutelati dal nostro esserne al di fuori e separati. “L’essere umano non può sopportare troppa realtà” recita un verso di Eliot e quindi per tutta l’opera l’artificio ci protegge, per rivelarci infine a noi stessi, quando nel quadro conclusivo lo specchio, assumendo una posizione verticale, senza più mediazioni ci pone dinanzi alla morte e alla malattia, ai nostri desideri e alle nostre frivolezze.

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Simone Piazzola e Ruth Iniesta

La vicenda viene ambientata, grazie soprattutto ai costumi eleganti e vivaci di Giancarlo Colis, nella Parigi della Belle Epoque, più edonista e frizzante, almeno nell’immaginario, rispetto alla seconda metà dell’Ottocento: una cornice che comunque a noi non appare più così trasgressiva, tantomeno violenta, e che anche per questa ragione richiede di essere contestualizzata e guardata da un certa distanza, se si vuole comprendere quanto la situazione scardinasse i valori del mondo borghese e li mettesse pesantemente sotto accusa. Del resto, alla necessità di una trasposizione fa riferimento il pavimento riflesso durante il preludio con il sipario della Fenice, dove appunto l’opera debuttò in abiti del Settecento per attenuare lo scandalo.
Lo specchio inclinato conferisce grande unità al racconto, con i quadri mondani ed erotici, idilliaci e floreali che si susseguono con varietà di colori e di luci, disegnate da Michele Della Mea. In particolare le coreografie di Valentina Escobar prevedono al primo atto che i ballerini siano quasi sempre presenti, ad esaltare il tempo di valzer che intesse di sé tutta l’opera, mentre alla festa di Flora sono di grande fascino la danza di zingare e toreri, con gli svolazzi dell’ampia gonna rossa che occupa tutta la scena. Il primo quadro del secondo atto tappezzato di fiori riprende suggestivamente i versi “Sarò là, tra quei fior, presso a te sempre..”, anche se appare meno adatto all’arrivo di Germont, tant’è che durante il duetto tra padre e figlio lo sfondo si popola di severe foto di famiglia. Suscitano perplessità alcune trovate come il giubilo di Annina per il ritorno alla vita di Parigi, la sua tresca con il Dottore e il frustino di Flora, mentre il gesto di lasciare la sciarpa ad Alfredo intensifica il momento dell’addio. Essenziale l’ultimo quadro, in cui come già detto la forma cambia radicalmente, in un’atmosfera rigorosa e composta dove poco funzionano le maschere pupazzo.

In questa cornice cangiante e policroma, Ruth Iniesta è una Violetta esuberante che al primo atto rende assai bene la frivolezza e la disperazione del personaggio, la sua volontà autodistruttiva e il suo desiderio di autenticità, pur senza esprimere troppa sensualità. La vocalità è estesa, il canto legato, lo stile brillante, con l’aria plasmata con una sicura tenuta delle note e una cabaletta fluida ed energica. Nel duetto con Giorgio Germont l’espressione si mantiene lirica tingendosi di drammaticità, per essere poi molto intensa e salda nel dialogo con Alfredo. In “Addio del passato” la dizione si fa più scavata mentre la linea rimane garbata ed elegante, come anche nel tragico ma luminoso finale.

Paolo Lardizzone è un Alfredo dalla voce potente e capace di ampie espansioni melodiche, ma tanto nel brindisi quanto in “Croce e delizia” riesce tuttavia poco brillante e appassionato. Vigoroso nella cabaletta del secondo atto, anche se con una conclusione poco convincente, è alquanto drammatico con il padre e durante la festa. Con una proiezione più controllata, sbalza infine “Parigi o cara” con pathos e lucentezza.

Simone Piazzola, con un’emissione morbida e compatta e dal timbro definito e solare, interpreta un Giorgio Germont solido e autorevole. Tutte le arie vengono plasmate con forza e rotondità, mentre invece negli scambi il canto risulta non troppo modulato.

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Vivace e squillante l’Annina di Ilaria Casai, talora spavalda ma adeguatamente drammatica nel finale; ha un canto incisivo ma opaco la Flora di Elena Belfiore e, pur con una convincente interpretazione dei vari personaggi, mancano un po’ di brillantezza anche gli altri comprimari, con il Barone di Tommaso Corvaja, il Gastone di Francesco Napoleoni e il Marchese di Giorgio Marcello. Con interventi adeguati e con qualche forzatura il Dottore di Alessandro Ceccarini, il Giuseppe di Tommaso Tombolini e il Domestico di Marco Innamorati.

Sul podio il maestro Nir Kabaretti fin dal preludio fatica nel plasmare un suono accurato e luminoso, perché continuamente incrinato da numerose imprecisioni dell’Orchestra Arché. Il discorso procede tuttavia in modo unitario pur con qualche rallentamento al primo atto e un iniziale debole collegamento con il Coro diretto da Marco Bargagna. Una maggiore compattezza si riscontra però nel quadro della festa, con un trascinante concertato e interventi corali più vigorosi e amalgamati. L’atto conclusivo registra infine una più marcata evidenza dei colori e varietà della dinamica.

Uno spettacolo molto apprezzato, tanto sul versante musicale quanto su quello visivo, da parte di un pubblico che in ogni ordine riempiva il teatro.

LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave

Musica di Giuseppe Verdi

Direttore Nir Kabaretti

Regia e Luci Henning Brockhaus
Scene Josef Svoboda riprese da Benito Leonori
Light designer Michele Della Mea
Costumi Giancarlo Colis
Coreografie Valentina Escobar

Personaggi e interpreti
 
Violetta Valéry Ruth Iniesta
Alfredo Germont Paolo Lardizzone
Giorgio Germont Simone Piazzola
Flora Bervoix Elena Belfiore
Annina Ilaria Casai
Gastone Francesco Napoleoni
Barone Douphol Tommaso Corvaja
Marchese d’Obigny Giorgio Marcello
Dottor Grenvil Alessandro Ceccarini
Giuseppe Tommaso Tomboloni
Domestico/Commissario Marco Innamorati

Orchestra e Coro Arché
Maestro del Coro Marco Bargagna

Foto: Kiwi Official – Diego Bianchi